le opinioni

La violenza di genere è l’unico dato immutabile di una società che sembra essere un orologio rotto. 

a cura di Le Contemporanee


In questi giorni, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, tg e approfondimenti mediatici hanno abbondato di immagini, dati, interviste. Finalmente di questo tema di parla, ma forse mai abbastanza. 

Noi vogliamo parlare di violenza di genere e denunciarla ogni giorno ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare la cover del nostro media civico a questo tema proprio questa settimana, quando i giornali smetteranno di parlare di violenza di genere, dopo la solita “scorpacciata”.

I numeri sulla violenza che colpisce le donne che abbiamo letto negli scorsi giorni, continueranno a salire, purtroppo. 

Bene ricordarne alcuni. Circa un terzo delle donne nella fascia d’età tra i 16 ed i 70 anni ha subito almeno una volta nella propria vita una forma di violenza fisica o sessuale. Un terzo, in Italia corrisponde a quasi 7 milioni di donne. Si tratta, a tutti gli effetti, di una urgenza nazionale. Sono numeri che non vanno taciuti.

E non sempre se ne parla, a parte i casi piu’ eclatanti di cronaca e di femminicidi. Ci sono forme di violenza striscianti, sconosciute, taciute, inconsapevoli. 

Ma i dati sulla violenza impossibile da ignorare, sono enormi.

La violenza fisica in Italia  riguarda il 20% delle donne, quella sessuale coinvolge il 21% ed i casi gravi di violenza sessuale, lo stupro, riguardano il 5,5%. Questi dati apparentemente freddi e distaccati, dipingono uno stato emergenziale che – a differenza dei disastri, degli allarmi, dei momenti critici urgenti – non ne possiede il connotato di brevità di durata. Rappresenta in realta’ un fenomeno radicato e consolidato, ahinoi spaventosamente culturale

Andrea Catizone, avvocatessa impegnata da anni nella lotta per i diritti delle donne, ricorda due donne eccezionali che con il loro atto di coraggio e la loro determinazione, sofferta, ma implacabile, hanno segnato una epoca e tracciano ancora il cammino per il futuro.

Tutti i reati in Italia diminuiscono, ad eccezione della violenza contro le donne. Un orologio che, nonostante gli sforzi fatti per andare avanti, resta immobile, come rotto.

Franca Rame e Tina Lagostena Bassi. La forza di denunciare la violenza, il coraggio di cambiare un sistema.


a cura di Andrea Catizone

Cammino per ore, a casa no. Mi ritrovo, all’improvviso davanti al palazzo della Questura e resto appoggiata per non so quanto tempo al muro davanti al suo ingresso, vedo persone che entrano…penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora. Penso alle domande, ai mezzi sorrisi penso e ci ripenso, poi mi decido e vado a casa. Li denuncerò domani”. Con queste parole Franca Rame chiude lo straziante monologo “Lo Stupro” nel quale rappresentava quello che le accadde nel marzo del 1973 in cui venne sequestrata e stuprata da quattro uomini fascisti.

In quegli anni, insieme al marito Dario Fo, svolgeva attività per i detenuti, in particolare quelli di estrema sinistra, dentro le carceri milanesi, quando venne, in via Nirone a Milano, fatta salire a forza su un furgone, seviziata, violentata carnalmente e successivamente abbandonata in un parco. La potenza di quelle parole fa eco fino ai giorni nostri: il tema dell’approccio del sistema giudiziario e di polizia nei confronti della violenza contro le donne, a partire dal primo atto che la fa emergere – la denuncia appunto – risente di un portato culturale troppo ancorato a una visione della donna tutt’oggi parzialmente colpevole e responsabile di quanto le accade, soprattutto nella sfera personale.

In questo senso è estremamente interessante, per una ricostruzione storica dell’evoluzione del diritto nel riconoscimento della violenza verso le donne, mettere a confronto il monologo della Rame con l’arringa della grandiosa Avvocatessa Tina Lagostena Bassi, nel noto processo per stupro del 1978, in cui per la prima volta venne filmato un processo di quel tipo in un’aula di Tribunale, poi divenuto un pluripremiato documentario.

In quell’arringa memorabile Lagostena Bassi descrive con una chiarezza esemplare quanto pre-giudizio nei confronti delle donne ci sia non solo nella società, ma anche nella magistratura (inquirente e giudicante) e nell’avvocatura. Ed è per questo che esordisce, come donna e come avvocatessa, dicendo che le donne sono in quel processo per chiedere Giustizia, specificando che questa non coincide con l’irrogazione di una pena gravissima, non solo quantomeno.

