le opinioni

Tante donne nella scuola, ma le cose cambiano troppo lentamente

a cura de Le Contemporanee


Si parla in questi giorni di scuola, dad e pandemia. Sono temi importanti, di cui parleremo presto approfonditamente sul nostro mediacivico.

Poco si parla invece di scuola, istruzione e della composizione di genere del corpo docenti e del corpo studentesco.

La presenza femminile nel mondo della scuola è molto alta. Tante maestre e professoresse, specie nelle classi inferiori e con stipendi piu’ bassi. A livello apicale, nonostante la stragrande maggioranza del mondo scolastico sia femminile, la presenza e’ abbastanza equilibrata tra uomini e donne. Quando si tratta di potere, perdiamo terreno anche quando siamo in maggioranza. Moltissime le studentesse con ottimi risultati scolastici e tantissime ragazze laureate, ma nelle materie che non favoriranno un loro inserimento nel mercato del lavoro. Più si cresce, più il divario aumenta, giorno per giorno e proprio tra i banchi scolastici prima e nelle aule universitarie dopo.

Il sistema va analizzato e forse ripensato. A partire dai dati, dalle evidenze, dalle incrostazioni e da una ottica di genere. Una ottica con la quale leggere tanti problemi in tanti diversi settori del nostro Paese.

Consigliamo la lettura dunque dell’analisi di Mila Spicola, architetta, docente, esperta del mondo della scuola e femminista.

La scuola e le donne al centro. Stop alla segregazione formativa e professionale

di Mila Spicola


Negli ultimi decenni gli studi di genere hanno approfondito l’analisi dei sistemi d’istruzione secondo un’ottica di genere, appunto, e da molti angoli di visuale: statistico, culturale, economico, sociale. Tali studi diventano, a loro volta, oggetto di investigazione: molte delle riflessioni e degli studi offrono basi di approfondimento per spiegare fenomeni culturali, sociali, statistici, economici che riguardano i sistemi in generale.

Esiste una vastissima letteratura e molti sono i campi e i temi di approfondimento, per cui questo contributo sul media civico delle Contemporanee non può e non vuole essere esaustivo, ma può fornire un po’ di titoli e di paragrafi utili per orientarsi.

La scuola è aperta a tutti e tutte e nelle norme i diritti di uguaglianza e pari opportunità sono assicurati. Di fatto il diavolo poi si annida non solo nei dettagli ma nei numeri, piccoli e grandi della scuola, che, messi insieme ci restituiscono un quadro complessivo in cui quei diritti sono di fatto compromessi.

Per cui, il taglio che daremo, ripeto non esaustivo, è quello di fornire qualche numero, e, con esso, qualche riflessione conseguente.

Il personale scolastico

Gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione, relativi all’anno scolastico 2019-2020, indicano la presenza di 716.483 i docenti a tempo indeterminato nella Scuola statale, di cui l’82,9% rappresenta la quota femminile, contro una media OCSE di poco superiore al 68%.

Rispetto a dieci anni fa, quando la percentuale era di 80,6%, l’incremento è di oltre due punti percentuali. La percentuale di donne è maggiore via via che si scende nel ciclo di scuola, ad esempio l’educazione nella Scuola dell’infanzia è quasi interamente appannaggio delle insegnanti donne (97%). Così come diminuisce lo stipendio.

Il divario di genere nell’insegnamento aumenta con il decrescere del grado scolastico. Non solo, scopriamo che si assottiglia quando consideriamo le cariche più alte.

Solo il 22% degli insegnanti di Scuola secondaria di primo grado è rappresentato da uomini, ma il 45% dei Dirigenti scolastici è di sesso maschile. Un valore che è anche in incremento, dato che dieci anni fa si assestava al 43,2%.

Tale squilibrio è oggetto non solo di studi, ma anche di provvedimenti normativi, soprattutto europei.

