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Le donne leader della transizione verde. Davvero?

Tra il 2018 e il 2019, a cavallo fra la conferenza sul clima di Katowice e le elezioni europee, il tema dei cambiamenti climatici come sfida mondiale e capace davvero di “cambiare tutto”, come dice il titolo di un famoso libro di Naomi Klein, è esploso per la prima volta e con forza. In quel periodo sono anche emerse diverse giovani e meno giovani leader che hanno messo al centro del loro impegno la lotta al clima sregolato e ai suoi effetti sempre più evidenti.

Parliamo ovviamente di Greta Thunberg, ma anche delle figure più rappresentative del movimento dei Fridays for Future che praticamente in tutta Europa e in Africa sono state e sono ragazze, della stessa Ursula Von Der Leyen, che ha voluto definire il suo mandato con il Green New deal, il vasto programma che sta mettendo in forma di nuove leggi europee l’impegno preso prima di tutti dalla UE di diventare un continente a emissioni nette zero nel 2050.

Perfino le Presidenti della Banca Europea Christine La Garde e del FMI, Kristalina Georgeva hanno voluto caratterizzarsi, almeno all’inizio, come portatrici della sostenibilità e della trasformazione verde in istituzioni tradizionalmente indifferenti rispetto a questo tema. Annalena Baerbock e altre donne verdi hanno personificato l’ascesa dei verdi europei nel 2019 e da molti anni nelle organizzazioni ambientaliste la presenza militante e assidua delle donne è un aspetto piuttosto comune.

Si può dire per questo che esiste una leadership femminile in materia di trasformazione verde e sostenibilità? Si può puntare, in questi tempi di vera e propria controriforma anche in materia di lotta ai cambiamenti climatici guidata dalla destra-destra trionfante un po’ dappertutto, sugli effetti estremamente negativi che inquinamento, prezzi sempre crescenti per cibo di sempre peggiore qualità, scarsa qualità del lavoro e della formazione, pochi servizi e poca prevenzione in materia di cura del territorio, hanno in particolare sulla vita delle donne, dei bambini e delle bambine, per organizzare una risposta ad una destra che usa l’argomento dei costi della transizione ecologica per negarne l’urgenza e la convenienza?

Ho qualche dubbio che ci sia oggi una precisa leadership femminile in materia “verde”; ma si il secondo punto è invece un tema da studiare e approfondire anche in vista delle prossime elezioni europee; non tanto per contrapporre donne tutte rose e fiorellini a uomini tutti auto rombanti e high tech energivore, ma per rimettere al centro della discussione la riduzione delle emissioni, il risparmio energetico, e in generale modelli sostenibili di vita e lavoro come modelli vincenti per un futuro migliore anche per chi verrà dopo di noi.

Questo lavoro di elaborazione di contenuti e di contro-narrativa diventa ancora più importante perché anche importanti leader di forze politiche europee ecoscettiche quando non negazioniste sono donne orgogliosamente non femministe, da Giorgia Meloni a Marine lePen, da Isabel Ayuso, popolarissima presidente della Comunidad di Madrid alle nuove esponenti di Vox, e ad Alice Weidel di AFD.

Tutto questo evidentemente passa anche per la consapevolezza, spesso sottolineata da “LeContemporanee”, che in questo momento verde non è donna e che secondo gli ultimi dati la maggior parte delle professioni dette “green” sono e saranno appannaggio degli uomini.

Secondo dati della UE, se si resterà coerenti con gli obiettivi del Green Deal verranno creati più di sei milioni di posti di lavoro entro il 2050: per rendere la transizione più inclusiva si deve perciò spingere e rendere visibili nel discorso politico specifiche misure di incentivazione dedicate all’impiego femminile, ma anche allargare la definizione delle professioni “verdi” oltre a quelle dedicate allo sviluppo delle energie rinnovabili, delle costruzioni, della mobilità dolce, dell’agricoltura non intensiva e biologica e di nuovi modelli di consumo e produzione.

Per rendere convincente la necessità prepararci ai grandi cambiamenti che comunque verranno, si devono perciò valorizzare professionalità oggi sicuramente poco considerate per la loro importanza nell’accompagnare la transizione ecologica, dall’insegnamento, alla cura delle persone, all’organizzazione delle forme e tecniche più innovative di partecipazione, dialogo e mediazione, quest’ultime cosi preziose in tempi di polarizzazione estrema, di dibattiti asfittici, spesso orientati da precisi interessi economici, poco informati e ideologici.

Includere dunque la dimensione femminile e femminista nella transizione e trasformazione ecologica significa non solo renderla più vicina alle preoccupazioni della vita quotidiana di tutti e tutte, ma anche più comprensibile e desiderabile.

LA PAROLA A VOI

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  • Monica Frassoni

    Ambientalista, femminista, esperta di energia. Laureata in scienze politiche, nel 1987 è stata eletta segretario generale della Gioventù Federalista Europea e si é trasferita a Bruxelles. Dal 2009 al 2019 è stata Co-presidente del Partito Verde Europeo. Presiede dal 2011 la European Alliance to Save energy e dal 2013 il European Centre for Electoral Support.

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