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Legge Merlin: battaglia storica contro il diritto “naturale” dei maschi.

La serie di articoli di Vittoria Loffi intitolati “Il sex Work non è stupro, non è tratta, è lavoro” sollecita una risposta, soprattutto per il semplicistico giudizio sulla Legge Merlin di cui viene del tutto eluso o equivocato il carattere e la storia, riducendola a una scelta di “demonizzazione della prostituzione”. 

L’abolizione delle case chiuse proposta e ottenuta dalla senatrice socialista Lina Merlin costituì in realtà una colossale, storica battaglia politica – la prima in Italia combattuta e vinta da una donna – contro un mondo maschile che utilizzò ogni argomento per silenziarla e conservare lo status quo. Erano contrari tutti, da Benedetto Croce a Pietro Nenni. Lina Merlin presentò il primo testo nel ’48 e furono necessari dieci anni di battaglia per portarla al voto e convincere il Parlamento ad approvarla (votarono sì le sinistre, no le destre). 

Il diritto maschile ad acquistare prestazioni sessuali era rivendicato alla stregua di un diritto “naturale”: «per evitare la prostituzione – dicevano gli oppositori di Lina Merlin – dovremmo essere costruiti come gli animali inferiori, ad esempio il corallo, che è asessuale e non ha il sistema nervoso». Per fermare i suoi avversari all’interno del Psi, la senatrice arrivò a minacciare di rendere pubblici i nomi di quelli che possedevano bordelli. Dopo l’approvazione, Lina Merlin fu praticamente costretta a una vita clandestina per la valanga di minacce ricevute. Il giornalismo si divise. A sinistra, Carla Voltolina pubblicò uno straziante libro – “Lettera dalle case chiuse” – che raccoglieva i messaggi delle prostitute alla Merlin, in cui raccontavano lo squallore delle loro vite e lo stato di sostanziale prigionia in cui vivevano. A destra Indro Montanelli pubblicò “Addio Wanda”, una distopia satirica in cui immaginava un’Italia dove nessun uomo lavorava più perché avvilito dalla privazione del godimento. 

Due citazioni sparse: «In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia»; «La famiglia, la famiglia all’italiana, funziona solo finché le figlie sono vergini, cioè finché hanno dinnanzi agli occhi lo spauracchio del lupanare, in caso di deviazione».

Questo è il mondo in cui combattè e vinse Lina Merlin, che non demonizzò affatto la prostituzione ma piuttosto tese una mano a migliaia di ragazze poverissime, tradite da un fidanzato o dal padrone, spesso violentate, scacciate dalle famiglie, con un figlio a carico, finite nelle case chiuse perché non c’era un altro modo per mangiare e far mangiare i “figli della colpa”.

Ma forse sarà il caso di dare un seguito anche al secondo capitolo dell’analisi di Vittoria Loffi, dove presenta la sua linea di pensiero sul Sex Work sostenendola con una serie di testi prodotti dal mondo anglosassone. Non sono un’esperta, non ho studiato a fondo l’argomento come lei, ma mi risulta chiaro il punto di caduta sociale dell’equazione “Prostituzione uguale Normale lavoro”

Ad esempio, mi chiedo, se il sesso fosse una prestazione di lavoro come un’altra cosa impedirebbe di associarlo all’assunzione di una segretaria, una stagista, una collaboratrice domestica? Perché un uomo non dovrebbe contrattualizzare insieme all’orario d’ufficio e alle mansioni, anche le prestazioni sessuali dovute? Si dirà: basta rifiutare. Risponderò: siamo un Paese dove le poveracce raccolgono uva a 4 euro l’ora, sicura che tutte potrebbero rifiutare? E ancora, se fosse un lavoro come un altro, perché escluderne le minorenni? Tutte le nostre norme consentono l’apprendistato dai 16 anni: perché permetterlo a giovani lavoratori del legno e dell’idraulica e non a giovani sex-workers? Perché impedire alle madri e ai padri di avviare appena possibile le figlie alla carriera, esercitando la potestà genitoriale che la legge gli riconosce per mettere le figliole sul mercato?

Credo che il punto di vista di chi sostiene la tesi del “normale lavoro” costituisca una costruzione ideologica, sicuramente lecito argomento di una discussione accademica o di un cimento intellettuale tra femministe di diverse scuole, ma con scarsi legami con la realtà. Chi ne fa elemento di emancipazione e di empowerment femminile dovrebbe riflettere sul fatto che il partito più impegnato sulla liberalizzazione della prostituzione e delle case chiuse è la Lega, non a caso titolare anche del più sonoro richiamo all’Italia del “Dio-patria-famiglia”: ponetevi almeno il dubbio che la via delle sex-workers, la via del “normale lavoro” non porti le donne avanti ma dritte indietro, al Paese di “Ciao Wanda” raccontato da Indro Montanelli, dove la possibilità di comprare sesso era fondamento di una società a misura di maschio.

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