Ne cito solo uno: la Risoluzione del Consiglio europeo su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione. Dove si legge che “le professioni tradizionalmente dominate da uomini o donne dovrebbero essere ulteriormente promosse presso le persone del sesso sottorappresentato. È inoltre necessario adoperarsi ulteriormente per conseguire un adeguato equilibrio di genere nelle posizioni dirigenziali negli istituti di istruzione e formazione” e si evidenzia l’urgenza diadoperarsi per ridurre gli squilibri di genere a tutti i livelli e in tutte le tipologie di professioni connesse all’istruzione e alla formazione.”

Il monopolio della docenza al femminile che è spesso tema dibattuto nella ricerca, ma anche dall’opinione pubblica e dalla politica, costituisce effettivamente una criticità?

Non entro nella riflessione sulle ricadute educative, ma mi limito a quelle sulle analisi degli aspetti professionali: da sempre l’insegnamento è assimilato a un lavoro di cura, che svolgono le donne, o, viceversa, lo svolgono le donne e dunque è di cura.

Questo ha comportato conseguenze a livello istituzionale e politico, da sempre: il minore interesse verso la professionalizzazione offerta e pretesa e la bassa remunerazione, un’organizzazione didattica e contrattuale rigidamente legata alla natura di lavoro femminile, un deficit di attenzione sulle condizioni di lavoro, sia a livello individuale della stessa insegnante, sia a livello sociale.

Il dato della bassa remunerazione inizia fin da subito: con la legge Casati, che istituì l’obbligo dell’istruzione di base a tutti e tutte, affidato ai Comuni, i quali per reperire velocemente insegnanti “arruolarono” le donne, pagandole meno dei maestri maschi. Oggi gli stipendi sono equiparati, ma lo squilibrio di genere è rimasto, come anche quello economico.

(Suggerimento di approfondimento: Rapporto Eurydice Europa, Differenze di genere nei risultati educativi: studio sulle misure adottate e sulla situazione attuale in Europa)

La distribuzione della popolazione studentesca

La scuola è aperta a tutti e a tutte e in maniera uniforme. I maschi sono quasi quanto le femmine.

Nel ciclo primario si insegnano a tutti e tutte le stesse materie in classi miste, anche in questo caso la realtà scolastica sembra seguire la promozione delle pari opportunità dettata dalle norme, al momento della scelta però le femmine si indirizzano perlopiù verso studi umanistici e i maschi verso studi scientifico/tecnologico/matematico.

I motivi di questa scelta generalmente li abbiamo individuati nella permanenza di stereotipi di genere che portano a considerare le bambine meno portate per la matematica e le scienze e più orientate alla lettura e alle materie letterarie e i bambini viceversa. Una propensione che poi si confermerà nella scelta di indirizzo professionale. Per cui le donne tradizionalmente andranno a scegliere studi che portano a professioni tradizionalmente svolte alle donne, assimilate alla cura, perché “maggiormente predisposte” e gli uomini quelle in ambito scientifico matematico tecnologico ingegneristico in cui gli uomini sono meglio predisposti. Sta di fatto che i “lavori delle donne”, assimilati a lavori di cura, subiscono stesso trattamento delle maestre della fine dell’800, saranno i mestieri meno pagati e meno qualificati.

Non solo, oggi sono quelli con minori opportunità occupazionali, oppure quelli che sembrano esigere minori qualificazioni e aggiornamenti per svolgersi, sul versante dell’innovazione tecnologica e/o digitale, quando invece non è così, esattamente come per la professione delle insegnanti.

Il fenomeno di cui stiamo parlando si chiama segregazione formativa di genere che si accompagna alla segregazione professionale di genere.

In Italia i due fenomeni sono molto vistosi, è oggetto di studi abbiamo detto, e di provvedimenti normativi, apprezzabili, ma a oggi inefficaci.

Perché sono necessari supplementi di analisi e di approccio?

Abbiamo detto che lo stereotipo imperante è quello di minori o maggiori attitudini di genere verso alcuni ambiti o verso alcune materie, che “passa” fin da subito dagli adulti ai bambini e alle bambine, già dai 3 e dai 4 anni. In realtà non è solo o tanto questo lo stereotipo, è più complesso. A ben guardare lo stereotipo reale, quello che più resiste, non è quello legato alle attitudini, ma al ruolo. Cioè al tipo di lavoro che si andrà a fare, alla sua collocazione sociale, al suo svolgimento, alla sua natura.

