le opinioni

La svolta verde fa bene alle donne? Come se la cavano i partiti con green, genere e Recovery?

a cura di Le Contemporanee


I partiti verdi in Europa sono stati pionieri di alcune scelte controcorrente sulla parità di genere, applicando regole scritte e non scritte spesso molto rigide, che negli anni hanno prodotto diversi risultati.

Non ci sono molti esempi di partiti politici in Europa che abbiano fatto della questione di genere forma e sostanza, indipendentemente dai temi trattati o dell’appartenenza a destra, centro o sinistra.

A ben guardare solo Marco Pannella e i radicali in Italia candidarono nel 1976 il 50% di donne in testa a tutte le liste nazionali, portando delle donne determinate e battagliere in Parlamento, donne in blue jeans, che si batterono sui diritti civili e sulla laicità dello stato in modo indefesso.

Oggi una larga fetta di donne appartenenti ai verdi sono anche attiviste femministe, e viceversa: molte femministe sono anche partigiane ecologiste.

Tempo fa l’eurodeputata tedesca dei verdi Alexandra Geese, fu la prima a lanciare un appello sul Recovery fund “digital e green” che rischiava di essere un boomerang proprio per le donne.

Da li’ la campagna Half of It ( www.halfofit.it ) e Il Giusto Mezzo che evidenziava come il Recovery fund, i cui due capisaldi di spesa sono digitale e clima/transizione green, rappresentasse una straordinaria occasione per il nostro Paese da non sprecare. Al contempo si ricordava il vincolo di destinazione di larga parte dei fondi (il 57%, quasi due terzi del totale) a Green e Digitale, settori in Italia (ma anche in Europa) fortemente caratterizzati da scarsa presenza femminile e che generano prevalentemente occupazione maschile .

Le tifose del green deal (prevalentemente verdi e democratiche) si sono accorte che un passo avanti nei settori chiave non poteva significare un passo indietro o un allargarsi del gap tra uomini e donne in ogni Paese.

E questo rischio c’e’ stato e c’e’ ancora, nonostante nel frattempo, quella battaglia “tutta politica” con un grande aiuto dell’associazionismo femminile e femminista, abbia portato cambiamenti al PNRR italiano e qualche bilanciamento “di genere”.

Il Partito democratico in Italia e’ riuscito a ottenere che le imprese che, a diverso titolo, parteciperanno ai progetti finanziati dal PNRR e dai Fondi REACT-EU e FCN, rispettino la clausola dell’assunzione di giovani e donne per l’esecuzione dei progetti stessi.

Tornando ai cambiamenti epocali che ci attendono, portati dalla transizione green, digitale e la necessità di riforme importanti dettate anche dal periodo di pandemia, e’ evidente che le trasformazioni vedano particolarmente protagoniste le donne. E a livello politico particolarmente attive le donne con una forte sensibilità ecologista e femminista.

Proprio su questo Monica Frassoni, Presidente della European Alliance to save Energy, già europarlamentare dei verdi, esperta di questioni green e di genere, pone il proprio punto di vista. Un punto di vista che racconta temi, metodi, prospettive, che riprendono il filo di un ragionamento iniziato 3 settimane fa nell’Opinione di Flavia Perina sulla presenza femminile nei partiti italiani.

Monica Frassoni racconta la propria esperienza e traccia un sentiero praticabile, non solo da Greta Thunberg e da europarlamentari verdi, ma da noi tutte.

Chi dice green dice donna e viceversa. E’ tempo di ecologia e femminismo.

a cura di Monica Frassoni


Svolta green - Monica Frassoni

La prima volta che ho avuto a che fare con i Verdi europei è stato alla fine del secolo scorso, quando ho cominciato a lavorare nel primo Gruppo parlamentare ecologista costituito al Parlamento Europeo, un variopinto e molto poco coeso gruppo di personaggi allora decisamente originali per i corridoi grigi di Bruxelles e dalle provenienze più varie. Alla prima riunione di presentazione al resto dello staff mi sono resa conto subito che non si scherzava con le regole della parità.

