Su Facebook c’era una pagina che seguivo con piacere. Parlava di donne e lo faceva con un linguaggio moderno grazie al supporto di una divertente grafica.
Su Instagram c’era la pagina di una influencer che seguivo perché era molto incisiva.
Su Twitter c’era l’account di una giornalista molto sferzante che mi faceva sorridere.
Poi ho smesso di seguire tutte queste pagine.
L’ansia che traevo dalla lettura di certi post e stories e tweet, il senso di angoscia che sentivo ogni volta che intravvedevo rabbia, senso di rivalsa e aggressività, nessuno avrebbe potuto lenirlo e quindi ho chiuso, staccato tutti i collegamenti.
Avrei fatto la stessa cosa se la pagina Facebook avesse parlato di uomini, se la pagina Instagram fosse stata di un uomo e se su Twitter ci fosse stato un giornalista. E il punto è proprio questo: perché mal tolleriamo l’aggressività e la prepotenza maschile e siamo invece di larghe vedute quando quegli stessi insopportabili atteggiamenti appartengono alle donne?
Perché per secoli ci hanno impedito di essere sgradevoli, ci dicono. Perché l’aggressività dei maschi è più violenta, in ogni caso, e dalla loro bisogna difendersi e da quella delle femmine no, dicono anche. Oppure perché siamo arrabbiatissime per come siamo state trattate e nella nostra memoria primitiva, nella memoria della nostra pelle, sono ancora incise le violenze e le sopraffazioni che abbiamo subìto.
Gli uomini che frequento, il mio compagno, i miei amici, i miei parenti, i figli grandi delle mie amiche, stanno facendo uno sforzo di comprensione che va di certo tenuto in conto. Stanno cercando di capire da dove vengono, che cosa si sono lasciati alle spalle, com’era il mondo delle donne e degli uomini prima di questo momento, e che cosa possono fare per rendere migliori le condizioni per le donne e per sé stessi.
È un campione molto ridotto, naturalmente, ma sono uomini che si fanno domande e anche se fossero soli al mondo, sarebbe già una gran cosa, perché alla fine il dubbio è contagioso e prima o poi si propagherebbe.
È chiaro che esistono donne aggressive e stronze, come è chiaro che esistono uomini aggressivi e stronzi. Eppure, se un uomo rivendicasse il diritto di poter essere insopportabile, come minimo lo derideremmo e, quasi certamente, lo metteremmo alla gogna. Rivendicare il diritto alla sgradevolezza è identico alla rivendicazione a cui per moltissimi decenni le donne sono state costrette, ovvero quello alla gentilezza a tutti i costi. È sempre, insomma, una richiesta che arriva da qualcun altro, dall’esterno, e mai da una necessità privata e personale.
Oggi, un certo tipo di femminismo, ti chiede di divorare il mondo scalpitando sui tuoi tacchi a spillo e spargendo veleno su chiunque ti capiti a tiro, ululando come lupe per troppo tempo tenute in cattività. Ripropongo ancora il gioco: pensiamolo al contrario, con uomini che chiamano a raccolta altri uomini a cui viene detto di non preoccuparsi di apparire spiacevoli, se è quella la loro natura va rispettata.
Donne che ti dicono che non fa niente se vuoi tenerti i peli sulle cosce e i baffi, è tuo diritto non conformarti a un canone estetico, salvo poi inorridire davanti a un uomo con le scaglie di forfora sulla giacca e le spallucce strette da bibliotecario che non vede mai la luce del sole.
È normale voler piacere, non è una vergogna e non perdiamo autorevolezza se ci facciamo belle per piacere agli uomini o alle altre donne: significa che vogliamo farci vicine agli altri esseri umani per godere della loro compagnia, per fare sesso con loro e per traerne beatitudine. I canoni estetici sono, appunto, canoni, e al canone si può sempre trasgredire. In un rapporto erotico o amoroso ci sono altri elementi da tenere presenti, come per esempio il desiderio. Farsi belle per sé stesse è una menzogna fino a un certo punto, perché vedersi carine e considerarsi piacenti apre le porte a chi vuole accostarsi.
Non importa quanto siamo oggettivamente belle e brutte, se una donna oggettiva bellissima si sente brutta di sicuro avrà meno appagamento in materia erotica di una che è oggettivamente brutta e si sente bella. Questi sono sentimenti molto sottili e dinamiche troppo complesse per essere condensate in un post su Facebook dove viene rappresentata una bella ragazza spaparanzata sul divano, in pantaloncini e con le gambe pelose che ammette di essere completa così e non ha bisogno di nient’altro.
Che c’entra tutto questo con l’aggressività? La modalità in cui si cerca di rivendicare la propria libertà (di essere e di apparire come più si vuole), tradisce a mio avviso una fragilità e un senso di inadeguatezza che nulla hanno a che vedere con la libertà, ma che ne sono la morte stessa. Facciamo di nuovo il gioco, pensate a quanto sarebbero sciocchi i maschi se facessero post di questo genere: “Ho il cazzo piccolo e lo rivendico!”. Dopotutto, il canone estetico del pisello è una cosa atroce per i maschi, anche perché una ceretta la puoi fare tranquillamente, mentre un allungamento del pene è più improbabile.
L’altro giorno leggevo un’attivista che scriveva di essersi scocciata del perbenismo e che non vedeva l’ora di andare a seno nudo davanti a una famiglia, ai figli piccoli, per scandalizzarli. Ma perché? Perché devi dimostrare di essere libera così? Ci sono stati gli anni 60, è già accaduto questo fatto del topless, non è che se fai vedere il seno allora curi i mali del patriarcato. E poi non hai mai aperto Instagram?
Lì ci sono tutte le tette che vuoi e non mi sembra che grazie a quelle ci siano meno violenze domestiche. È molto imbarazzante far notare che essere assertiva ed essere femminista non sono sempre la stessa cosa, a volte si ha più l’impressione che si voglia somigliare agli uomini perché si pensa che i privilegi derivino solo da atteggiamenti maschili e non si fa nulla per costruire privilegi femminili (e ce li abbiamo eccome, la maternità, per esempio).
Partire, dunque, dalla libertà. Non da ultima, la libertà di silenziare i profili di certe attiviste sempre in guerra col mondo e quindi con te, che vorresti startene in pace a mangiare biscotti e ingrassare.
3 Responses
Complimenti! Concordo su tutti gli argomenti.
brava, una riflessione molto opportuna
sono così felice di leggere questo intervento, Melissa. e lo sono perchè le nostre impressioni collimano perfettamente, con la differenza che tu sei più giovane ed io lo sono meno. e per questo, quando esprimo lo stesso concetto, mi viene detto che lo esprimo perchè ‘antica’ e quindi in qualche modo ancora ancorata ad una visione buonista della donna. trovo pericolosissimo contrapporre un concetto di presunto buonismo (esiste anche la gentilezza, la correttezza e la capacità di esprimere concetti in maniera pacata senza perdere di incisività e non va certo banalizzata dall’etichetta buonista) con quella che io chiamo ‘la rappresentazione della chica mala’ , ossia più sono aggressiva più sono femminista ed incisiva. scrivi ”la modalità in cui si cerca di rivendicare la propria libertà (di essere e di apparire come più si vuole), tradisce a mio avviso una fragilità e un senso di inadeguatezza che nulla hanno a che vedere con la libertà, ma che ne sono la morte stessa.”. ti quoto in toto e ascolto con gioia la tua voce chiara, limpida e fortissima, unirsi ad un dibattito corale che aiuti tutte noi a crescere ed a rafforzarci sempre di piu.