Istantanea

L’occupazione sale al 62,3%: ma purtroppo, crescono anche gli inattivi (soprattutto tra i giovani e le donne)

Non ha dubbi la Premier Giorgia Meloni: “il numero di occupati” che caratterizza il più recente mercato del lavoro sarebbe il “più alto da quando Giuseppe Garibaldi ha unificato l’Italia”. Secondo i dati Istat, lo scorso agosto, gli occupati hanno infatti toccato un nuovo record, aumentando tra i lavoratori dipendenti, gli uomini, ed in tutte le fasce d’età (fatta eccezione per quella compresa tra i 35 e i 49 anni), sino a punte del 62,3%.

Tuttavia, il tasso occupazionale rimane uno dei più bassi d’Europa, e s’affianca ad un dato preoccupante: l’aumento del numero degli inattivi.

In Italia, si contano infatti oltre tre milioni di Neet, i disoccupati under 29 che non studiano, non hanno un lavoro o hanno smesso di cercarlo. In un anno, tra gli under 35, gli inattivi in più sarebbero diventati 166mila, di cui 74mila tra i 25 e i 34 anni: proprio nella fase della vita in ci si aspetterebbe, dopo gli studi, di fare il proprio ingresso nel mercato del lavoro.

Sui 106mila inattivi in più in un anno, 92mila sono inoltre donne.

“Nessuna economia sviluppata ha un tasso così alto di inattivi” hanno commentato Alberto Brambilla e Claudio Negro, sul Foglio. Molto, in tal senso, dipenderebbe dai meccanismi fiscali italiani.

“Per una famiglia con un Isee basso è sconveniente cercare un lavoro in più in casa, perché dichiarandolo si perdono benefici, anche di mille euro al mese circa. Quindi si rinuncia, e molto spesso, a farlo, sono proprio le donne.”

Secondo Assindatcolf, tra il 2018 e il 2023 la quota di donne che hanno scelto di non lavorare per motivi di carattere familiare sarebbe infatti salita a oltre 2,6 milioni.

Poco roseo il quadro anche per quanto concerne i giovani, di cui solamente poco più del 30% risulta in possesso di un titolo di studio di livello terziario, soprattutto a causa della mancanza di “percorsi brevi e professionalizzanti.”

Rimarrebbe, inoltre, anche un secondo problema: in Italia, laurearsi non sarebbe affatto sinonimo di un accesso al lavoro maggiormente immediato . Si stima infatti che solo il 74,1% dei laureati triennali riesca a trovare un impiego entro un anno dal conseguimento del titolo; per i laureati magistrali, la percentuale sale appena al 75,7%. Numeri che fanno riflettere; soprattutto se posti a confronto con le realtà di Paesi come la Germania o i Paesi Bassi, dove i neolaureati sono occupati a ritmi attorno al 90%.

Anche dietro al boom di Partite Iva registrate nel secondo trimestre del 2024% si celerebbe una risposta pressoché obbligata ad esigenze complesse, non di rado disattese dall’ingresso nel mercato del lavoro. Molto spesso, gli italiani sceglierebbero infatti il lavoro autonomo proprio in mancanza di alternative contrattuali stabili.

“L’ aumento dell’occupazione in un momento economico debole può significare posti di lavoro di bassa qualità, o almeno polarizzazione. ” – Ammonisce, ancora, Francesco Seghezzi, Presidente Adapt– L’aumento dell’occupazione a fronte di scarsità di offerta data da contrazione demografica può significare, invece, mismatch e assunzione di persone non ottimali per la domanda, con conseguenze su produttività e innovazione (e quindi, la partita della formazione rimane fondamentale; oggi più che mai). Infine, l’aumento degli inattivi come conseguenza del calo dei disoccupati potrebbe essere in parte legato a persone che hanno perso il reddito di cittadinanza e non trovano lavoro”.

Ne deriverebbe, pertanto, un quadro alquanto complesso; a fronte del quale limitarsi a celebrare i “record occupazionali” rischia di contribuire a mantenere sommerse lacune che divengono, in realtà, sempre più profonde.

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