Quando un collega italiano (maschio) mi ha ceduto il turno di parola subito si è inalberata una olandese alta e magra, che con un tono severissimo ha detto al collega che cedere la parola, cosi come (avrei imparato di lì a poco) cedere il passo o aprire la porta, erano tutte inaccettabili prove di dominio maschile che non avevano alcuno spazio tra i Verdi.

Devo dire che la mia prima reazione è stata di sconcerto e anche in seguito l’organizzazione di questa “parità” mi pareva laboriosa; nelle riunioni prendevano sempre la parola prima le donne e se vari uomini la chiedevano, la prima donna passava davanti; c’erano (e ci sono) facilitazioni sul luogo delle assemblee per permettere alle donne di partecipare (come tentato da noi negli anni ’70) e ovviamente tutte le posizioni di leadership erano (e sono) paritarie o doppie; i Verdi sono da sempre il gruppo che al PE ha più donne in proporzione, spesso anche più donne che uomini, sia nello staff che tra gli eletti e le elette.

Al partito europeo, vige la regola del 50% “plus” cioè si può essere più donne che uomini in un organismo collettivo, ma mai più uomini che donne. I Verdi tedeschi hanno da sempre la regola che la capolista è una donna (non ci sono preferenze nel loro sistema elettorale) e proprio alcuni giorni fa ho partecipato a un evento organizzato da ECOLO e Groen (i verdi belgi) che doveva discutere della posizione del governo sulla riforma della UE e c’erano quattro ministre donna e un ministro.

Tutta questa lunga premessa per dire, in parziale risposta al bell’articolo di Flavia Perina e veramente senza volere fare propaganda di partito, ma giusto presentare una esperienza, che la partecipazione delle donne in politica e i loro ruoli di leadership hanno bisogno di regole chiare anche solo interne ai partiti, di battaglie a volte considerate antipatiche anche da molte donne, di una certa nordica intransigenza, di leggi elettorali eque (quote serie, finanziamento di servizi e magari niente preferenze, ma selezioni democratiche e trasparenti, con collegi piccoli) e di tempo per diventare talmente normali da non potere più ritenere possibile una situazione in cui sindaci e capi sono quasi sempre maschi.

“Quando un collega italiano (maschio) mi ha ceduto il turno di parola subito si è inalberata una olandese alta e magra, che con un tono severissimo ha detto al collega che cedere la parola, cosi come (avrei imparato di lì a poco) cedere il passo o aprire la porta, erano tutte inaccettabili prove di dominio maschile che non avevano alcuno spazio tra i Verdi.”

Monica Frassoni

E per dire anche che da sempre c’è uno stretto legame tra la cultura e le battaglie ecologiste e la sensibilità femminile. Nella mia vita da parlamentare e attivista ho visto che le prime a mobilitarsi su situazioni di degrado, inquinamento e disagio sono spesso le donne.

Nel movimento lanciato da Greta Thunberg sono le ragazze a prendere la scena, non solo in Europa, ma anche in paesi lontani e poveri, esprimendo delle leadership di un carisma e di una competenza sorprendenti, come abbiamo potuto vedere al G20youth a Milano e alla COP26 a Glasgow. In una originale ricerca di ECOLOOP pubblicata dal Journal of Industrial Ecology, si dimostra anche che, in media, le donne inquinano meno degli uomini, per le loro abitudini di consumo, per come viaggiano, si vestono o mangiano.

Se i risultati della ricerca, fatta in Svezia, possono forse risentire della situazione di quel paese, mi è sembrato interessante notare come il genere sia un aspetto poco considerato per analizzare la situazione e i fenomeni davvero “gender neutral” siano pochi. Il fatto di saperlo può avere un impatto importante anche per i decisori politici.

