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Il conflitto israelo-palestinese: per “schierarsi” occorre senso di realtà

Mi è impossibile schierarmi in questa guerra orribile che sta uccidendo migliaia di persone in Medio Oriente. Non è una situazione netta come in Ucraina, dove c’è chiaramente un aggredito e un aggressore. Dove è impossibile sbagliarsi se si è in buona fede.

In Medio Oriente, di netto non c’è nulla. Hamas un anno fa ha attaccato i kibbutz in maniera tragica e devastante. Uno scempio senza appello. E però da decenni gli israeliani non si difendono soltanto da chi, in quella terra, non li ha mai voluti. Da decenni rosicchiano senza sosta e con sempre con maggiore impunità territori che a loro non appartengono. Lo fanno perché possono, che è poi la peggiore delle ragioni. Controllano in pieno i mezzi di sostentamento di un intero popolo, non il loro. La sinistra israeliana non l’ha mai impedito davvero, e di questo è colpevole, perché ha contribuito anche lei a fare crescere il risentimento palestinese. La destra israeliana invece si è spostata sempre più a destra e ormai non ha più timore di pretendere la costruzione della Grande Israele, senza palestinesi e ben oltre il confine del fiume Giordano. Questo è il momento giusto perché è forse il momento della massima potenza di Israele nella storia moderna.

Poi c’è l’enormità dei numeri, che in troppi pretendono non contino, che non valgano, che siano un collaterale inevitabile. Ci sono quei 1700 morti a fronte di oltre50mila morti. Israele per uccidere un militante di Hamas non si fa scrupoli ad uccidere come danni collaterali decine di civili. Ma non avevamo sempre condannato gli Usa quando uccidevano qualche civile per sbaglio? Perché la stessa cosa non deve valere per Israele?tanto più che il differenziale delle vittime sui due campi non solo toglie il respiro ma che è prova dell’enorme ed effettiva disparità di mezzi tra gli uni e gli altri. C’è chi combatte con il bazooka e chi con la fionda. Non, non è un conflitto ad armi pari. Non fino ad adesso. Soprattutto non ora che l’Iran si è scoperto gigante di terracotta.

D’altra parte, da donna, come schierarsi con uomini, perché di uomini si tratta, che le donne le considerano alla stregua di mucche o poco più? Che dovunque governano portano solo sciagure per una metà del cielo: la mia? Penso alle donne in Palestina ma soprattutto in Iran e in Afghanistan dove alle donne, con gradi diversi, certo, è politicamente impedito di essere se stesse. Dove la donna non ha la scelta di essere altro che un oggetto utile all’altra metà del cielo. Dove la misoginia è programma di governo.

E, uscendo dal campo femminista, come sostenere regimi che sono alleati della Russia, in questo nuovo pericoloso contesto geopolitico? Come è possibile schierarsi dalla parte di chi, lo sai già, prima o poi ti farà del male, e non solo in quanto donna ma anche in quanto “occidentale”?

E allora penso al volto dolce ma determinato di Youmna El Sayed, che per anni è stata corrispondente di Al Jazeera in Palestina, e che ora, espulsa da Israele, abbattuta la sua casa, vive con suo marito e i suoi figli a Il Cairo. Lei di origine egiziana che ora mantiene tutta la famiglia. In giro per il mondo a gridare gli orrori compiuti da Israele in Palestina (nulla da invidiare a quelli compiuti da Hamas) ci va da sola. Con il suo velo e il suo coraggio di donna. Mentre il marito resta a casa, senza lavoro, con i figli.

Così penso alle decine di giornalisti e giornaliste donne che Israele ha ucciso in questi anni mentre compivano il loro lavoro. E penso soprattutto a Shireen Abu Akleh, una giornalista formidabile di mezza età, che adoravo, uccisa dall’esercito israeliano a Jenin qualche anno fa. Silenziata per sempre. Quel giorno piansi.

Infine penso alla mia amica belga di origini marocchine Shireen anche lei, che con me per due anni ha fatto yoga a testa in giù, con o senza uomini presenti in sala, i suoi lunghi capelli neri raccolti a treccia, ma ogni volta che usciva dalla palestra indossava un copricapo a mo’ di velo perché così aveva scelto lei, nonostante la sua famiglia non fosse d’accordo. «Sono alla ricerca della mia spiritualità», aveva detto, ed è partita per il Canada a studiare Religione e a costruirsi da sola una nuova vita. Con il velo in testa.

La linea di separazione tra noi e loro, noi femministe e loro oppresse, non dovrebbe mai essere tracciata in modo netto, perché non ha senso. Che le condanne assolute e definitive così come le difese a oltranza non aiutano nessuna causa. Nemmeno la nostra. Perché nessuno e nessuna avanza da sola. Tutti e tutte portiamo in noi un passato che ci condiziona per sempre e che l’odio esterno irrigidisce soprattutto nell’errore.

Dovremmo allora uscire dalla logica degli schieramenti occidente, oriente e sud globale. Dovremmo trovare una logica nuova che ci permetta di orientarci in un mondo che ha solo iniziato a cambiare e che continuerà a farlo per anni a venire. Anni instabili e pericolosi, in cui vendetta non farà altro che alimentare altra vendetta. In cui le vittime si fanno aggressori e gli aggressori diventano vittime. Esiste sempre un momento in cui l’autodifesa diventa violenza.

Allora schierarsi dalla parte giusta diventa semplicemente schierarsi “con geometrie variabili”, a seconda dei momenti, degli eventi, delle situazioni. Senza giudizi granitici che prescindano da una valutazione non ideologica e da una buona dose di senso di realtà. Proprio oggi che la soluzione “due popoli, due stati” appare sempre di più uno slogan privo di contenuto.

LA PAROLA A VOI

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