Riforma del cognome, verso un cambiamento organico
A cinque anni dalla sentenza della Corte costituzionale n 286/2016 che rese possibile aggiungere il cognome della madre a quello del padre fino allora imposto come unico, è dal Senato che parte la spinta per l’approvazione di una riforma organica del cognome che elimini varie norme del Codice civile in contrasto con la Costituzione.
È quanto emerso dal dibattito che si è svolto a Roma l’otto novembre nella Sala Zuccari del Senato organizzato, su iniziativa della Senatrice Valeria Fedeli e della Rete per la Parità con il CNDI e l’InterClubZontaItalia.
I lavori sono stati seguiti in diretta, oltre che dal pubblico in sala, ristretto a causa delle limitazioni imposte da Covid, anche su Senato WebTV, nonché su Radio Radicale e sulla paginafacebook.com/reteperlaparita, dovesono disponibili anche in differita.
L’ appuntamento pubblico ha segnato una svolta e aperto il cuore alla speranza ma è ancora necessario l’impegno della Rete per la Parità e di quanti hanno a cuore la tutela dei diritti civili.
Le questioni aperte
Riforma del cognome: il cognome della moglie
Quasi tutte le proposte presentate in Parlamento, in questa legislatura e nelle precedenti, all’art. 1 prevedono la modifica dell’art. 143 bis del Codice civile per eliminare l’aggiunta del cognome del marito all’atto del matrimonio. C’è la consapevolezza che è inaccettabile la sopravvivenza nel nostro ordinamento di una norma che lede sia il diritto all’identità sancito dall’articolo 2 della Costituzione, sia quelli della pari dignità davanti alla legge senza distinzione di sesso (art. 3 Cost.) e della parità tra i coniugi (art. 29 Cost.). Ma ancora la norma non è stata modificata.
Riforma del cognome: e ancora oggi la madre è invisibile.
Per liberare le donne italiane dal Burka mediatico e per assicurare il diritto all’identità di tutte e tutti attraverso l’attribuzione del cognome materno.
La Rete per la Parità, contro i silenzi e l’invisibilità che opprimono le donne e ledono il loro diritto all’identità, sin dalla propria fondazione, nel 2010, ha inserito Il doppio cognome per legge all’interno di una delle sue 3 linee guida: Mai più donne invisibili.
Quella vigente è una norma illegittima dal punto di vista costituzionale perché lede l’identità individuale di uomini e donne, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione. Per l’anagrafe e per la società, uomini e donne sono riconosciuti nel nostro Paese con una sola delle origini, quella paterna, e viene eliminata quella materna.
La riforma riguarda tutte e tutti: occorre prevedere il doppio cognome per legge, eliminando l’attribuzione del solo cognome paterno. Come più volte ha dichiarato l’avvocata Antonella Anselmo, del Direttivo della Rete per la Parità: “Una visione democratica dovrebbe ancorarsi a superiori valori metagiuridici e in tale prospettiva la parità tra i genitori afferisce ad un concetto solidaristico valoriale. Il diritto al nome e alla certezza identitaria è un punto focale nella declinazione del concetto di dignità della persona, occorre sradicare le radici del patriarcato e riconoscere automaticamente il diritto al doppio cognome”.
Più volte l’associazione ha denunciato le molteplici discriminazioni e la violazione di obblighi internazionali connessi alla mancata riforma. Come preannunciato nel 2011 dalla presidente Rosa Oliva nella relazione al Convegno Nominare per esistere: nomi e cognomi, organizzato dal Comitato per le Pari Opportunità dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, la Rete per la Parità nel 2014 ha presentato un proprio atto d’intervento nel giudizio davanti alla Corte costituzionale derivante dal ricorso contro il Comune di Genova dei coniugi Galli e Magalhães, patrocinati dall’avvocata Susanna Schivo. Si tratta dell’avvocata che ha scritto la parte dal titolo “Mai più madri invisibili” in “Cinquant’anni non sono bastati – le carriere delle donne a partire dalla sentenza n.33/1960 della Corte costituzionale” (2016).
Dal novembre 2016 su richiesta di entrambi i genitori è possibile aggiungere il cognome della madre a quello paterno.
Con la sentenza n. 286 dell’8 novembre 2016, la Corte costituzionale si è limitata, nel rispetto della separazione dei poteri, a consentire nell’immediato l’aggiunta del cognome della madre su richiesta dei genitori, quindi subordinandola al consenso del padre, e ha rinviato al legislatore l’indifferibile riforma organica, necessaria per assicurare il rispetto dei principi costituzionali.
Riforma del cognome: manca ancora la riforma
La diciassettesima legislatura si è chiusa senza risultati e per l’attuale c’è l’ultima chiamata. Nella scorsa legislatura è caduto nel vuoto il testo approvato dalla Camera e poi passato al Senato (S 1628). A nulla sono servite le cinquantamila firme raggiunte dalla petizione lanciata da Laura Cima, né le petizioni di Iole Natoli, né l’attiva partecipazione della Rete per la Parità all’esame del testo in Commissione giustizia al Senato.
Continua ad applicarsi una normativa lesiva del diritto all’identità e non consona al principio di parità, con ingiusto sacrificio dei diritti di figlie e figli e delle loro madri ed in spregio delle garanzie costituzionali e degli impegni presi a livello europeo e internazionale.
Proseguono anche in questa legislatura le pressioni nei confronti del Parlamento per la riforma organica della materia, necessaria a una completa attuazione della pronuncia del Giudice delle Leggi.
Nonostante nel 2014 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) abbia condannato l’Italia per discriminazione, in violazione dell’art. 14, in combinato disposto con l’art. 8, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Ricorso n. 77/07, per aver negato ai coniugi Alessandra Cusan e Luigi Fazzo la possibilità di attribuire alla figlia il solo cognome materno.
Nonostante nel 2016 il pressante monito della Corte costituzionale contenuto nella sentenza 268/2016.
Nonostante l’incessante impegno della Rete per la Parità per far conoscere gli effetti immediati della decisione della Corte costituzionale, ottenerne la corretta applicazione e per sollecitare la riforma a Governo e Parlamento. Impegno sostenuto anche dagli aderenti, in particolare l’associazione Zonta International Italia, alla quale apparteneva Maria Magnani Noya, prima sindaca di Torino, che presentò già nel 1979 la prima proposta di legge in materia di attribuzione del cognome a figli e figlie. Un’altra proposta fu presentata nel 1989 dalla deputata Laura Cima, esponente dell’ecofemminismo in Italia.
Quest’anno, a gennaio, la Corte costituzionale, chiamata a decidere sul ricorso di una coppia di genitori ai quali nuovamente era stata negata la possibilità di attribuire alla figlia il solo cognome materno, con una decisione clamorosa (Ordinanza n.18/2021) ha posto in esame dinanzi a sé stessa, tutte le disposizioni in contrasto con la Costituzione (artt. 2-3-117 e artt. 8-14 della Cedu). Attraverso il nuovo strumento dell’Opinio amici curiae la Rete per la Parità, l’associazione Coscioni e l’associazione Vox-Diritti hanno presentato alla Corte tre distinte memorie.
Riforma del cognome: ultima chiamata
Governo e Parlamento riusciranno ad approvare l’indispensabile riforma o dovrà intervenire ancora una volta il Giudice delle leggi? La risposta arriverà in tempi brevi.