Per far capire meglio la cosa ricorriamo ancora una volta ai numeri. Intanto va ricordato che le femmine si diplomano un po’ più degli uomini, dato abbastanza noto. Sono molte le analisi sui numeri riguardanti le scelte delle scuole superiori per genere, sappiamo che le ragazze scelgono perlopiù i licei umanistici o i tecnici , mentre è più interessante analizzare i numeri all’università con uno sguardo di genere. Aiutiamoci con delle tabelle.

La popolazione studentesca universitaria e la segregazione formativa di genere

Donne e scuola - Popolazione studentesca
Tabella 1 – Popolazione studentesca

I dati sulla popolazione studentesca universitaria al 2020/21 danno come predominante la percentuale femminile sia nelle immatricolazioni, che negli iscritti, che nei laureati. E così anche le serie storiche degli ultimi anni: è un trend crescente. Nel 2020: 334.850 laureati di cui 196.384 donne e 138.466 uomini

Donne e scuola - Percentuali maschili e femminili all'università
Grafico 1 – Percentuale femminile su numero totale di immatricolazioni e lauree

Dunque migliori risultati, eppure poi qualcosa non funziona se le donne in Italia lavorano meno, guadagnano meno e occupano meno posizioni apicali. Siamo il Paese europeo con la più alta disoccupazione femminile e con il maggiore differenziale salariale tra uomini e donne. Una discriminazione di fatto che può essere analizzata in riferimento ai temi di cui stiamo trattando: gli ambiti di lavoro maggiormente occupati dalle donne sono quelli che hanno minori opportunità occupazionali e salari inferiori. Le scelte professionali e di indirizzo di studio sembrerebbero libere in realtà in modo inconscio non lo sono, ricalcano convinzioni profonde, stereotipi appunto, che finiscono col condizionare scelte, vite, percorsi come anche organizzazione sociale, economica e produttiva.

La forte segregazione formativa di genere diventa segregazione professionale di genere (sono le definizioni del fenomeno che stiamo osservando), ed è molto utile restituire una fotografia del fenomeno attraverso i numeri.

Ad esempio studiamoci gli iscritti per ambito (sia le triennali che le magistrali) e genere:

Tabella 2 – Iscritti universitari per ambito e genere
Tabella 3 – Laureati per genere

I numeri sui laureati divisi per ambito e genere

Donne e scuola - Tabella 3  - Iscritti dottorati di ricerca
Tabella 4 – Iscritti dottorati di ricerca

(Fonte delle tabelle: http://dati.ustat.miur.it )

Vediamo che le scelte universitarie confermano grosso modo le scelte e i numeri che si leggono per le scuole superiori, però ci dicono qualcosa di più:

  • Gli ambiti educativi, di scienze umanistiche e sociali hanno una predominanza femminile. Lo sapevamo già, ma lo verifichiamo nell’entità
  • L’ambito scienze naturali, matematico, statistico ha una predominanza di iscrizioni femminili, e no, i più non lo sanno, le iscrizioni a matematica sono più o meno uguali tra maschi e femmine, in alcuni atenei sono più le femmine. A negare di fatto lo stereotipo sulle attitudini, o quanto meno, che è un po’ più complessa la cosa e che quello stereotipo “non danza solo”.
  • L’ambito medico e della salute è a predominante presenza femminile, anche questo un ambito scientifico che smonta lo stereotipo della scarsa attitudine
  • L’ambito ingegneristico è quello a forte predominanza maschile, e anche questo sapevamo
  • Nella tabella sui dottorati poi notiamo un ambio non rilevato nelle altre tabelle: quello in Information Technologies ovvero, l’ambito del digitale e delle tecnologie connesse, e questo è a grossa prevalenza maschile.

Cosa possiamo trarre da questi numeri?

