È arrivato giugno e con esso anche il pride month, il mese dedicato alla visibilità e alla celebrazione della comunità lgbtqiapk+.
E puntuale per il paese che siamo, il primo giugno è stata registrata una gravissima aggressione a Roma, a pochi passi dall’Università di Roma La Sapienza.
Le vittime sopravvissute sono tre ragazze, accerchiate da un gruppo di dieci ragazzi, tutti italiani, che dopo averle malmenate hanno rotto una bottiglia in faccia a una di loro e cercato infine di rapinarle.
La scena è stata videoregistrata e condivisa sui social tra risate di scherno disumane.
Perché tanta violenza gratuita, tanto accanimento?
Perché le ragazze aggredite sono transgender.
I dati dell’omolesbobitransafobia in Italia sono sono di dominio pubblico, parliamo di una media di almeno otto aggressioni al mese. Violenza verbale, fisica, psicologica, minacce aggravate. Sembra che in Italia, prendersela con le categorie maggiormente discriminate – donne e persone trans e non binarie (in particolare persone trans e non binarie femminilizzate) – sia oramai un ludico passatempo tacitamente tollerato.
Forti del fatto che nel nostro paese non esistono tutele legali dall’omolesbobitransafobia, e che quindi aggressioni del genere vengono descritte e ri(con)dotte ai buoni vecchi “futili motivi” (come se prendersela con le persone per la loro identità sessuale sia qualcosa di poco importante), gli aggressori si sentono onnipotenti, loro sì tutelati nel loro diritto a odiare attivamente.
Come può la comunità lgbtqiapk+ sentirsi in vena di festeggiare in un clima del genere? E come possono le persone alleate parlare semplicemente di Love is Love?
Quello che serve alle persone queer, trans, non binarie, gay, lesbiche, bisessuali, asessuali, è sicurezza. Sicurezza nello svolgere tranquillamente le incombenze di ogni giorno, nel lavorare, crescere una famiglia, accedere ai servizi per la salute. E andare in giro la sera senza aspettarsi aggressioni di gruppo.
Ci aspettiamo che gli organi competenti allertati dalle ragazze che hanno denunciato riescano a rintracciare i responsabili e che le sopravvissute possano ottenere giustizia.
Ma ci auguriamo soprattutto che questo mese del Pride possa scuotere ancora più coscienze sulla necessità di un cambiamento culturale. Un cambiamento che contrasti le logiche da branco, l’intolleranza, la paura del diverso e il fascino della violenza, soprattutto quella odiante e gratuita.