Pnrr, vigilare e misurare obiettivi per le politiche di genere

I dati sono un ingrediente fondamentale per una buona politica, senza dati non possiamo fissare obiettivi e monitorare l’avanzamento. Ma cosa significa buona politica. L’Europa ci ha insegnato che le politiche di genere per funzionare hanno bisogno di: interventi dedicati in maniera specifica alle donne, misure trasversali ossia l’uso di strumenti di policy per far sì che le donne siano un beneficiario esplicito di tutte le politiche (mainstreaming) e una governance capace di monitoraggio e con potere attuativo1https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/21_dicembre_03/crisi-lavoro-4b4317c4-5408-11ec-a647-dbb26cb23479.shtml.

In questo modo si costruisce un meccanismo organico, capace di un impatto reale. Ma ancora non basta, a monte serve una visione che tracci obiettivi e priorità e che orienti le decisioni. Possiamo dire in sintesi che sono quattro gli ingredienti per una buona politica di genere: visione, governance, azioni trasversali e azioni specifiche, obiettivi dichiarati2https://www.repubblica.it/politica/2021/11/10/news/mattarella_lavoro_pnrr_donne_giovani-325857189/ .

Il PNRR ha non pochi difetti, in primo luogo la frammentarietà e la mancanza di un disegno, specialmente per quello che riguarda le cosiddette trasversalità: giovani, Sud e donne. Una debolezza del piano, ma che possiamo riconoscere in generale al dibattito pubblico intorno al piano che si è molto concentrato sulle misure specifiche e poco sul mainstreaming e la governance.

È giusto identificare interventi che diano risposte a problemi specifici, come per esempio il fondo per l’imprenditoria femminile per incentivare l’imprenditorialità tra le donne o l’orientamento alle STEM (materie tecnico scientifiche) per le ragazze, però non è sufficiente. Specialmente quando siamo in presenza di investimenti straordinari (ricordiamoci che in ballo ci sono circa 200 miliardi) e ancora di più quando i principali ambiti di intervento e spesa previsti sono ambiti con una fortissima presenza maschile sia tra la forza lavoro che tra gli imprenditori. 

Quando si parla di condizionalità ci si riferisce a quote di donne per le imprese che parteciperanno ai bandi di gara, è un’azione potente e innovativa che non trova precedenti nel nostro paese e proprio per questo ha una definizione poco chiara (anche nel testo del PNRR).

PNRR e politiche di genere

Ad oggi sappiamo che la condizionalità si esplica con l’imposizione di quote sulle nuove assunzioni che permettano di garantire una maggior presenza femminile in occupazione. In altri termini, poiché nel testo si fa riferimento all’assunzione, leggiamo la condizionalità come un criterio impositivo da applicare ai nuovi contratti di lavoro che originano da questa tipologia di finanziamenti. Ciò dovrà essere normato, tramite specifici atti regolatori, che definiscono la percentuale minima di nuovi posti di lavoro da riservare alle donne” dice Valentina Gualtieri (Inapp, inGenere). 

E saranno proprio gli atti regolatori, data la trasversalità della misura nel Piano e considerata la forte eterogeneità dei progetti, il passaggio fondamentale per garantire la forza della misura. Bisognerà definire criteri che tengano in conto le diversità settoriali, professionali e le eventuali eccezioni. Per esempio non sarà possibile chiedere a chi si occupa di costruzioni la stessa quota di assunte di chi si occupa di cultura, ma allo stesso tempo bisognerà insistere sulle quote e sul vincolo e vigilare contro la tentazione, a fronte di una misura così forte, di costruire uscite di emergenza per consentire alle imprese di aggirare il vincolo. 

Se la condizionalità si riferisce all’occupazione delle donne, la premialità inserisce invece elementi qualitativi come per esempio la presenza delle donne nei consigli d’amministrazione, nella gestione di impresa e a tutti i livelli di carriera, l’adozione da parte delle imprese di misure a sostegno delle carriere delle donne, l’adozione di misure contro le discriminazioni di genere o il pay gap salariale. 

Vale la pena ricordare che, secondo la Banca Mondiale, gli appalti pubblici valgono un quinto del PIL, quindi gli strumenti di mainstreaming possono davvero dare una spinta notevole al riequilibrio della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Certo non è sufficiente a risolvere il problema ma è incentivante e promuove una cultura di parità anche tra i fornitori di servizi.