Lo stereotipo abbastanza noto e studiato sulle attitudini è “guidato” da un altro stereotipo, molto più radicato e forte, direi quasi un archetipo: quello del ruolo. Tutto quello che porta a professioni in qualche modo legate alla cura o a mondi tutto sommato considerati ammissibili per una donna è scelto perlopiù da donne, vale per l’ambito medico, che viene assimilato a forte predisposizione verso la cura, vale anche per le scienze e la matematica, perché sbocco all’insegnamento, e anche la ricerca scientifica reca con sé il pregiudizio che comunque è un lavoro che una donna può fare.

Laddove viene fuori in maniera macroscopica è nelle professioni ingegneristiche, nelle costruzioni e in quelle informatico-tecnologiche. Quello che è stato poco rilevato è che la scarsa presenza delle donne in quei percorsi non è dovuta allo stereotipo sulle scarse attitudini verso quelle materie (io stessa ne avevo scritto qualche anno fa qui). I numeri negano l’incisività di questo pregiudizio sulle scelte degli indirizzi universitari, le ragazze sono molto presenti nei percorsi universitari scientifico matematico, come abbiamo visto, la scarsa presenza che rileviamo nelle professioni ingegneristiche, nelle costruzioni e in quelle informatico-tecnologiche è da mettere in relazione con un altro stereotipo, ben più potente, quello del ruolo, ovvero in relazione al lavoro che si andrà a svolgere. Dunque il lavoro di contrasto che si deve mettere in campo non deve fermarsi alla promozione della disciplina, della matematica o delle scienze, deve allargarsi a un enorme lavoro di role modeling e di abbattimento degli stereotipi di ruolo.

Un focus ulteriore va fatto sui gap nei percorsi di studio informatico-tecnologico e digitale. Quello dell’innovazione, anche se ormai da venti anni circa siamo immersi nella rivoluzione digitale e tecnologica che ha mutato scenari sociali, culturali, economici e produttivi, è tuttora un mondo nuovo e poco conosciuto, poco esplorato, non solo nell’immaginario collettivo, ma anche nel sistema d’istruzione, al di là delle intenzioni e delle iniziative che si sono succedute negli ultimi anni.

La pandemia ce lo ha rivelato chiaramente questo limite.

I docenti sono poco digitalizzati, ma soprattutto gli studenti. Siamo tutti forniti di dispositivi digitali, ma ne sappiamo pochissimo. La nostra popolazione scolastica è tra le meno alfabetizzate del mondo dal punto di vista informatico e digitale. E una ragione c’è: non esiste un insegnamento strutturale e strutturato in informatica o in educazione digitale in nessun segmento della scuola, se non in alcuni indirizzi specifici alle scuole superiori. Non esiste alla primaria e non esiste nella secondaria di primo grado. La stessa ora d’informatica, presente nella classe d’insegnamento in Tecnologia, nella secondaria di primo grado, pur coi sui limiti una funzione di trasferimento di conoscenze di base l’aveva fino a quando quell’insegnamento non è stato depotenziato di un’ora.

La scelta delle professioni in questo ambito è minoritaria anche per i maschi, seppur in misura maggiore che per le femmine. In una recente indagine Ipsos sui trentenni e le scelte professionali uno su tre dichiarava di non aver valutato la scelta di percorsi di studio nel digitale non per scarso interesse o scarsa attitudine ma semplicemente perché ne aveva pochissime informazioni e perché non aveva mai incontrato insegnamenti in merito lungo tutto il percorso scolastico, al di là dell’uso di un pc o un tablet. O a meno di averlo scelto come percorso specifico di tipo tecnico o professionale. Ma chi ad esempio ha un diploma di maturità classica, se non per motivi fortuiti e discrezionali, ha un’alfabetizzazione informatica e digitale molto scarsa. Abbiamo pochi laureati e pochi addetti, in generale, non quanto le ragazze certo, ma sono pochi. Ma abbiamo le risoluzioni europee recepite dall’Italia secondo cui la competenza digitale è una delle 8 competenze chiave da certificare sia alla fine del primo ciclo che al diploma di maturità: cosa e come lo certifichiamo? È un tema generale, ma ha ricadute sostanziali in un’ottica di genere.

