L’Italia avrà un premier donna e quella donna è Giorgia Meloni. È l’ovvio culmine dell’ascesa femminile nell’area del Centrodestra, imparagonabile per quantità e ruoli ricoperti al percorso, assai più timido, delle donne degli schieramenti concorrenti. C’era da aspettarselo, non è una sorpresa, ma anzi un dato largamente metabolizzato da molti mesi, ben prima che la caduta di Mario Draghi innescasse le elezioni anticipate. E si può dunque andare avanti, aprire il libro di “Giorgia Premier” e incominciare a leggerne la trama, che peraltro al momento risulta piuttosto misteriosa.
La prima e più sicura conseguenza riguarda l’effetto-traino che una leader e premier donna indubbiamente susciterà nei partiti. Diventerà impossibile riproporre la sfilata di tutti-maschi che abbiamo visto alle consultazioni del 2018. Far crescere figure femminili “alternative” risulterà obbligatorio. Pd e M5s sono in forte ritardo su questo e dovranno attrezzarsi: le donne di quegli schieramenti hanno un’occasione irripetibile per farsi avanti e rivendicare un posto al sole.
Il secondo punto da considerare è meno certo, ancora avvolto dalle nebbie, e riguarda l’impulso diretto che Meloni darà al protagonismo femminile. Ha più volte dichiarato di non credere alle quote ma al merito: in teoria potrebbe addirittura proporre un governo più femminile di quelli visti finora. In pratica il toto-ministri che abbiamo letto sui giornali è costruito quasi esclusivamente su personalità maschili, e dunque il punto interrogativo è d’obbligo: quante ministre e quanti ministri? Avremo al tempo stesso la prima premier donna e l’esecutivo meno “rosa” degli ultimi anni? Si vedrà, e anche su quello si potrà soppesare la sincerità sul tema Merito/Quote.
Una più complessa zona d’ombra riguarda l’interpretazione del “Dio Patria Famiglia” che è stato lo slogan centrale della campagna: uno slogan “mazziniano” hanno più volte ripetuto gli esponenti di Fratelli d’Italia rispondendo alle critiche di chi ci vedeva, al contrario, una proposta involutiva verso gli anni ’50, verso l’Italia pre-riforme della sottomissione femminile dettata da concezioni sorpassate della religione, della nazione e della struttura sociale.
Dubito che Meloni possa lavorare apertamente contro le conquiste di parità – il mondo Pillon-Gandolfini non è il suo – ma di sicuro lavorerà contro la cultura woke e adotterà una prospettiva conservatrice su alcuni diritti delle minoranze (adozioni gay e ius culturae tra tutti): l’hanno votata anche per questo, è ovvio che non cambierà idea. Ma un conto è chiudere la strada a nuove riforme, e altro conto è picconare quelle che esistono.
Sarà infine interessante vedere come Giorgia Meloni si rapporterà con le due “grandi d’Europa”, Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, così diverse da lei per provenienza e formazione ma interlocutrici obbligate nella prossima fase. La destra italiana ha finora agito e lavorato dentro i suoi confini culturali e politici, il confronto con il “fuori” è stato sempre poco attivo o addirittura conflittuale. Secondo logica la leader di Fratelli d’Italia dovrebbe entrare nel salotto europeo con la diffidenza e magari l’ostilità dell’outsider che ha abbattuto la porta a spallate. Ma anche questo non è detto. L’essere donna tra le donne talvolta genera dinamiche anomale e sorprendenti.
Persino chi questo risultato lo ha osteggiato, non lo voleva, lo ha combattuto anche in nome dei rischi per i diritti delle donne, non potrà negare che la situazione è politicamente interessante.
Gli italiani hanno scelto in consistente maggioranza di affidarsi a una donna, e già questo è stupefacente, clamoroso, inedito. Non ci sono possibili pietre di paragone e precedenti: dunque la risposta alla domanda “è un bene o no per le donne italiane?” andrà costruita a braccio, man mano che si va avanti a leggere i capitoli del nuovo libro che hanno aperto gli italiani.
Poi, più avanti, quando i risultati saranno solidi e analizzabili, si capirà anche un dato capitale per ogni giudizio: per chi e per cosa hanno votato le donne. Quello sarà l’obbligatorio punto di partenza di ogni analisi strutturata del voto da una prospettiva femminile.
Una risposta
La lotta alla discriminazione delle donne è storicamente una battaglia di sinistra, ma le ministre finora le nominava la destra (Carfagna, Gelmini, ecc.) e l’unica donna leader di un grande partito è di destra. C’è qualcosa che non torna. O forse no…