Quando la libertà di stampa può dirsi in pericolo? Quale modello per il futuro?

Fortunatamente non sono mancati gli attestati di stima e solidarietà ai due direttori de Il Messaggero e de L’ espresso, Alessandro Barbano ed Enrico Bellavia e alla direttrice de La Svolta Cristina Sivieri Tagliabue.

Ma tre direttori di giornali, quotidiani, magazine e online licenziati per incompatibilità con l’editore, non è certo una bella notizia per la stampa italiana e per la salute della nostra democrazia che da sempre è frutto del delicatissimo equilibrio tra poteri. Fra questi la libertà di informazione è una condizione imprescindibile.

Alcuni diranno: va beh, è solo un caso, non parliamo nemmeno di gruppi editoriali simili, né di mandanti politici espliciti, altri diranno che leggere in questo un qualche termometro politico della situazione in Italia è eccessivo, altri prenderanno in giro, sottolineando il fatto che da quando governa la destra, adesso è tutto un al lupo al lupo o al fascista.

Tutte queste cose sono un po’ vere, verosimili e al tempo stesso sono un po’ anche false.

Perché se in Italia in vari periodi storici c’è stato un problema di indipendenza del giornalismo, è frutto dei tanti, troppi conflitti di interesse di questo Paese. Dirlo, però, è come annunciare la scoperta dell’ acqua calda. Peraltro, nessuna forza politica o gruppo editoriale è al riparo da certi riflessi partigiani o censori.

I giornali sono aziende, vivono di pubblicità e inserzionisti molto più di quanto non vivano di finanziamenti pubblici all’editoria (almeno alcuni giornali importanti e anche quelli più piccoli) . Dunque è abbastanza lecito pensare che nessun giornale pubblichi notizie o editoriali che diano esplicitamente contro a un finanziatore o a una azienda che paga pagine di pubblicità, grandi eventi o altro. Magari una notizia rilevante si dà anche, ma si aggiunge alle parole o alle righe un un bel po’ di ammorbidente o un acchiappacolore per evitare macchie indelebili.

I giornali ormai sono aziende in cui, sul lato delle entrate, pesano più il settore eventi e pubblicità che il numero di copie vendute, gli abbonamenti o i click a pagamento.

Anche quanti vantano di vivere solo di abbonamenti, scava scava, hanno sempre qualche finanziatore interessato, quando non società che ricevono consistenti flussi di denaro da Russia e Cina, tanto per dirne una.

Del resto, anche vivere solo di finanziamenti pubblici all’editoria, editoria soggetta a potere politico per erogazione o tagli, è di per sé un conflitto di interesse.

È un conflitto migliore o peggiore degli altri? Non saprei dirlo. E forse neanche voi.

Il punto vero, dunque, non è se esistano i conflitti di interesse: tutti i mezzi di informazione hanno per propria natura conflitti di interesse di ogni sorta, ordine e grado. Perfino ogni giornalista.

Il punto vero è stabilire quanto la pressione di un editore possa essere lecita o sconveniente prima di pensare che la libertà di stampa sia realmente in pericolo. Quali contrappesi si possano usare per limitare i danni e offrire un buon servizio a chi legge.

Esiste la censura, esiste la convenienza, capita perfino l’autocensura che alcuni chiamerebbero eccesso di zelo.

La stampa in alcune parti del mondo e in Italia soffre di tutte queste variabili e di un sistema economico e di editoria che sempre più allontana il buon giornalismo da cittadine e cittadini e che molto frequentemente abdica al proprio ruolo formativo, oltre che informativo.

L’Italia secondo le più recenti classifiche sulla libertà di stampa ha perso posizioni. Il World Press Freedom Index 2024, la classifica della libertà di stampa stilata da Rsf, racconta un Paese al 46esimo posto. Meglio di noi fanno Tonga, Fiji, Slovenia. Primi in classifica Norvegia, Danimarca e Svezia, chiudono l’Afghanistan, Siria ed Eritrea, ai posti numero 178, 179 e 180.

Malino, dunque.