Ad esempio, a parte che le donne inquinano meno e si mobilitano di più per le questioni ambientali, possiamo dire che il Green deal è donna? Non esattamente. Un rapporto (Perché il Green deal europeo ha bisogno di Eco-Femminismo) del Bureau Europeo dell’Ambiente e di WECF, finanziato dal Ministero dell’Ambiente Tedesco e Austriaco, ci dimostra in modo esaustivo ciò che già avevamo intuito e cioè che gli effetti di scelte dirette a favorire attività economiche “verdi”, se rimangono limitate all’economia cosi come è, svantaggiano le donne.

Un esempio evidente è il Just Transition Fund, il fondo che dovrebbe accompagnare e aiutare chi dalla transizione è svantaggiato e che è pensato per andare in primo luogo ai minatori; stessa cosa per la Renovation Wave per il settore delle costruzioni o la stessa legge sul Clima nella quale questa dimensione è citata, ma non ci sono soluzioni concrete per affrontarla.

Ancora peggio va per la Politica Agricola Comune, che assorbe un terzo del bilancio e nella quale non c’è alcun supporto specifico per le forme più sostenibili di produzione, molto spesso capitanate dalle donne. Il rapporto esamina anche aspetti apparentemente aneddotici, come l’effetto negativo sulla salute o sul clima che alcuni comportamenti prodotti da stereotipi di genere possono provocare, dalle creme per schiarirsi la pelle al mercurio ai prodotti chimici per la cura della casa.

Tra le proposte e riflessioni più convincenti, oltre all’introduzione sistematica di una “gender clause” in tutte le decisioni di bilancio o fiscali, nelle valutazioni di impatto che precedono la presentazione delle leggi, nella ricerca, negli accordi con paesi terzi, troviamo anche che Eurostat, l’ufficio statistico europeo punto di riferimento delle scelte UE e nazionali, dovrebbe allargare la raccolta disaggregata dei dati per includere genere, disabilità, età, cosa che manca per le politiche energetiche, chimiche e agricole, che sono anche quelle che svantaggiano di più le donne.

In aggiunta un controllo molto stretto sulla applicazione dei piani nazionali su clima ed energia; la modifica dei criteri accesso al Just Transition Fund, la introduzione di una valutazione dell’impatto economico e ambientale delle attività di cura, una maggiore interazione fra le organizzazioni femministe e quelle ambientaliste, e una lunga serie di altre proposte che possono essere integrate abbastanza facilmente nel lavoro legislativo (e di bilancio) europeo.

La Commissione Von der Leyen, che ha prodotto oltre al Green Deal anche un corposo documento sulla Strategia della parità di genere, ha davanti a sé numerose occasioni per mettere in pratica alcune di queste raccomandazioni.

Vincere la sfida del green deal non significa soltanto domare i cambiamenti climatici e adattarsi alle loro conseguenze più negative. Significa anche approfittare di questa enorme occasione di cambiamento in meglio per rendere tutta la società più equa, prospera e libera.

Ecologia e femminismo vanno a braccetto. Ma non tutti i partiti (nemmeno quelli verdi) se ne accorgono

Anche questa settimana i commenti non sono mancati alla sollecitazione offerta da Monica Frassoni, gia’ europarlamentare dei verdi, Presidente della European Alliance to Save Energy, membro del Comitato scientifico de Le Contemporanee.

Ci sono state una serie di domande stavolta a cui avete cercato di rispondere e su cui ci avete sollecitate. Molte email, commenti sui social e sul sito, hanno ripreso piu’ alcuni specifici punti. O meglio tre specifiche tematiche o domande aperte.

Le riassumiamo per praticita’ :

  1. Ecologia, partiti green e femminismo, vanno davvero a braccetto?
  2. I partiti che sono attenti alle questioni ambientali e alla svolta green sono sufficientemente preparati e credibili anche sulle questioni di genere?
  3. il PNRR che contiene il volano per green e digitale, aiutera’ anche le donne, o allarghera’ ancora di piu’ i gap, visto che le donne attualmente sono poco presenti in quei settori?

