le opinioni

Barbie, tra la voglia di essere tutto e quella di essere, semplicemente, Kenough

Le ame sono andate a vedere Barbie, il nuovo film della regista Greta Gerwig, scritto insieme a Noah Baumbach, sulla famosissima bambola, interpretata da Margot Robbie. Poi c’è anche Ken interpretato da Ryan Gosling, ma è meno importante.

Dopo un anno di marketing geniale quanto assillante, le aspettative erano altissime e il desiderio che ci piacesse anche. Però nonostante foto, trailer, eventi, meme, ciò che conta in un film è che, in quelle due ore, riesca a convincere. Barbie ci ha convinte?

Prima di iniziare, però, un disclaimer: è vero che in Barbie, un film che vuole essere femminista,è totalmente assente una prospettiva di classe sulla questione. Barbie is everything, ma lo sarebbe lo stesso se fosse nata in una famiglia a basso reddito? Il film questa domanda non se la fa ma, in tutta onestà, potevamo realisticamente aspettarci di trovare una critica al capitalismo da un film sponsorizzato da Mattel? Noi ame non ce lo aspettavamo minimamente e per questo, anche qui, non abbiamo approfondito questa assenza, dando per scontato che anticapitalismo e sponsor di solito non vanno molto d’accordo.

ZOE: Io sono uscita dal cinema con il sorriso, come mi è sembrato tanti che erano in sala con noi. Questo già di per sé è bello. Dopo ventiquattro ore di riflessione però ho qualche pensiero in più.

LAURA: Quel sorriso secondo me dipende dal fatto che lì per lì ciò che colpisce e rimane di più è l’aspetto comico. Lo dico come un grande complimento. Barbie è in grado di trattare tematiche politiche e personali molto complesse e dolorose: parla di patriarcato, depressione, sindrome dell’impostore in modo leggero ma mai banale o riduttivo. È un film brillante, che però sarebbe ancora più brillante senza gli spiegoni sulla condizione femminile e senza quel monologo così acclamato ma anche così poco originale.

ZOE: Sono d’accordo, la critica alla società patriarcale che traspare nel tono apparentemente frivolo del film bastava da sé. Invece in alcuni momenti diventa didascalico. Il monologo di cui parli, quello di America Ferrera, mi ha fatto pensare ad un altro film di Greta Gerwig, Piccole Donne. In quel caso, però, il monologo di Amy, interpretata da Florence Pugh, spezza la trama e dirotta il tono del film, estraniando lo spettatore e offrendo una prospettiva nuova. In Barbie, invece, risulta come, appunto, uno spiegone con un lessico da pubblicità progresso. Dice cose vere, ma che il resto del film aveva già espresso e molto bene.

LAURA: L’impressione è che si sia voluto far comprendere il messaggio del film da un pubblico il più vasto possibile. Greta Gerwig poteva scegliere tra fare una commedia con una critica al patriarcato sottile e allusiva oppure riproporre un altro film commerciale fatto per venire incontro alle nuove sensibilità senza badare troppo al valore artistico e/o politico, un po’ tipo i remake della Disney. Ha scelto di fare entrambe le cose nello stesso film. Una soluzione di compromesso non facile che secondo me le è riuscita bene, anche se personalmente avrei preferito che il film andasse tutto nella direzione di una commedia surreale. Però alla fine è un’operazione democratica.

ZOE: Certo, è il primo blockbuster di Greta Gerwig e compromessi ne avrà dovuti fare tanti. Però, spiegoni o meno, ha prodotto qualcosa di davvero interessante, divertente ed esteticamente entusiasmante.

È un film a tratti complesso e sperimentale, ma mi sarebbe piaciuta una maggiore fiducia nelle capacità di comprensione del pubblico allargato. Bisogna però dire che i commenti indignati di critici uomini e parte del pubblico maschile non fanno sperare in un futuro in cui le donne si possano divertire senza giustificarsi.

LAURA: Forse siamo noi ad avere troppa fiducia! All’inizio, quando ancora non avevo visto il film né letto recensioni, vedevo solo decine di tweet che prendevano in giro i “maschi offesi per la loro immagine nel film”. In tutta onestà, pensavo che fosse un’esagerazione di Twitter: mi sembrava impossibile che davvero tanti uomini si potessero sentire offesi perché messi in secondo piano e in ridicolo da un film. Invece è proprio così. Critiche anche comprensibili e sensate, nelle stesse recensioni, sono sommerse da lamentele risentite e astiose per il fatto che i Ken e gli uomini vengano rappresentati come dei deficienti anche un po’ dannosi.

ZOE: Che poi Ken è un bel personaggio, anche se scemo, e attraversa un percorso di scoperta di sé e del suo ruolo nel mondo. Noi abbiamo imparato ad amare tanti personaggi femminili scemotti, ma anche maschili, come Derek Zoolander, che però era il protagonista del film.

LAURA: Un maschio scemotto e coprotagonista è troppo per i poveri nervi dei nostri critici.

ZOE: Però io mi sono sentita un po’ Ken, come tanti di noi che vogliamo essere Kenough. Ken per me è una ama, proprio perché imperfetto. Una ama sbaglia, ma alla fine dei conti ci prova a fare meglio e a mettersi in discussione. La domanda vera è: ma Barbie è una ama? Io, come la ragazzina del film, il pensiero che sia un po’ fascista, non me lo tolgo.

LAURA: Questa Barbie (quella interpretata da Margot Robbie) secondo me alla fine si rivela una ama, ma non tutte le Barbie lo sono. Alcune sono semplicemente troppo perfette e noi ame possiamo solo guardarle con ammirazione.

ZOE: Malgrado i tentativi di Mattel di produrre Barbie sempre più inclusive e di avere una nuova immagine anche attraverso questo film, Barbie continua ad avere un ruolo ambivalente nel nostro immaginario, come nel film stesso. Da un lato l’identificazione, dall’altro un modello improbabile di femminilità, carriera e tutto il resto. Poi in generale perchè paragonarsi ad una bambola è tutta un’altra questione.

LAURA: Il marketing di questo film ci ha detto che tuttə siamo Barbie. Ma Barbie può essere tutto, noi ce lo accolliamo di essere tutto?

LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Laura Monti

    Laura Monti (1995, Roma) si è laureata in Lettere classiche all'Università di Roma La Sapienza e nel 2021 ha iniziato l'iter per diventare giornalista collaborando con l'agenzia di stampa Dire. Dal 2022 cura la comunicazione della onlus Progetto Diritti. Nella stagione 2022/2023 ha preso parte alla trasmissione televisiva TvTalk (su RAI Tre), in qualità di analista televisiva.

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  • Zoe Valentini

    Zoe Valentini (1996, Roma) è una regista e videomaker. Laureata in Scienze dello Spettacolo ha lavorato in produzione e scenografia, per poi concentrarsi sulla regia, venendo selezionata in questa categoria per il programma di mentorship Becoming Maestre, promosso da Netflix e Premi David di Donatello. I suoi progetti esplorano l'intersezione tra il tragico e lo sciocco nella vita di tutti i giorni.

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