Quello che abbiamo visto in questi giorni è una accelerazione di questi fenomeni e a farne le spese sono stati bravi giornalisti e giornaliste, alcune di queste avevano contribuito a creare ex novo un progetto editoriale legato a tematiche importanti, come quelle della sostenibilità ambientale e sociale. È il caso di Cristina Sivieri Tagliabue, che conosce bene Le Contemporanee che ha contribuito a fondare e che certo non meritava il trattamento ricevuto dall’editore.

Quel che succede a una di noi, quel che succede alle persone che meritano di fare il mestiere per cui hanno faticato o per progetti che hanno letteralmente realizzato in ogni loro parte, succede e tocca tutti/e noi.

La questione dunque ci riguarda, e riguarda tanto più un Mediacivico come il nostro, che è uno spazio aperto e senza censura, in cui gli unici requisiti richiesti sono avere qualcosa di importante da dire, saperla dire, essere educate.

Raccontiamo e vogliamo che raccontiate ciò che vi sta a cuore e che ha una ricaduta per la collettività.

La domanda che rivolgiamo a tutte e tutti oggi proprio a partire dai fatti raccontati, è se sia davvero possibile immaginare per l’informazione un futuro diverso.

Una informazione che utilizzi canali di finanziamento differenti, che riesca a fare partecipare i propri lettori a una impresa libera e civica.

Quale può essere un nuovo modello per avere accesso a contenuti di qualità, liberi e senza censura? Possono esserlo realmente anche i mediacivici?

La risposta è tutt’altro che semplice, ma va cercata e trovata insieme.

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  • Le Contemporanee

    Le Contemporanee, il primo media civico in Italia dedicato alle donne e contro ogni discriminazione. I contributi contenuti nel media civico con autore "LeC", sono testi e contenuti a cura del nostro staff.

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COMMENTI

Una risposta

  1. “Il silenzio dei lettori e delle lettrici.
    In un giorno di silenzio elettorale penso a quello che sta accadendo alla stampa nazionale.
    I licenziamenti dei tre direttori Barbano, Bellavia e Sivieri Tagliabue per motivi diversi, ma tutti ascrivibili a una errata interpretazione della deontologia professionale e a un presunto bilanciamento con le richieste dell’editore. Quando Cristina Tagliabue ha immaginato e fondato la Svolta nel 2021 abbiamo seguito con attenzione un nuovo giornale dedicato all’ambiente, ai diritti, alla sostenibilità.
    Il licenziamento per asserita” giusta causa “,solo perché la redazione aveva sottolineato il coinvolgimento dell’editore Pietro Colucci nelle inchieste liguri, lascia perplessi anche per l’immediata sospensione del giornale che stride con le ragioni addotte di sostenibilità economica.
    Silenziare voci che informano i lettori su fatti, peraltro, di dominio pubblico mi sembra un vero boomerang per un editore, un imprenditore dei rifiuti che aveva ospitato nelle sue pagine un grande lavoro giornalistico di sostenibilità sociale. Forse ha pensato che il silenzio fosse più “sostenibile “e ha vissuto come un attacco personale l’informazione. Un’operazione di greenwashing durata tre anni finita nel silenziare violentemente voci non abituate al silenzio? Sarebbe molto triste per chi ha creduto che la Svolta fosse una nuova voce del mondo dell’associazionismo e delle imprese illuminate.
    Stupisce anche la distanza delle reti femminili nei confronti dell’ideatrice e direttrice, nota negli anni passati per il suo impegno sociale e professionale per i diritti delle donne. L’unica voce che si è alzata è quella di GIULIA giornaliste nel silenzio assordante delle altre.
    Al di là della mia amicizia personale con Cristina tutta la mia solidarietà va a chi con passione, competenze e forse ingenuità crede nella libertà di stampa.”Stavo pubblicando questo quando ho letto il commento delle Contemporanee. L’unica cosa che sento di aggiungere è che viviamo un momento estremamente rischioso per i diritti e non solo quelli della stampa libera. Mi piacerebbe un commento ideale di Montanelli e di Biagi .

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