Istantanea

Venezia celebra il Capitale Umano delle “Povere Creature!”

Se è vero che, come ammoniva bell hooks, “Il femminismo è per tutti”, non parrebbero sussistere dubbi sull’adesione a quell’invito, da parte del cineasta di Pangrati. Sì: perchè dopo “La Favorita” (magnetico triangolo di sesso e potere, con al vertice una Olivia Colman in stile “io posso, voglio  e comando”) Yorgos Lanthimos torna ad incantare l’80esima Mostra del Cinema di Venezia con una fiaba dark che è un potente inno di liberazione sessuale, che abbraccia ed investe con la sua vibrante protesta i deliri di onnipotenza dell’uomo moderno.

Poor Things” (titolo che sembra strizzar l’occhio proprio a quei pamphlet che fissavano irrevocabilmente la natura lacrimevole e sentimentale della donna, bisognosa di protezione e patrocinio), tratto dall’opera omonima di Alasdair Gray, narra infatti la vicenda di Victoria/Bella Baxter che, dopo aver scelto di porre fine alla propria vita gettandosi nel Tamigi, viene ripescata cadavere dall’ambizioso scienziato Godwin, uomo dal volto deformato in quanto frutto di un sadico esperimento del padre.

“God” (un Willem Dafoe dio e demiurgo), farà rinascere a nuova vita Bella, decidendo di trapiantare nel suo cranio il cervello del neonato che portava in grembo.

Il risultato di questo folle esperimento si rivelerà al di sopra di ogni aspettativa: Bella, donna adulta con le capacità cognitive di una bambina, inizierà un percorso di apprendimento e di scoperta di sé in rapidissima ascesa, divenendo ben presto un’entità ingovernabile ed anche fin troppo problematica persino per un “Dio”.

A dar corpo e anima all’eroina gotica di Lanthimos, la protagonista di un sodalizio già esperito con “La Favorita”: una eccezionale Emma Stone. La sua, è una vis grottesca e drammatica, che si arricchisce (mentre nei panni di Bella  impara a muovere i primi passi) delle movenze tragicomiche della slapstick comedy, divenendo perfettamente padrona di quella comicità stentorea che, ironia della sorte, prosperò proprio grazie ad iconici performer uomini.

Sensuale e volitiva, carnale ed intellettuale, Bella è una donna nova, incorrotta e perciò irrefrenabile. Sottratta al nido di God da Duncan Wedderburn (avvocato senza scrupoli, cui presta il volto in una veste inusuale il golden boy Mark Ruffalo) inizierà al suo fianco un vorace viaggio europeo di liberazione sessuale, ma non solo. 

Perchè la parabola di Bella è soprattutto un affrancamento dagli schemi dell’oppressione, del patriarcato e della donna-oggetto, incatenata al gineceo e alla maternità (che lei stessa, d’altronde, ha rifiutato): una rinascita dei sensi e dell’intelletto, che passa necessariamente attraverso un libero esercizio della sessualità. Ma che non può tralasciare, neppure,  la sete di sapere, di letture; di risposte in grado di decriptare il senso della vita, e delle leggi inestricabilmente aggrovigliate che, confusamente, la governano.

Nel corso del suo viaggio, Emma Stone usa con disinvoltura e libertà il proprio corpo, quale strumento espressivo e narrativo che, spogliandosi, svela anche le incongruenze ed i malfermi costrutti su cui si erge la società a misura di “maschio”. Per assicurare alla sua stella un invalicabile zona di comfort, d’altronde, Yorgos Lanthimos non si è risparmiato, assoldando addirittura un “coordinatore di intimità” in affiancamento sul set.

La performance di Stone è all’altezza delle attese: il suo itinerario europeo assurge a livelli progressivi di conoscenza, come una dialettica hegeliana in costante autosuperamento.  Tramite esso, la critica di Lanthimos non risparmia neppure la spietatezza dell’uomo scienziato e consumista, sempre meno timoroso di provare a sovvertire le leggi della natura; così come stigmatizza il “potente superomnista” che oggettivizza il suo prossimo ma che, così facendo, diviene “un oggetto” egli stesso, poiché smarrisce la sua umanità. 

Sul finale, ecco dunque stagliarsi nuovamente il titolo dell’opera, per quel che è il suo effettivo significato: quelle “Povere creature!” sono, forse, proprio gli uomini, rapaci nei confronti di Bella ma, in conclusione, passivamente vampirizzati; meri strumenti della sua auto-affermazione invincibile . O – altrettanto probabilmente – tutti noi, in balia della giostra frenetica di una  vita che neppure la più alta pretesa di conoscenza potrebbe mai riuscire a governare.

Emma Stone, così pervasiva nella sua fisicità fiabesca e timburtoniana, si riconferma un’interprete coraggiosa e libera, mai timorosa di indossare sullo schermo il guanto della sfida. Le sue eroine (dalla salace Olive Penderghast di Easy- A, che la consacrò al grande pubblico, sino alla delirante young Cruella) hanno il volto della donna contemporanea, poliedrica e risoluta a (ri)prendersi tutto ciò che si può.

Sarà forse proprio per questo che, all’80esima edizione della Mostra del Cinema, Emma Stone, qualcosa di grande se lo è già preso: una Standing Ovation lunga otto minuti, che consacra il trionfo di una Star donna ad una kermesse laddove il rischio di una dominazione della vigorosa epopea maschile Comandante, o dell’esaltazione mitica dell’Uomo Imprenditore Enzo Ferrari si profilava assai inevitabile.

Un trionfo che va a braccetto con un altro riconoscimento importantissimo: il Leone D’oro alla Carriera alla regista Liliana Cavani. Secondo, ad una regista donna, sulla totalità dei venticinque cineasti premiati in questi anni.

Il monito di Cavani (che non tralascia di far calare un’onestissima scure pure sui rigurgiti fascisti), d’altra parte, è chiarissimo: “Molte donne registe e sceneggiatrici lavorano bene al pari degli uomini. Anche le donne possono fare bei film. Diamo loro la possibilità di essere viste.”

E di nuovo, una Standing Ovation. Che ci rende assai difficile non rammentare, per un attimo, che anche le stelle che illuminano il nostro firmamento (e probabilmente,  non a torto) sono marcate proprio da un sostantivo di genere femminile

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  • Rebecca Loffi

    Rebecca Loffi ha conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano nel 2016, specializzandosi in Comunicazione.  Attualmente, svolge attività di ufficio stampa per il terzo settore, con particolare riguardo alla fragilità. Da sempre vicina all'associazionismo e alla lotta attiva per i diritti civili, fa parte dell’Associazione Radicale Fabiano Antoniani, nata dalla difesa del fine vita.

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