Negli ultimi anni, grazie al crescente interesse, alle tante iniziative, sia da parte istituzionale che associativo, che ci sono state al riguardo per promuovere le discipline Stem tra le ragazze, la situazione sta migliorando. Quest’anno si è registrato un +16,36 % di iscrizioni femminili nelle facoltà informatiche, ma restano comunque un sesto dei loro coetanei. È un segnale importante di un cambio di passo da parte delle nostre studentesse, ma andrebbe favorito ancora di più con interventi strutturali. In modo da raggiungere tutta la platea studentesca e in modo continuativo. Il discorso riguarda le competenze digitali come quelle economiche e finanziarie.

Il tema è ampio e va preso e ripreso. Ci sono delle azioni che si sono fatte e altre se ne possono fare. Sicuramente quello che mostrerebbe maggiore efficacia sarebbe l’agire in modo strutturale e non in modo estemporaneo con la logica dei progetti o dei bandi: non coprono la platea totale e non sono continui. Occorrerebbe iniziare dalla formazione dei docenti, che poi, in maggioranza donne abbiamo visto, spesso non hanno consapevolezza degli stereotipi di ruolo: formarli e selezionarli anche nelle questioni di cui abbiamo accennato apre l’orizzonte, la consapevolezza è quella decisiva nel cambio di passo.

È necessario inoltre comprendere in tutte le iniziative gli studenti e le studentesse insieme. Insistere nella formazione informatica, digitale, aggiungo economica e finanziaria, aiuta a scalfire sempre di più i pregiudizi sul ruolo. La canea di iniziative stem solo per le bambine o solo per le ragazze rischia di creare ghetti che poi sostanzialmente non mutano di molto la situazione, incanalandole in settori poi comunque tradizionali “da donne”. Fare misurare insieme ragazzi e ragazze in discipline e in ruoli i più ampi possibili, aumentando il ventaglio delle possibilità insieme a quello delle capacità. Fornire a tutti conoscenze e competenze comuni negli ambiti che oggi rappresentano non solo nuovi strumenti di scelta professionale ma vere e proprie life skills per rendere allo stesso modo indipendenti, autonomi nelle scelte, perché si possiedono orizzonti più ampi di visuale e sicuri di sé sia i ragazzi che le ragazze.

LA PAROLA A VOI

I dati ci dicono che la presenza delle donne nel mondo della scuola, dai banchi scolastici a quelli universitari, dal corpo docente a quello dirigente, è molto rilevante. Eppure la scuola continua a non preparare le ragazze ad affrontare il futuro e a inserirsi in percorsi lavorativi remunerativi e di successo. Che fare? Come cambiare le cose? La parola a voi.

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  • Mila Spicola

    Laurea in Architettura, già ricercatrice precaria in Storia dell’Architettura alla Sapienza di Roma, specialista in Restauro dei Monumenti ed esperta in Conservazione e Valorizzazione dei Bbcc, nel luglio del 2007 accetta la cattedra di ruolo in una scuola media di periferia a Palermo.  Dottoranda in Innovazione e Valutazione dei Sistemi d'Istruzione presso il Dipartimento di Pedagogia di UniRomaTre. Autrice di “La scuola s’è rotta”, Einaudi, 2010. Dal 2010 collaboratrice de L'Unità, autrice del blog "La ricreazione non aspetta". Organizzatrice e ideatrice insieme a Emma Dante degli incontri di teatro civile “Cu arriva ietta vuci”.  È stata  consulente tecnico del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per gli ambiti politiche educative di genere e piano nazionale scuola digitale, ha collaborato alla riforma della formazione iniziale e selezione dei docenti. Eletta negli organi di partito alle primarie del 2007, rieletta nel 2009, è stata responsabile scuola del Pd a Palermo fino al luglio 2010.  Dirigente nazionale dello stesso partito fino al 2016, oggi indipendente. Sempre antagonista, mai massimalista. Femminista e contemporanea.

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