Con la nascita di mia figlia – alle ben più consistenti preoccupazioni tipiche del neo-genitore – si affiancò quasi subito un altro quesito.
Che aspetto avrebbero avuto i suoi capelli, una volta cresciuti? Da brava figlia di mia madre, dotata di una capigliatura dalla texture di seta, e di mio padre, dagli iconici ricci afro – per non far torto a nessuno, io ero nata 32 anni prima con una vistosa massa di capelli che se, con un gradevole eufemismo, qualcuno avrebbe potuto definire “alla spiaggia”, io ero molto più propensa a qualificare semplicemente come assolutamente “indomabile.”
I miei capelli – folti, grossi e nè ricci nè lisci – apparivano infatti anni luce lontani dalle chiome sbarazzine delle icone di stile degli anni 2000, che lastricavano il pantheon della mia adolescenza. Hilary Duff, Lindsay Lohan, Amanda Bynes, Alicia Silverstone: a nessuna di loro, a quanto pare, era concesso calcare le scene dell’ennesimo teen movie senza una fluente piega con il phon, ben difficilmente accostabile alla goffa asciugatura con la schiuma che cercava vanamente di disciplinare la mia zazzera ribelle.
Ricordo ancora, ordunque, il mio battesimo del fuoco: avevo 15 anni quando la zia Anna, giovane, smart e dal sorriso onnipresente mi propose sibillina, in occasione di una festa di compleanno; “te li stiro?”. L’operazione fu di una meticolosità chirurgica: ciocca per ciocca, la zia trasformò la fallimentare Guernica che si ergeva sulla mia capoccia nella figurazione tangibile di Ordine e Disciplina. Per la prima volta, allo specchio, mi sentii perfetta: perfino i miei compagni di scuola si sprecarono in lodi che mi colorarono la faccia di imbarazzo e di piacere. Fu l’inizio di un loop con conseguenze assai nefaste. Trascorsi i seguenti 5 anni affetta da una fatale addiction nei confronti della piastra per capelli che, oltre a diffondere un sinistro odore di bruciato ad ogni nuovo utilizzo, mi procurò un tangibile eccesso di doppie punte, di capelli spezzati e – perchè no – di stress.
Spezzare il cerchio, tuttavia, appariva arduo: perlustravo con lo sguardo le bancate dell’università; i bar; i parchi; i supermercati; i luoghi di aggregazione sociale; e mi sembrava pressocchè impossibile riuscire ad individuare una sola ragazza che, come me, avesse ricevuto in sorte il daimon del capello sconclusionato.
In realtà, appariva abbastanza semplice concludere, con il senno di poi, che la maggior parte di queste donne dovessero a loro volta far uso di un qualche metodo stregonesco per stirare i propri capelli: ma agli occhi dei miei furibondi 20 anni, la conclusione più immediata riguardava la semplice ingiustizia di natura.
Ne avevo circa 22 quando una delusione amorosa decise di cambiare, invece, le carte in tavola: oltre che i pezzi sparsi del mio cuore, mi misi infatti a contare i capelli inceneriti che lastricavano il lavandino e statuii, con uno straordinario afflusso di volontà, che quel circolo vizioso avrebbe dovuto finire. Nemmeno capelli lisci e perfetti mi avevano salvata dalla dolorosa fine di un amore: e forse proprio perchè, in ultima analisi, cosa mi crescesse in testa non avesse alcuna importanza, rispetto a come fosse in grado di ragionare ciò che ci si trovava, invece, dentro. Mi tagliai i capelli alle spalle, eliminando con dolore la propaggine che i lunghi anni di piastra avevano depauperato: iniziai a dedicar loro l’attenzione e la cura che sempre gli avevo negato – come, d’altra parte, ai miei sentimenti – e a meditare, piuttosto, su come fosse possibile valorizzarli per ciò che erano, anzichè cercare ossessivamente di trasformarli in qualcosa di assolutamente altro da loro.
Parallelamente, la modifica di qualcosa da “dentro” mi conduceva a leggere la realtà in modo ben diverso anche da “fuori”: non era vero, infatti, che la genetica di Mendel conduceva alla nascita di generazioni intere di donne dai capelli lisci; là fuori, di “curly idol”, era anzi assolutamente pieno.
La magnifica Julia Roberts, che in Pretty Woman e in Mystic Pizza portava in scena lo sfarzo della sua chioma leonina. Nicole Kidman in Cuori Ribelli; Marcella Bella, Lady Oscar, Tina Kunakey, Vittoria Puccini, Sofia Loren, Hermione Granger e persino la giovane Carrie Bradshaw di “And Just Like That.”
In capo a qualche anno, anche la splendida Zendaya, Rihanna e Halle Bailey sarebbero diventate le fiere protagoniste di una rivolta del capello che, così come noi stessi, non ha d’altronde alcun dovere di attenersi a standard codificati. Riscoprire la bellezza di essere semplicemente ciò che sì è un atto rivoluzionario, che pone fine alla sofferenza perpetua del confronto con modelli impossibili: finalmente, avevo capito che il capello poteva essere lungo o corto; riccio o liscio; definito oppure meno; scuro o chiaro oppure, addirittura, non esserci.
La carezza dell’indulgenza mi portò a rapportarmi con tenerezza sempre maggiore a me stessa: gettai via la piastra per capelli ed iniziai a frequentare, piuttosto, i porti sicuri di balsami per capelli mossi, bigodini con il velcro e spazzole ad hoc.
All’improvviso, percepivo l’assoluta inutilità di tutti quegli anni trascorsi temendo una giornata di pioggia, un’impennata di umidità, un capello fuori posto, quando sarebbe stato più semplice abbracciare la bellezza della mia chioma ribelle.
Con soddisfazione, assistevo inoltre al moltiplicarsi sui social network di tutorial finalizzati a suggerire alle giovani donne metodi garbati per prendersi cura dei propri ricci, mossi e bisticci. Il venir meno di un unico standard di bellezza faceva fiorire possibilità, incontri e sperimentazioni, finalmente portando in scena l’infinita ricchezza di una perfetta imperfezione.
Di tanto in tanto, se ancora si pone il pensiero intrusivo sulla zazzera, nonchè l’eco remoto di un ex fidanzato che, devoto ad ordine e rigore, mi definiva “pettinata con il vento”, sfugge, anzi, un sorriso.
Sì. Perchè dopotutto, del “vento”, io sono la figlia.E ne sono assolutamente orgogliosa.
P.S: I capelli della mia Ginevra hanno, alfine, virato verso un mosso setoso che culmina, a metà, in un boccolo vittoriano. Ed io, oggi, non potrei esserne più fiera: perchè il “curl power” è orgoglio di famiglia. E insieme, lo celebreremo.