Si sono svolti l’8 e 9 giugno 2025 i referendum abrogativi su alcune delle questioni più discusse degli ultimi anni: la riforma della cittadinanza, lo stop ai licenziamenti illegittimi e la regolamentazione dei contratti a termine. Nonostante la forte mobilitazione di alcune forze politiche e movimenti civici, la partecipazione si è fermata intorno al 33%, ben lontana dalla soglia del 50% + 1 degli aventi diritto al voto, necessaria perché un referendum abrogativo sia valido secondo l’articolo 75 della Costituzione.
In Italia, uno degli strumenti fondamentali della democrazia diretta è infatti il referendum abrogativo: esso consente ai cittadini di abrogare, in tutto o in parte, una legge o un atto avente forza di legge. Tuttavia, l’efficacia del referendum è subordinata al raggiungimento di un quorum di partecipazione, fissato nella maggioranza degli aventi diritto al voto. Se meno del 50% degli elettori si reca alle urne, il referendum è nullo, a prescindere dal risultato.
Le forze di maggioranza, che avevano scelto il silenzio o l’astensione attiva, parlano già di un chiaro segnale di disinteresse popolare per questi temi, rivendicando la legittimità dell’attuale assetto normativo. Ma è davvero così?
I Dati Parlano Chiaro
Negli ultimi decenni, il quorum è stato spesso un ostacolo insormontabile. Numerosi referendum sono falliti non per un rifiuto popolare del quesito proposto, ma semplicemente per la scarsa affluenza. Questo è accaduto anche di recente: nonostante una forte mobilitazione da parte dei promotori e un ampio consenso tra i votanti, l’astensionismo ha prevalso, rendendo vano l’intero processo democratico. Il quorum trasforma il non voto in un’arma politica. I contrari a un referendum, invece di esprimere un “no”, sono incentivati a non partecipare, confidando nel fallimento per mancata affluenza. Si crea così un paradosso: non partecipare vale più che votare contro. Questo meccanismo mina il principio stesso della partecipazione democratica e altera il confronto aperto tra posizioni diverse.
La Proposta: Abolire il Quorum
Diversi costituzionalisti, politologi e movimenti civici propongono l’abolizione del quorum. Secondo questa visione, chi si reca a votare deve assumersi la responsabilità delle decisioni: se un referendum non interessa ai cittadini, si rifletterà in una bassa partecipazione e in una decisione limitata. Ma chi sceglie di non partecipare, secondo questa logica, non dovrebbe avere il potere di invalidare la volontà di chi invece esercita un diritto costituzionale.
In molti Paesi dove esistono strumenti referendari simili, non è previsto alcun quorum. L’esito è valido indipendentemente dal numero dei votanti, proprio per valorizzare il principio della responsabilità e della sovranità popolare.
I critici dell’abolizione del quorum temono che decisioni importanti possano essere prese da una minoranza molto esigua, magari sotto l’influenza di campagne mediatiche mirate. È un rischio reale, ma che può essere affrontato attraverso altri strumenti: ad esempio, innalzando le soglie di firma per proporre un referendum, prevedendo limiti sui quesiti ammissibili o rafforzando l’informazione istituzionale.
Il quorum, nato con l’intento di legittimare il voto popolare, si è trasformato in un freno alla democrazia partecipativa. Il numero crescente di referendum invalidati dimostra che è urgente un ripensamento. Abolire il quorum non significa svilire il voto, ma ridargli valore, ponendo fine al paradosso per cui il silenzio conta più della parola.