Le clausole di genere per la partecipazione a gare e appalti costituiscono il cosiddetto “gender procurement”: ossia un’acquisizione di beni e servizi che considera l’impatto sulla parità di genere e l’empowerment delle donne. La tipologia di clausole e criteri può essere molto varia come per esempio che a parità di punteggio vince la gara l’impresa guidata da una donna, o il rispettare dei parametri di genere per poter partecipare a gare sopra una certa soglia. Ci sono esempi di gender procurement in Svezia, Francia, Spagna, Germania, Australia.

In Italia abbiamo il caso recente della Regione Lazio che, dal 2020, ha inserito dei criteri premiali finalizzati a promuovere la parità di genere nelle grandi gare d’appalto. Il Lazio è un esempio interessante perché Andrea Sabbadini (Direzione Centrale Acquisti) e Valentina Cardinali (Consigliera di Parità della Regione Lazio) hanno lavorato a un sistema che non solo stabilisce dei criteri premiali, ma istituisce anche un sistema di controllo durante l’esecuzione del contratto che verifichi il rispetto dei criteri di genere.

Nel caso del Lazio i criteri di genere pesano circa il 10% del punteggio tecnico totale, tra le premialità ha un peso progressivo la percentuale di donne nella gestione (percentuale di donne nei ruoli apicali). Il lavoro della Regione Lazio è appena partito ed è ancora presto per valutare il risultato, ma sarà interessante osservare sia come si articolano i criteri a seconda delle gare, quale valutazione emergerà e quali cambiamenti strutturali produrrà nel tempo. 

In questo momento siamo in attesa che vengano emanate le linee guida del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero dei Ministri o delle autorità delegati per le pari opportunità e della famiglia e per le politiche giovanili e il servizio civile universale, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e, come specificato nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, con il Ministro per le disabilità, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame (ossia entro il 31 luglio 2021). Allo stesso modo siamo in attesa delle linee guida per la certificazione.

Quali sono le criticità su cui bisogna alzare il livello dell’attenzione: ci sono scarse informazioni riguardo allo stato dell’arte del tavolo di lavoro sulla certificazione delle imprese, a partire dalla sua costituzione e dalla scelta dei partecipanti (le imprese per esempio sono coinvolte?). Il “30% di risorse vincolate” ad alcuni tipi di destinatari include giovani (fino a 36 anni) e donne di tutte le età e disabili.

Questo potrebbe rappresentare una via di uscita facile per le imprese in settori a bassa partecipazione femminile per ovviare la componente di genere. Il comma 7 del decreto semplificazioni recita che le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti dei suddetti requisiti di partecipazione, o stabilire una quota inferiore, dandone adeguata e specifica motivazione, se l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Questo comma, usato in maniera indiscriminata potrebbe fornire una scorciatoia per ovviare le clausole.

A fronte di queste criticità il ruolo del monitoraggio civico sarà fondamentale per vigilare sulla reale attuazione degli strumenti di mainstreaming e sulla qualità della loro applicazione. Il senso del genere come trasversalità si esplicherà nell’attuazione e la società civile può giocare un ruolo fondamentale per verificare e indirizzare la reale messa in opera di un principio che rischia di rimanere sulla carta. Le prime avvisaglie le abbiamo con i dati sull’occupazione del mese di ottobre dove si vede un principio di ripresa, ma tutta al maschile.

NB: A Bologna il 30 novembre c’è stata una giornata di lavoro per comprendere le coordinate di genere del PNRR e iniziare a preparare il terreno per il monitoraggio civico. A promuoverla il Think tank Period che ha messo a tema il bisogno di dati che siano disaggregati (anche per genere) trasparenti e riutilizzabili come tema necessario per la trasparenza nell’utilizzo dei fondi e per consentire una piena cittadinanza alle cittadine e i cittadini.

Il convegno organizzato con la Regione Emilia Romagna ha visto una discussione politica e tecnica che dopo una mattinata di interventi ha previsto una sessione per tavoli di lavoro per identificare gli indicatori per il monitoraggio civico. Tutti i materiali sono disponibili sul loro sito https://www.thinktankperiod.org/dati-per-contare/

La riflessione appena letta e’ parte di quanto raccontato al tavolo su condizionalità e premialità su PNRR che ho avuto il piacere di coordinare.

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  • Barbara Leda Kenny

    Barbara Leda Kenny è caporedattrice di inGenere.it, esperta in politiche in genere, lavora per la Fondazione Giacomo Brodolini dal 2006". È stata rappresentante italiana al W20 del G20 dal 2015 al 2018, dal 2019 membro della Cabina di regia per la prevenzione e il contrasto della violenza degli uomini contro le donne della Regione Lazio e dell’Osservatorio sui Talenti del CNR. Fa parte del Comitato scientifico del media civico de Le Contemporanee.

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