le opinioni

Recappone Sanremese

Oggi è quel momento dell’anno in cui ci si domanda cosa ne sarà di noi dopo il festival di Sanremo.

Questa edizione è filata via senza particolari intoppi, e non c’è stato spazio nemmeno per le più classiche delle polemiche, perché a conti fatti (scusate, ma è un gioco di parole irrinunciabile) ogni tentativo di tenere un occhio sul mondo è stato soffocato da una scaletta che andava a ritmo serratissimo. Al punto da poter dire che in questi giorni sanremesi la vita vera del paese esisteva solo nelle strade della città. Pensiamo per esempio agli attivisti e attiviste del Referendum di cittadinanza che raccontavano in giro l’importanza di partecipare a questa occasione di voto. O alle rappresentanze italiane della Commissione e del Parlamento europeo che hanno accolto voci e storie nel salotto del Glass “Social Euro Voices”, non mancando a un appuntamento pop come il festival di Sanremo per ricordare quanto l’Ue stessa sia pop, visto il suo impatto concreto sulle comunità.

Sul palco dunque tutta musica, in una gara che non ha ammesso politica, nessuna innovazione, nessun monologo che potesse farne scricchiolare l’impalcatura democristiana. Persino la comicità non è stata capace di farsi strada, confinata in un canovaccio che ha avuto l’obiettivo di essere pacificante, a dispetto di ogni istinto di satira. 

Al contrario il festival mantiene invece con fierezza alcune dinamiche urticanti.

Pensiamo per esempio a quell’abitudine di mettere la bellezza delle artiste in gara davanti alla loro competenza. E ad alimentarla ci pensano anche gli stessi giornalisti e giornaliste durante le varie conferenze stampa, almeno fino a quando la cantante in gara Clara non ha sottolineato la centralità del processo creativo davanti a tutto il resto: “Voglio sentirmi dire che sono brava, non mi importano i commenti sul mio aspetto fisico o su quanto l’abito indossato per l’esibizione mi doni”.

O consideriamo ancora quella cosa di non poter sollevare il dubbio che un testo che parli di malattia e genitorialità possa anche non essere bello, sia mai, insensibile che non sei altro. Altri pezzi invece funzionano perché si muovono liberi e raccontano di noi. La storia personale e quella tutta sanremese di Francesca Michielin ci parlano dell’urgenza di saper accogliere le proprie fragilità, che vengono persino urlate poco prima dell’esibizione con quel “No, aspettate” quando le cade l’auricolare.

Aspettare quindi, ammettere la possibilità di rallentare. Anche il pezzo dei Coma Cose è una specie di apologia dell’errore. Fare tutto per i cuoricini (quelli ricevuti sui social, ndr) è esaltante, è dopamina pura.

Ma a quale prezzo? Probabilmente quello di “togliersi il gusto di sbagliare tutto”, come dice la stessa canzone della coppia. Ecco perché in questo contesto una persona come Lucio Corsi (lui no, non è un personaggio) riesce a superare ogni limite in un festival artisticamente povero e si impone nei nostri ascolti piacendo ai cinici e ai romantici, agli amanti di David Bowie e a quelli che ascoltano la trap. Piace perché sembra avere il potere di portarci in una dimensione immaginifica, che è fatta di volo, azzurro e velocità, come se fosse un futurista moderno che al tempo stesso mette in conto la paura che si può provare per ciò che verrà.

E poi come non menzionare Bianca Balti, Vale Lp e Lil Jolie che hanno fatto quello che sarebbe opportuno provare a fare quando hai davanti una platea di milioni di occhi e di orecchie: dire qualcosa che possa spostare, anche di poco, la prospettiva di qualcuno che ascolta. Dopo averla presentata come “guerriera”, Conti ha riconosciuto a Bianca Balti di essere “un grande esempio per le donne”. Una frase che l’ha portata a correggere il conduttore: «Ma soprattutto noi donne siamo sempre un grande esempio per gli uomini».

Vale LP e Lil Jolie hanno portato in scena un cartello giallo per ricordare che l’amore è bene farlo, ancora prima di dirlo. Purché entrambi lo vogliano, purché entrambi diano il loro consenso. Un festival mononota al punto che, pur di concedersi il gusto di qualche polemica, ci siamo persino appassionati alla storia della collana interdetta di Tony Effe. Fortuna che poi ci siamo concessi Elodie e Achille Lauro nella migliore esibizione a coppie di questo festival romano-centrico. Sembravano uscire da un melò tardo-pasoliniano, con qualcuno a cui corrispondere la propria sensualità e il palco dell’Ariston per quattro minuti ha grondato dramma e desiderio. Eppure dopo il festival questo carlocontismo continuerà, quello in cui “tutte le età, tutte le estrazioni, tutte le anime del nostro paese” possono riconoscersi. Proprio come vuole la parabola della destra italiana. Tant’è che Benigni ieri sera ha detto quelle verità che dicono i comici: «Dai retta a me, Giorgia ci sarà per diversi anni». 

E poi per fortuna è arrivata Geppi Cucciari che ha sollevato le sorti di un festival anestetizzato alla sagacia. E allora grazie Geppi, conducici pure la vita. Perché quel monologo in bianco e nero in apertura di puntata è la nostra fotografia più vera. Sorrideeeete, clic: “E allora Buona nazione, volevo dire buona visione”.

LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Ilaria Potenza, 27 anni, pugliese, vive e lavora a Ferrara dove frequenta la Scuola si Specializzazione in Chirurgia Toracica. Storyteller e curiosa, frequenta abitualmente il mondo dei media e i temi europei: è infatti giornalista e scrive per Rolling Stone, Linkiesta e per Il Sole 24 Ore. Sempre di corsa, ama fare più cose insieme, con passione e dedizione: una contemporanea perfetta.

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