Violenza di genere
Violenza di genere

Lagostena Bassi va molto oltre, giustamente. Rivendica e afferma la piena della libertà della donna, pretendendo il superamento della concezione, non più accettabile, che la donna sia un oggetto verso il quale l’uomo abbia un potere assoluto, anche di vita o di morte. Un potere che si estrinsecava in un ordinamento giuridico in cui era ammesso il delitto d’onore, in cui lo stupro era un reato contro la morale, in cui alle donne venivano negati molti dei diritti costituzionali che per più di quarant’anni erano rimasti congelati per l’assenza di norme ordinarie che consentissero la loro applicazione e la rimozione degli ostacoli alla loro realizzazione.

Quanti passi contro la violenza di genere, quanti ancora da fare?

Del resto bisogna aspettare il 1981 per eliminare la rilevanza penale nel delitto d’onore, il 1996 per rubricare lo stupro come delitto contro la persona e non contro la morale ed i giorni nostri, dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul da parte del Parlamento italiano del 2013, per riconoscere la violenza come un violazione dei diritti umani ed introdurre importanti disposizioni contro la violenza e a tutela delle donne.

L’avvocatessa Lagostena Bassi parla di “solidarietà maschilista” che vena tutti i processi per violenza in cui sul banco degli imputati insieme agli stupratori, ai violenti, siedono anche le parti offese dal reato, ovvero le donne che vengono interrogate sul loro comportamento, sulle loro scelte, sui loro abiti, sul loro approccio alla vita, su tutto quanto possa essere capziosamente interpretato come atteggiamento tentatore.

Il monologo di Franca Rame e l’arringa della Lagostena Bassi, entrambi della fine degli anni ’70, affrontano con la stessa prospettiva il grande tema di come la cultura occidentale ha interpretato, fin dal diritto romano, la sfera sessuale femminile e il corpo delle donne affermando, in ogni ambito, la tutela ed il controllo dell’esclusività maschile.

“Certo molto è stato fatto e molti passi in avanti sono stati compiuti – sarebbe davvero scorretto non ammetterlo – ma se le istituzioni come strutture portanti delle regole e del vivere democratico non scendono direttamente nel campo di battaglia della lotta contro la violenza verso le donne, le ragazze e le bambine, la lentezza con la quale si sradicheranno certe assurde convinzioni costerà la vita ancora a tante donne.”

Le difficoltà che le donne vittime di violenza incontrano a denunciare, ben tradotte nella frase lapidaria “li denuncerò domani” della Rame, per indicare un tempo indefinito, e nella dichiarazione emblematica e di rottura “siamo qui, noi donne, perché chiediamo giustizia” dell’Avvocatessa Lagostena Bassi, trovano la loro evidenza nel susseguirsi ormai quotidiano di femminicidi che contengono tutti la stessa matrice di pensiero: donna uguale oggetto.

É nell’affermazione del dominio assoluto dell’uomo sulla donna che ancora oggi – in cui si stanno organizzando i viaggi su Marte per i civili – questo pesantissimo retaggio culturale tribale resiste con una forza inspiegabile. Un macigno di arretratezza che attraversa non solo il tempo in maniera verticale, ma anche la società in maniera trasversale, perché non legato, non sempre legato ad una emancipazione culturale e sociale degli uomini.

Certo molto è stato fatto e molti passi in avanti sono stati compiuti – sarebbe davvero scorretto non ammetterlo- ma se le istituzioni come strutture portanti delle regole e del vivere democratico non scendono direttamente nel campo di battaglia della lotta contro la violenza verso le donne, le ragazze e le bambine, la lentezza con la quale si sradicheranno certe assurde convinzioni costerà la vita ancora a tante donne.

Di questa lentezza e delle sue conseguenze ci si deve assumere la responsabilità. Serve una più pronta applicazione della normativa vigente per innestare quel cambio di passo che permetta di proteggere la donna che ha denunciato, di prenderla in carico come richiede la legge dello Stato, di isolare e di controllare l’uomo violento e con intenti assassini e di formare tutta la filiera dei presidi democratici alle quali le donne che hanno subito violenza, insieme ai figli, si rivolgono.

Il cambiamento culturale, di cui tanto si parla, non avviene se intanto ci si occupa di altro e si considera la violenza un tema secondario: al contrario si avvia con interventi normativi che agevolino il cambiamento che è già in atto e che deve essere portato a compimento.

Solo così si giungerà a sconfiggere la violenza come mezzo per affermare il predominio maschile sulle donne.

