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L’esempio di Celine Dion. Raccontare la patologia attraverso l’empatia.

Viviamo in un periodo complesso, dove il cyberspazio spinge il singolo all’individualismo autocelebrativo, alla performatività sanista e alla negazione delle fragilità. Eppure non sempre è così. Non sempre la società della performance verte verso la superficialità fine a sé stessa.

Sono sempre più frequenti i casi di persone che utilizzano i social media per sensibilizzare sul tema delle patologie, da quelle invisibili a quelle pervase da un tabù culturale costante. Di salute non si parla volentieri, lo sappiamo. O meglio, siamo attratte da sedicenti guru in grado di elargirci la dieta perfetta, il workout adatto al nostro fisico, come corrispondere a un ideale di perfezione irraggiungibile senza sborsare gran parte del nostro stipendio, ma risulta ancora difficile parlare di patologie senza ricevere messaggi di pietosa compassione e abilismo. Se parli di malattie sei un’eroina, una persona speciale, perché le persone normali non ne parlano volentieri. Questa è la norma.

Ma per fortuna sempre più spesso si assiste a coming-out sul proprio stato di salute dichiaranti un’intenzione precisa: combattere il tabù e aiutare chi vive la medesima condizione a sentirsi meno sola.

Non è un caso che le donne risultino la maggioranza nell’ammettere pubblicamente di essere malate o conviventi con disturbi mentali o neurodivergenze, e che utilizzino i social per viralizzare il loro messaggio. Il personale è politico, anzi, oltre che politico è anche social.

Oggi le donne sfruttano quello che è sempre stato un bias sessista tra i più rocciosi, ovvero la presunta capacità tipicamente femminile di saper parlare del rapporto col dolore, la sua gestione, compresi la malattia e il decadimento perché naturalmente empatiche e sensibili, per abbattere il muro del silenzio che contraddistingue il campo della patologia, sia essa fisica che mentale. Pensiamo alle malattie invisibili come la vulvodinia e l’endometriosi, portate all’attenzione del pubblico negli ultimi anni grazie a influencer e attrici, per esempio.

Il caso più recente però è quello dato alle stampe il 9 dicembre, quando la cantante Celine Dion – voce iconica in grado di farci sognare oggi come negli anni ’90 – ha pubblicamente ammesso, tramite un video sul suo profilo Facebook, di essere malata; una patologia rara di cui molte tra noi non avranno probabilmente mai sentito parlare: la sindrome della persona rigida, un disturbo del sistema nervoso centrale che – secondo il dottor Michael Rubin, MDCM, New York Presbyterian Hospital-Cornell Medical Center – provoca rigidità muscolare progressiva e spasmi.

La cantante nel video è visibilmente emozionata, guarda in camera e rivolgendosi ai suoi fans li informa che finalmente sente di essere pronta a rivelare loro i motivi dell’annullamento del tour 2023 e del perché negli ultimi tempi risultava apparentemente fredda, impassibile, quasi distante dal pubblico. Con gli occhi lucidi Céline Dion racconta della malattia invalidante che l’affligge da tempo, di come gli spasmi muscolari le impediscano di muoversi normalmente, che la sindrome colpisce una persona su un milione e che si prenderà del tempo per riprendersi. Perché senza il suo lavoro, ripete, non può vivere. Cantare è la sua vita.

La vita di Céline Dion la conosciamo e ha connotati quasi fiabeschi, se non fosse per le tragedie che ne hanno costellato il cammino. Nata in Quebec in una famiglia numerosissima viene scoperta dal produttore canadese René Angélil. Neanche adolescente egli la lancia come nuova voce per la sua casa discografica ed è un successo internazionale. Celine Dion canta in tutto il mondo, si fa conoscere, corregge il suo aspetto, e nel frattempo si innamora di Angélil, più grande di lei di ventisei anni e divorziato. È lui a proporle di cantare la colonna sonora del film Titanic di James Cameron e a convincerla a registrarne una demo. La coppia resterà salda e prolifica fino alla morte di lui per malattia nel 2016. Solo due giorni dopo la morte del marito muore il fratello Daniel e nel 2020 perde anche la madre. Lutti importanti che di certo non hanno aiutato la cantante a supportare le accuse in contemporanea riguardo la sua età avanzata, la sua presunta magrezza eccessiva e quello strano distacco coi fans spesso usato per meme e satira di pessima qualità.

Celine Dion ne ha passate tante, ha sofferto molto e pochi giorni fa ha deciso di spiegare il perché di quell’apparente freddezza nel linguaggio del corpo. Soffre di una sindrome che le provoca rigidità e spasmi muscolari in grado di prolungarsi per ore, problema che per una performer come lei, abituata a cantare a Las Vegas notte dopo notte senza sosta davanti a decine di migliaia di persone, appare insormontabile.

Certo è che il suo è un esempio positivo. Non soltanto per le donne malate, ma per tutto il genere femminile. Avere la forza di mettere in discussione l’aurea di perfezione puntando la luce dei riflettori sul lato umano e privato è certamente lodevole. Tralasciando il cinismo di chi vede il marcio anche in passi difficili come l’ammissione di una malattia – perché purtroppo sono esistiti ed esisteranno sempre personaggi in grado di lucrare su un presunto stato di salute per desiderio di compassione – nel caso di Céline Dion è il suo stesso bagaglio professionale ed esperienziale a parlare per lei e a smentire certe insinuazioni.

L’esempio della cantante nel rendere pubblico (e politico) un messaggio personale può farci comprendere quanto oggi sia importante dare spazio di confronto alle patologie invisibili, a quelle rare e di cui non si parla, specie se a farlo sono persone col potere di raggiungere un vasto pubblico. E i social possono essere un ottimo megafono di diffusione. Se la tendenza a parlare di tematiche scomode parte dalle donne, se da loro incomincia il cambiamento per un mondo più ampio e meno giudicante, allora possiamo davvero distruggere un bias e al contempo dare un esempio positivo a tutti gli altri generi. Possiamo condividere le esperienze dolorose e farci forza l’un l’altra. Perché può capitare anche alle stelle come Céline.

LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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