a cura de Le Contemporanee
Il Giubileo di platino per i 70 anni di regno della Regina Elisabetta. Ormai icona pop, adorata dai sudditi, celebrata nelle serie tv, sopravvissuta anche a scandali di Corte, anche recentissimi e alla celebrita’ immortale di Lady Diana.Una leader donna, a capo della Chiesa protestante, una papessa senza tempo. Una Regina, che come negli scacchi, con grande calma, ha saputo muoversi nei decenni in ogni direzione utile.Un esempio (alternativo) di gestione del potere al femminile, da analizzare con scrupolosa attenzione.
Elisabetta II, una leadership che poco a poco ha conquistato tutti
a cura di Sabrina Provenzani
Sui miei social anglo-centrici ogni tanto ricompare un meme scemo che mi fa sempre ridere: la Regina Elisabetta, cappotto e cappellino in magenta, in piedi nella navata a scacchiera di Westminster Abbey, con la didascalia sopra il sorriso birichino, “Beware: she can move in any direction”. Attenti, si può muovere in tutte le direzioni. Negli scacchi la Regina può, e da questo deriva la sua potenza. Nella vita irreale che imprigiona e protegge Elisabetta da 70 anni – Giubileo di Platino appena compiuto – Lei invece è uscita dal protocollo pochissimo, di malavoglia e sempre per rimediare ai molto umani travagli provocati alla Corona da parenti naturali o acquisiti: l’ondata di risentimento popolare dopo la morte di Diana; la fuga lamentosa con volgarissima coda rivendicativa della UberCommoner Meghan – orrore, americana come quella Wallis Simpson che a Lilibet ha imposto un destino accettato stoicamente ma non voluto – e del suo porta-vanità Henry, il preferito dei nipoti; l’abisso delle accuse di violenza sessuale a minorenne in cui è impelagato Andrew, il preferito dei figli. Elisabetta ha sempre reagito con regale distacco – eccessivo nel caso di Diana, del cui potenziale anti-monarchico nessuno a corte aveva capito niente, e poi, imparata la lezione, con sfumature via via più vellutate.Quando ci vediamo, fra corrispondenti esteri a Londra, è tutto un animato, risentito, soddisfatto commentare l’ultima da Westminster o far gossip sui reali. Ma anche il più cinico veterano, al cospetto della Regina, abbassa la cresta, smette il sarcasmo, si arrende alla noia del rispetto. Come e perché Elisabetta II è diventata un’icona per grandi e piccini, sudditi di Little Britain e pubblico globale? Io, repubblicana a oltranza in una terra dagli assetti di potere tardo-medievali, continuo per principio a dare conto delle inchieste del Guardian, che si ostina raccontare le interferenze della Corona nell’iter di leggi sacrosante ma che ne danneggerebbero gli interessi privati. Ma lo scrivo sempre: non spostano niente, non convertono nessuno.
God Save the Queen. Il Regno tutto, dai quartieri progressisti di Londra a quelli popolari di Blackpool, vive nel sogno che Elizabeth seppellisca gli eredi tutti, per molte generazioni.E quindi ho il dovere di chiedermelo: cosa ci ha conquistato? Come?La scelta ovviamente solo pratica, che generazioni di fashion editor hanno finto di considerare sommamente stylish, del monocromo, abito cappotto cappello, a cui ogni donna adulta sulla terra non può che essere riconoscente se prevede di invecchiare?Lo spirito di sopportazione per la sequenza di figli e nipoti scemi, inadeguati, deludenti, cristallizzati in eterno nel trauma adolescenziale, indifendibili e comunque a carico: mine vaganti per la meritata tranquillità personale e soprattutto per quella cruciale della Corona?La sorridente resistenza a infiniti rituali, pranzi di gala, abiti senza guizzi, dichiarazioni accuratamente ponderate, l’equilibrio come dovere, la neutralità come seconda pelle, l’equidistanza come ragion d’essere e di stato?Due anni fa il direttore di una rivista con grandi ambizioni mi commissionò un lungo pezzo, di quelli ben pagati, in cui avrei dovuto accusare Elisabetta di colpevole acquiescenza sulla Brexit. Dovrebbe intervenire, era la tesi. Dovrebbe fare il capo di Stato. Per l’ovvia confutazione ho impiegato lo stesso tempo che mi avrebbe richiesto l’articolo, e ho anche perso il rapporto di collaborazione. Ma ci ho guadagnato la rivelazione: Elizabeth è la UR-Influencer, la più grande, l’unica al mondo capace di amplificare la propria popolarità restando immobile.Sappiamo come la pensi in politica? No. Sui diritti civili? Non proprio. Sulle ultime tendenze di moda? Indirettamente: preferisce il monocromo. Su Boris Johnson? Per deduzione: è probabile lo trovi irritante e inadeguato al ruolo, ma le è anche simpatico? Sull’indipendentismo scozzese? è facile supporre sia contraria: ha già perso mezzo Commonwealth, e poi nelle Highlands c’è l’amatissima Balmoral, la vera casa di famiglia, il rifugio del padre, che non ‘era mai tanto felice’ quanto lì. E una volta, poco prima del referendum del 2014, una mezza parola, un tono di voce, avrebbe fatto intuire la contrarietà… Tutto così, accenni, fra-le-righe, irritazioni che trapelano, preferenze pastello. Un potere che consiste di un prodigioso, ferreo understatement. Di lei, della sua sfera intima, ora che l’ha lasciata anche Filippo, il complice di una vita, conosciamo in fondo solo questo: la tenerezza per l’emotività festosa ma contenibile dei cani; la passione per la vitalità addomesticabile dei puledri.Perché funziona? Come resiste questo sistema allo sguardo sempre più pettegolo del mondo? Perché quella di Elizabeth è una intuizione naturale, che alla prova degli anni appare sofisticatissima: lasciare agli altri la faticosa, reversibile, friabile trama dell’immaginazione, del caos dei sentimenti, degli errori crassi, delle cadute, dei bisogni insoddisfatti, delle nevrosi. Della soggettività eretta a spettacolo da tinello – cos’altro è stata Diana, in fondo?Amiamo the Queen perché sulla sua superficie lucida e immobile possiamo proiettare una gigantografia nobilitata di quelli che vorremmo essere e mai saremo, e quindi anche nella nostra confusa repubblica deleghiamo a certi anziani: forti di fronte alle avversità, sobri nell’immensa ricchezza, ligi alle responsabilità, equilibrati malgrado la famiglia disfunzionale, saggi fino a prova contraria. Immortali.