le opinioni

Ilaria Salis. Una storia antifascista

Chi è Ilaria Salis? Perché se ne sta parlando tanto? Cosa ha fatto? Sono domande che in uno Stato di diritto sarebbe doveroso porsi, specie quando la nostalgia per un certo ventennio preme sulle scelte politiche e sulla responsabilizzazione nei confronti di una cittadina italiana reclusa all’estero, in un Paese dell’Unione Europea famigerato per il mancato rispetto dei diritti umani.

In questo articolo delineeremo la storia di Salis e cercheremo di capire come e perché il suo caso abbia scosso le coscienze, infiammato i reazionari sui social e il comportamento inqualificabile del governo Meloni. 

È una storia lunga che parte da un’immagine forte: una donna entra in un’aula di tribunale; ha le manette ai polsi e alle caviglie, queste ultime assicurate da lucchetti e da una catena lunga appena 25 cm, in vita porta uno spesso collare di pelle assicurato da un guinzaglio. È in ceppi, un trattamento riservato in casi estremi ai detenuti particolarmente pericolosi e aggressivi. La donna invece è calma, sorride e si presenta: si chiama Ilaria Salis, ha 38 anni, è italiana e fa la maestra elementare. Accanto a lei c’è un’interprete. Siamo a Budapest, in Ungheria, è il gennaio 2024 e Salis è accusata di aver aggredito due neonazisti per cui ha già scontato undici mesi di carcere. Ribadisce la sua estraneità ai fatti e rischia una pena dagli undici ai sedici anni. Ma cosa è successo? Perché ne sentiamo parlare solo ora?

Il fatto risale appunto all’anno scorso, l’11 febbraio 2023. La donna, attivista antifascista (particolare fondamentale per analizzare la sua vicenda umana e processuale) stava protestando contro una commemorazione neonazista chiamata “Giorno dell’Onore”, una parata nostalgica formalmente vietata in Ungheria ma tollerata dal governo di Orban, a cui partecipano ogni anno gruppi squadristi da tutta Europa, Italia compresa.

La giornata ricorda il tentativo da parte dei nazisti ungheresi, le croci frecciate, di sconfiggere l’armata rossa, considerato “onorevole”.

Salis era lì per protestare, perché commemorazioni nostalgiche come queste, i cui membri si sono macchiati di reati anche molto gravi come crimini d’odio antisemiti, xenofobi, omolesbobitransafobici e misognini, arrivando anche al delitto, sono prova di una tacita accettazione da parte di uno Stato sovranista e illiberale – facente parte dell’UE – nei confronti di una repressione contro minoranze e categorie discriminate in nome di una presunta superiorità nazionalista e razziale. 

In Ungheria infatti il Presidente Viktor Orban e il suo partito di maggioranza  (Fidezs) sono noti per le posizioni ultraconsevatrici, contrarie all’autodeterminazione dei corpi (aborto in primisi) e delle relazioni non eterosessuali. Essere Lgbtqiapk+ in Ungheria non è facile, lo testimoniano le costanti aggressioni, compresa la propaganda contro la solita teoria gender molto in voga nei Paesi di estrema destra. Non parliamo poi della propaganda natalista e antiabortista sempre più rigida.

Orban è alleato, modello politico e amico personale della Presidente Giorgia Meloni, ed è naturale chiedersi il perché la Premier in questi mesi non abbia voluto spendere una parola per quella che è di fatto una cittadina italiana. Ma ne parleremo più avanti. 

Il caso nello specifico vede Salis accusata di aver aggredito, come dicevamo, due militanti neonazisti durante la parata con la complicità di altri due militanti antifascisti. Le vittime dell’aggressione, che comunque non hanno sporto denuncia e tantomeno riconosciuto Salis, hanno riportato ferite lievi e cinque giorni di prognosi. Al fronte dell’accusa rivoltale, e degli anni di detenzione che rischia in caso venisse condannata, tutto sembra davvero assurdo: undici anni per soli cinque giorni di prognosi! Non ci sono prove concrete né riscontri oggettivi sul suo coinvolgimento in organizzazioni antifasciste radicali nonostante il tentativo di associarla alle medesime.

Per comprendere la gravità della sua situazione, sono state diffuse le parole dell’attivista riguardo la detenzone. Salis ha testimoniato di condizioni igieniche bestiali: niente cambi intimi, niente assorbenti, niente scarpe se non un paio di insensati stivali con i tacchi a spillo, cimici e topi in celle anguste, cibo immangiabile, torture e sporadici contatti col padre Roberto. Questi, per parte sua, ha ribadito ai giornali che durante le quattro udienze passate, la rappresentanza italiana in Ungheria era presente al processo, ma che non aveva fatto mai nulla per la figlia. 

Meloni sapeva, ma non ha fatto nulla nemmeno lei. La Presidente del Consiglio si è limitata a chiarire che ogni Paese ha la sua magistratura, il proprio iter giudiziario e che non starebbe a un Paese straniero pontificare sul tema, in una parola: impicciarsi dei fatti altrui. Il Presidente ungherese ha ribadito che non avrebbe potere per influenzare la giustizia del suo Paese e assicurare a Salis condizioni più umane o l’estradizione in Italia. Dichiarazione falsa, quella di Orban, dal momento che in Ungheria esistono tribunali speciali controllati dal governo stesso e che interferiscono con il lavoro della magistratura stessa.