Servono più uomini, veri, nella lotta contro la violenza di genere. E occorre andare a scuola di diritti e libertà per le donne

L’aspetto piu’ interessante di questa discussione scaturita dall’articolo dell’Avvocata Andrea Catizone sul tema della violenza di genere e’ che sono arrivati moltissimi commenti, prevalentemente tramite email e messaggi sui social, da parte di molte di voi, ma anche da parte di diversi uomini. Raccogliamo e vi proponiamo il commento che piu’ ci ha colpite, quello di Luca Liberti, che scrive:

“Da uomo penso che occorra fare di più su questo tema. Ma basta parlare di violenza sulle donne facendo parlare in TV solo le donne. Responsabilizziamo gli uomini e portiamoli a parlare del tema apertamente. Cerchiamo di raccontare anche qualche storia di uomini violenti che magari siano stati in grado di fare un percorso che li abbia ” guariti”. La violenza è aberrante e occorre rendere più partecipi della discussione i carnefici o chi appartiene al cosiddetto sesso forte.”

Sono giunti messaggi simili sia via email che sui social da parte di uomini che responsabilizzano altri uomini.

E proprio mentre rielaboriamo questi commenti, un brutto fatto di cronaca avvenuto pochi giorni fa in Puglia volge a un tragico epilogo. L’amico di una donna vittima di stalking e’ morto dopo giorni in coma, dopo aver subito una brutale aggressione da parte del molestatore violento di una donna pugliese. 

La vittima di stalking è stata soccorsa e salvata dall’amico, pestato e di fatto ucciso dall’aggressore della donna davanti a un bar di Canosa di Puglia. Clicca qui per saperne di più.

Gli uomini, quelli veri, ci sono, si ribellano a questa piaga sociale della violenza sulle donne. Spesso ci hanno anche rimesso la vita, come in questo caso. Così come capita a molte donne morte ammazzate in Italia. 

Molte donne si chiedono cosa occorra fare, in concreto, per intervenire sulla piaga della violenza di genere. C’è chi suppone, come Lidia Farni, che occorra cambiare qualcosa nella strategia, se la violenza, stando ai dati, resta immutata negli anni. ” Bella riflessione. Certo difficile capire cosa altro fare per fermare la violenza di genere. Molto è stato fatto, forse facciamo qualcosa però nel modo sbagliato e quindi l’ orologio segna sempre la stessa ora da decenni?” Questo il giusto interrogativo di Lidia Farni.

Molti e molte di voi fanno riferimento all’importanza della formazione, della scuola, dell’informazione su questi temi.

“Dobbiamo trovare strumenti nuovi e forse più fantasiosi per combattere la violenza. La scuola, la formazione, la lotta agli stereotipi di genere fin dalla tenera età, sono uno strumento chiave. Se non agiamo alla radice del problema, arriveremo sempre troppo tardi, quando il danno è fatto.”

Rita Livizzi ha centrato il punto,  essenziale alla “sopravvivenza” di molte donne vittime di violenza: i centri anti- violenza.  Siete in molte e molti a ricordarlo insieme a lei

“Bisogna destinare più fondi ai centri antiviolenza, è unico modo per svincolare le donne in difficoltà. I centri dovrebbero essere capillari. E va fatto un serio ripensamento delle questure che spesso arrivano troppo tardi”. 

Una contemporanea doc come Sarah De Pietro ricorda quanto la violenza si celi in ogni ambiente, anche quelli meno scontati. “Ci vogliono centri antiviolenza, ma anche un lavoro a tappeto nelle aziende piccole e grandi dove la violenza è spesso strisciante. Tempo fa proponemmo anche con contemporanee l’ ipotesi di una autorità contro le discriminazioni di genere. Potrebbe essere una arma più pervasiva specie per i casi che non fanno cronaca, ma  che invece sono numerosissimi nel mercato del lavoro.”Anche questi spunti sono stati importanti per il nostro media civico e per contribuire alle nostre lotte e alle prossime campagne. Vi aspettiamo nuovamente qui!

LA PAROLA A VOI

7 Responses

  1. Sarebbe opportuno fare formazione e firmare le nuove generazioni. I docenti devono essere firmati e devono sensibilizzare le famiglie.

  2. Da uomo penso che occorra fare di più su questo tema. Ma basta parlare di violenza sulle donne facendo parlare in TV solo le donne. Responsabilizziamo gli uomini e portiamoli a parlare del tema apertamente. Cerchiamo di raccontare anche qualche storia di uomini violenti che magari siano stati in grado di fare un percorso che li abbia ” guariti”. La violenza è aberrante e occorre rendere più partecipi della discussione i carnefici o chi appartiene al cosiddetto sesso forte.

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    Le Contemporanee, il primo media civico in Italia dedicato alle donne e contro ogni discriminazione. I contributi contenuti nel media civico con autore "LeC", sono testi e contenuti a cura del nostro staff.

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