le opinioni

Assunzioni solo “anta” e lavoro h24? Cara imprenditrice la tua azienda rischia grosso.

Ah, il lavoro H24, sogno proibito dell’imprenditoria italiana, paradiso invocato dai balneari, dai ristoratori, dai lavaggi auto, e ora anche delle stiliste restie ad assumere ragazze distratte dall’amore, dai figli, o magari da un matrimonio scombinato. In questo luogo perfetto della produzione, dei servizi e del management, nel Walhalla del lavoro H24, secondo la visione corrente l’azienda prospera, i fatturati esplodono, il Grande Balzo in Avanti del Pil è possibile, e di conseguenza bisogna regolarsi: il dipendente perfetto è un single sfigato senza relazioni ne’ amici ne’ interessi, se donna senza figli, se uomo – è immaginabile – senza calcetto o tessera dello stadio o madre anziana bisognosa di accudimento. Insomma, uno che può lavorare sempre.

L’imprenditrice Elisabetta Franchi – quella di “assumo solo anta”, se dovevano far figli o sposarsi lo avevano già fatto e quindi io le prendo che hanno fatto tutti i giri di boa, sono al mio fianco e lavorano h24” – ha fatto scandalo per la frase sul rifiuto di assumere ragazze potenzialmente in vena di far figli. La sua voce racconta solo una parte della storia. L’altro pezzo sono quelli che ogni giorno raccontano ai giornali, indignati, le richieste dei loro aspiranti dipendenti: quanto mi paghi? A quante ferie ho diritto? C’è un intero mondo dell’imprenditoria che giudica una provocazione la scarsa voglia di lavorare a Natale, trattenersi di notte, fare il doppio turno, insomma di resistere al mondo perfetto dell’H24, e ovviamente ogni tipo di impegno famigliare o di interesse che distolga dal mitico full-time senza confini.

Si tratta di una ossessione molto italiana. Nel resto del mondo sviluppato imprese e manager viaggiano in direzione opposta e contraria: meno orario, stesso salario. E sembra che funzioni. Breve elenco. Scozia: lo Stato da’ incentivi alle imprese che riducono del 20 per cento l’orario quotidiano di lavoro. Belgio: i dipendenti possono cambiare la distribuzione del monte-ore ogni sette giorni, alternando settimane corte e lunghe. Islanda: si lavora 4 giorni su 7 dal 2017, anche nei servizi pubblici: nessuna perdita di produttività. Spagna: si sta sperimentando la limatura dell’orario da 39 ore a 32, con stipendio invariato (pare che funzioni). Regno Unito: 30 grandi aziende stanno sperimentando la settimana di 4 giorni. Emirati Arabi: i 4 giorni e mezzo sono legge, si lavora dal lunedì al venerdì alle 13. Giappone: il governo incoraggia la riduzione di orario, le grandi aziende si adeguano (Microsoft lo ha fatto già nel 2019, con un aumento della produttività del 40 per cento; Panasonic Holdings entro fine anno concederà la possibilità di lavorare 4 giorni invece di 5 ai suoi dipendenti). Poi ci sono sperimentazioni anche bizzarre, come in Germania, dove alla Jobroller puoi auto-ridurti l’orario quotidiano da otto ore a sei se accetti di disconnetterti dai social e ridurre la pausa-pranzo.

Insomma, l’H24 è fissazione quasi esclusivamente nostra, residuo novecentesco (immagino) del braccio di ferro sulle 35 ore che incendiò il nostro Paese per anni. Un tipo di conflitto in larga parte ideologico che ovunque è stato archiviato tranne che in Italia, ultima giapponese dell’organizzazione del lavoro a tempo super-pieno.

Elisabetta Franchi non è che una dei molti imprenditori prigionieri di questa visione, e mi ha sorpreso lo scandalo suscitato dalle sue parole sul rischio-maternità connesso alle assunzioni femminili. Il vero vulnus del suo ragionamento, per come la vedo io, era la genesi di quella valutazione, e cioè l’idea che l’efficienza di un’azienda passi per la disponibilità al lavoro H24: roba da preistoria, soprattutto nel settore della moda che lavora a “stagioni” e quindi (immagino) richiede flessibilità, non schemi fordisti.

Peraltro il lavoro H24 diventa merce sempre più rara. E’ il risvolto imprevisto del nomadismo occupazionale provocato dal trionfo dei contratti a tempo determinato. Chi si mette a sudare H24 in un’azienda che, programmaticamente, sostituisce il personale ogni tre mesi per evitare complicazioni? Perché dovrei consegnare il mio il mio sabato e la mia domenica a uno che il lunedì mi saluterà con un “Ciao grazie, ti richiamo se mi serve”? Il Walhalla delle H24 si sta svuotando da un pezzo, forse non è mai esistito, e magari bisognerebbe cominciare a copiare un po’ il resto d’Europa e del mondo, dove le donne vengono assunte e promosse anche se giovani, le imprese non falliscono se le manager fanno un figlio, e i fatturati prosperano senza bisogno di H24, talvolta addirittura con H6.

LA PAROLA A VOI

Una risposta

  1. E’ passato un po’ da quando è stato pubblicato questo pezzo di Flavia Perina, molto bello, che avrebbe meritato un’ampia discussione sulle logiche perverse dei posti di lavoro. Negli ultimi 70 anni ci sono stati molti cambiamenti nella mentalità e nelle esigenze, rispettivamente , di datori di lavoro e lavoratori. Di questo sarebbe utile parlare in maniera approfondita. E non è solo smart working, o un generico equilibrio tra vita familiare e vita lavorativa…. Le esigenze portate dall’invecchiamento della popolazione (e per esempio la necessità di assistere genitori anziani), l’esigenza di bilanciare aspettative e comportamenti di uomini e donne, le aspettative dei più giovani, l’aggiornamento delle conoscenze o la possibilità di studiare (e acquisire per esempio competenze del tutto nuove o titoli di livello superiore) per tutto il corso della vita…. questi sono solo alcuni dei temi. E’ semplicemente ridicolo che ci siano ancora imprenditori che non solo discriminano le donne, ma che più in generale non tengono conto di tutte queste problematiche. Ognuno di questi temi è un'”occasione” per il mondo del lavoro. E’ ridicolo che ancora si favoleggi di un’etica del lavoro “antica”, per la quale sarebbe bene essere disponibili al lavoro H24. Su ognuno di questi punti sarebbe interessante stimolare un confronto tra lavoratori e datori di lavoro: ripeto, sarebbe nell’interesse reciproco. E chissà che non migliorerebbe anche l’approccio al tema, altrettanto sensibile in Italiia, della nostra scarsa produttività (a fronte di un monte ore lavorativo esorbitante).

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