Sui social nel frattempo, opinionisti poco o nulla informati hanno iniziato ad accusare Salis di qualsiasi mancanza: di non essere una brava insegnante, di essere un’impicciona, una comunista (aggettvo equiparato a insulto, e comunque non necessariamente sinonimo di antifascista), di essere una donna facile, di esserselo meritato di stare in carcere. La solita domanda torna insistente: chi glielo avrà fatto fare? Perché andare in Ungheria a protestare in un Paese che non è neanche il suo? Come se attivarsi fosse un reato peggiore di quello contestatole. 

È il caso di citare Salvini quando si tratta di Bestia social e di shitstorm online. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha premuto sull’acceleratore, spingendo il padre di Ilaria a querelarlo per aver insinuato che la figlia, visti i suoi trascorsi giudiziari, non dovrebbe fare l’insegnante – trascorsi da cui l’attivista era già prosciolta prosciolta, come l’accusa di aver vandalizzato un banchetto della Lega nel 2017.

Salis aveva deciso di prendere posizione e di esporsi pubblicamente insieme ad altri connazionali per una società estranea a qualsiasi forma di esclusione e discriminazione. Da antifascista concreta, ha corso il rischio di pagare caro per dei valori che in una società civile, multiculturale e accogliente, dovrebbero risultare scontati ma che vediamo non essere così. Proprio assistendo alle reazioni di certe pance e alla piega liberticida adottata da parte dell’Unione europea, capiamo come tale presa di responsabilità serva, sia necessaria per non tornare più agli anni bui dei totalitarismi. 

Il caso Salis ci ricorda due verità: la prima, che abbiamo perso – per lo meno in maggioranza – una coscienza civile e antifascista nella pratica, pronta a schierarsi pubblicamente e col proprio corpo quando delle soggettività altre da noi vengono prese di mira per il fatto di esistere; secondo, che per i governi già citati esiste una gerarchizzazione inaspritasi in vista delle imminenti elezioni europee. Non stupisce che Meloni abbia taciuto e che si limiti a trattare Salis come una semplice concittadina nelle mani di un Paese che ne rispetterebbe i diritti umani. 

In segno di protesta, il 29 gennaio è stato organizzato un presidio davanti all’ambasciata ungherese di Roma per manifestare contro la detenzione di Ilaria Salis. Presente anche l’Anpi, rappresentanti del partito democratico, soggettività attive e consiglieri comunali. Tra questi ultimi è doveroso nominare Maristella Urru, di Aurelio in Comune XIII Municipio, che insieme al collega Lorenzo Ianiro, ha presentato il 19 gennaio una mozione intitolata “Liberiamo Ilaria Salis”, votata anche da PD Civica Gualtieri, di cui atto analogo è stato successivamente votato in Assemblea Capitolina. Si sollecita una presa di posizione quindi, una responsabilità istituzionale nella faccenda che punti più in alto. È un buon segno. E parlando di responsabilità. 

Come spiegato dal fumettista Zerocalcare – presente anch’egli al presidio romano – nel suo fumetto “In fondo al pozzo. Una storia di nazisti, di galera e di responsabilità”, dedicato alla vicenda Salis e pubblicato da Internazionale, la scelta di prendere una posizione è prima di tutto un atto responsabile verso chi viene costantemente oppresso. Non esistono confini nazionali quando si tratta di giustizia calpestata. Non è accettabile restare a guardare giustificando il proprio immobilismo con il presunto rispetto per gli organi istituzionali, soprattutto quando essi sbagliano. Ed è anche ulteriore prova che giustizia e legge non sono sinonimi.

Concludiamo col citare un recente servizio di Fanpage.it dove lo scrittore e giornalista Roberto Saviano spiega i retroscena del caso Salis. Secondo Saviano, l’obiettivo di Viktor Orban sarebbe quello di istituire (da autocrate) una democrazia illiberale, anche attraverso il corpo della nostra connazionale per rivolgersi a Meloni, a Ursula von der Leyen e a Bruxelles. Non sarebbe Salis l’obiettivo, bensì i complessi rapporti tra Ungheria, Italia e Parlamento Europeo. Orban starebbe mandando un messaggio chiaro: non contestate i miei metodi. Se fosse così, assisteremmo all’ennesimo stillicidio ai danni di una cittadina per interessi più grandi dalle conseguenze liberticide.

Resta ferma l’intenzione, da parte di chi crede ancora e pratica la Resistenza, di tutelare una persona e il suo impegno antifascista. E di liberarla dalle catene di chi ci vorrebbe tutti, tutte e tutt* mansueti e indifferenti alle ingiustizie, al rinvigorimento dei movimenti nazifascisti dentro e fuoti il nostro terreno. Così come rappresentato dall’ultima opera dell’artista urbana Laika, realizzata in prossimità dell’ambasciata ungherese a Roma, in cui Ilaria prende il volo spezzando le catene. Per citare l’artista: “Ila Resisti”.

FONTI:

ZEROCALCARE: “In fondo al pozzo” (Internazionale)

ROBERTO SAVIANO, un’analisi: L’AMICA DI ORBAN

L’ESPRESSO: chi è Ilaria Salis

IL MEMORIALE DI ILARIA SALIS (IL CORRIERE)

L’ OPERA DI LAIKA: “ILA RESISTI” (ANSA)

LA PAROLA A VOI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

TAGS

CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

    View all posts

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di LeContemporanee.it per rimanere sempre aggiornato sul nostro Media Civico