Allegra, ma “non così tanto”: “sin da quando sono piccola ho un’allegria angosciata.”
Così, Valeria Bruni Tedeschi si mette a nudo nella puntata di Belve, il format di Francesca Fagnani, senza cercare di schermarsi da “l’idiozia umana di fronte alla realtà.”
L’attrice, regista e sceneggiatrice italo-francese “tenera, malinconica, svampita”, ride, piange e non si risparmia, raccontando le sue superstizioni (legate “ai numeri, e a quale passo scegliere per iniziare la giornata”) e l’uso di droghe in gioventù, passando anche per il rapporto con la sorella – cantautrice, attrice e modella – Carla Bruni.
“A trent’anni, mio padre mi confessò che Carla era figlia di un altro uomo. Io mangiavo un mandarino, e dissi che non mi importava.”
Il ritratto che ne emerge è quello di una donna, di un’artista e di un’ intellettuale che ha saputo trasformare la propria fragilità in una cifra stilistica inestimabile, abbracciandola senza mai temerla.
“Sono stata molto triste, da adolescente. Non ero una ragazza ribelle e forse, se lo fossi stata, avrei tirato fuori quella rabbia che sarebbe stato sano esternare. Ma oggi, scrivendo, questa mancanza non la sento più: vado dove ci sono i traumi, dove ci sono “le vergogne”.
Valeria Bruni Tedeschi apre con Fagnani anche ad una tematica assai dolorosa: gli abusi subiti da bambina.
“Era un’epoca in cui i bambini non venivano presi sul serio: avevo sette anni. Ricordo il mio primo “Me too”: me lo dissi con la mia amica Silvia, che aveva ricevuto molestie dalla stessa persona. Quel “anche io” ci ha salvate.”
Insignita di quattro David di Donatello, tre Nastri D’Argento, due Premi Pasinetti, tre vittorie al Tribeca Film Festival e del Premio Speciale della Giura al Festival di Cannes del 2007, Valeria Bruni Tedeschi, come attrice, non si attribuirebbe, comunque, più di un “sette”.
“I premi mi fanno sentire sempre in colpa. C’è una sensazione di felicità che si affianca ad un senso di impostura e di solitudine. Me li godo poco.”
Nel 2017, proprio in occasione d’un nuovo riconoscimento (il David di Donatello, che Bruni Tedeschi si aggiudicò per il ruolo dell’incontenibile Beatrice Morandini Valdirana in “La pazza gioia”), il discorso che passò alla storia, perchè fuori tempo massimo: dai 45 secondi canonici a ben tre minuti.
“In quel discorso, ho ringraziato la mia psicanalista. E’ francesce e mi accompagna da venticinque anni. Le sono stata infedele ma, alla fine, sono tornata sempre.”
Perché Valeria Bruni Tedeschi, proprio da venticinque anni affronta le sue nevrosi – alcune superate; altre, invece no – con un sorriso ed una scrollata di spalle.
“Per sfuggire all’ansia, o leggo qualche pagina del monaco buddhista Thích Nhất Hạnh, o scelgo l’ansiolitico. Ma, molto più spesso, prendo tutti e due.”
Dalla sottile malinconia dell’esistere che la accompagna in ogni istante, nel lavoro come nella vita, sino a quella volta che “da bambina, svenne ridendo: perchè il riso è il più grande piacere della vita”, Valeria Bruni Tedeschi è una meravigliosa antidiva, che affronta di petto, senza evaderle, anche le accuse di molestie al compagno Sofiane Bennacer.
“Rispetto profondamente le donne e la loro libertà di parola. Ma le indagini sono portate avanti da parte di persone competenti. Ho toccato con mano cosa possa fare il linciaggio mediatico, ed occorre attendere che i procedimenti facciano il proprio corso prima di emettere valutazioni violente.”
Nel salotto di Fagnani, la sua ospitata è un inno alla capacità di destreggiarsi, tra gli ostacoli del quotidiano, riuscendo a cadere, immancabilmente, con grazia.
“Sono sempre in debito con la vita. Oggi, non vorrei essere felice, ma “in pace.”- conclude Bruni Tedeschi, con la stessa eleganza con cui, del resto, ha iniziato – Se potessi riportare in vita qualcuno, oggi? Sarebbe mio fratello. Gli direi solo “mi sei mancato“.
© Pic Rights S.Casellato