Tra i commenti piu’ significativi quello di Lucia Romani, che interviene spesso nelle nostre discussioni, con ottimi punti di vista. Stavolta ci racconta:

“Ecologia e femminismo sono un bellissimo binomio. Del resto la terra è madre. Mi chiedo perché in Italia non esista ancora un partito che punti in modo forte e convincente su questi temi, in modo più innovativo e appealing rispetto a quanto non abbiano fatto fino ad ora i ” verdi” in Italia ma anche in Europa. In Germania ad esempio c’ erano grandi aspettative su Annalena Baerbock e la campagna elettorale è andata malino, salvo poi avere appena ottenuto il ministero degli esteri nel nuovo governo semaforo (mi chiedo con quale competenza su esteri, ma del resto noi abbiamo di Maio non è che possiamo dare lezioni)”

Le fa eco Anna Martini, da Milano, che rilancia:

“Una leader verde forte in Europa non esiste. Sarà un caso? Come lo spieghiamo? Almeno nei paesi più importanti dell’ Unione europea, se non sbaglio. Chiedo a Monica Frassoni di indicarmi se dimentico qualcosa o qualcuna. Come fare per affermarne la leadership forte oltre che la presenza?”

A questo punto risponde proprio l’autrice dell’analisi di questa settimana, Monica Frassoni, che, argomentando ulteriormente e opportunamente, chiarisce alcune questioni importanti.

”Non direi che non esistono Leaders ecologiste in Europa. Ce ne sono parecchie in giro, ma non godono di attenzione mediatica in Italia. Del resto neppure le leader potenziali italiane godono di grande attenzione. Quanto ad Annalena (Baerbock ndr.), la invito a considerare che si è sempre occupata di politica estera ed è una federalista europea sfegatata. Non è un caso che il programma del governo tedesco in queste materie riflettano il programma dei Verdi. “

Interviene anche la Co founder di Contemporanee, Valeria Manieri, che sottolinea un aspetto particolare e forse non casuale delle scelte dei contributi del mediacivico di questa settimana.Proprio nella rubrica “Lo sguardo” questa settimana Veronica Noseda ci racconta della vicenda di Sandrine Rousseau che era proprio nei verdi francesi, aveva il piglio della leader, eppure è andata via denunciando addirittura scandali me too dentro al partito, peraltro messi a tacere. Alcune contraddizioni esistono in tutti i partiti evidentemente. Non vi è dubbio però che ecologia e femminismo vadano sempre più a braccetto e i grandi partiti democratici così come nuove formazioni politiche dovranno fare i conti con questo.”

Speriamo che i partiti facciano tesoro di questi spunti, del femminismo, dell’ecologia e che il Paese usi al meglio i soldi del PNRR per ampliare gli spazi nell’economia sostenibile, nelle attivita’ produttive, nella vita italiana per le donne in Italia. Quel che e’ certo e’ che il cambiamento va spinto con tutte le nostre forze, ovunque.

LA PAROLA A VOI

É tempo per ecologia e femminismo? Come si legano i due temi?

Come fare sì che il green deal aiuti le donne e non le penalizzi? Ce la faremo?

Anche questa settimana ci confronteremo sul nostro media civico su opinioni e temi importanti, che ci aiuteranno a capire cosa accade intorno a noi e come "selezionare" le prossime campagne pubbliche da portare avanti insieme.

Coraggio, fatevi sotto con i commenti. Gli spunti più interessanti saranno protagonisti della prossima sintesi, in cui cercheremo di trovare la quadra tra femminismo ed ecologia e non solo.

9 Responses

  1. Sperando di essere utile ad aprire lo sguardo delle riflessioni, segnalo il link di un mio articolo scritto con i colleghi della Statale di Milano e pubblicato su Energy Policy sul ruolo delle donne sul consumo di energia in ambito domestico, per iniziare anche a gettare le basi su strumenti idonei e su misura per contrastare la povertà energetica, che vede nel nostro Paese, le donne molte più esposte alle difficoltà. L’ articolo ha un taglio psico-sociale proprio per permettere una osservazione trasversale. Un caro saluto!

    https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0301421521005619?dgcid=author

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