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Il ritorno di Lady Oscar

Oscar François de Jarjayes, semplicemente Lady Oscar nella versione italiana, non ha mai smesso di affascinare il pubblico con il suo coraggio e le sue avventure. E quest’anno, per i 45 anni dall’uscita dell’anime, un reboot cinematografico sta per uscire nelle sale, portando Oscar sul grande schermo con uno stile ancor più maestoso e colorato. Inoltre, la città di Milano ha voluto dedicarle una mostra curata dalla sua fandom italiana, con all’interno pezzi unici, disegni, action figures, gadget e nostalgici costumi. 

Ma perché Lady Oscar ispira così tante persone? Cos’ha di tanto attraente per il pubblico lettore e spettatore una donna che si veste e vuole vivere come un uomo?

Chi non conoscerà la sua storia ignorerà forse che, in principio, non si trattava della protagonista del manga, bensì di un personaggio secondario – per quanto importante ai fini della trama – opera della mangaka Riyoko Ikeda. L’autrice di Versailles no bara (nome originale dell’opera), si ispirò a una biografia di Stefan Zweig sulla regina Maria Antonietta di Francia e ad alcune personalità dell’epoca realmente esistite per delineare il profilo di una soggettività complessa e accattivante, con un gran senso del dovere e della giustizia, divisa tra la sua classe sociale d’origine e il desiderio di evaderne. 

L’origine del personaggio arriva con un fatto cruciale della sua nascita, divenuto leggendario: nasce femmina. Per ovviare alla mancanza di un figlio maschio, il padre generale decide di far crescere Oscar come un uomo. Oscar cresce accanto allo stalliere André e a quindici anni inizierà a occuparsi della sicurezza personale della regina, sua coetanea, fino a quando non deciderà di abbandonare l’uniforme e di lottare al fianco del popolo francese per la libertà e la democrazia. 

La trama percorre quindi il difficile passaggio tra l‘Ancien Régime e la Rivoluzione Francese, dalla monarchia assolutista alla repubblica popolare, passando per l’Illuminismo e i suoi protagonisti. I camei si sprecano, nonostante alcune libertà narrative di Ikeda. 

Come nei romanzi di Victor Hugo – o nella biopic sulla regina diretta da Sophia Coppola – la storia di Oscar, gli amori di Maria Antonietta, gli intrighi di corte, l’indecisione di Luigi XVI (descritto allora utilizzando stereotipi oggi rivisitati), servono a raccontare la storia di un popolo. Del popolo francese. Una comunità ai margini dello schermo che sopporta tutto fino a esplodere. Oscar osserva e si mette in discussione: da che parte è meglio stare?

Ma Oscar non è solo un soldato. È divenuto l’emblema stesso di un’identità fluida, un’ispirazione per la comunità lgbtqiapk+. 

A dispetto della narrazione scelta dal doppiaggio degli anni Ottanta, influenzato dalla transfobia quando ancora non la chiamavamo così, e dal bigottismo di psicologi e famiglie timorose della possibile contaminazione di tendenze omosessuali nei loro pargoli, Oscar ha comunque insegnato che andare oltre ai canoni non intacca affatto la costruzione di una maturità, anche su scala eroica. 

È divenuto un modello per chiunque non si sentisse a suo agio nel proprio corpo e nel proprio ruolo di genere socialmente stabilito, nel dover anteporre dovere a piacere per il bene comune rinunciando ai privilegi, a doversi responsabilizzare insomma per una giustizia collettiva difficile da raggiungere, ma che possiamo sognare. 

Lady Oscar ha sempre ricevuto critiche di fronte alla montagna di amore tributato dalla fandom e non solo. Il minimo sta nell’onorarne il ricordo ogni 14 luglio. Anche attraverso mostre da visitare, reboot da vedere, magari trascorrendo la giornata libera facendo binge watching dell’anime o leggendo il manga. Rigorosamente coi fazzolettini. 

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