le opinioni

Gino Cecchettin: storia di una rivoluzione gentile

19 Novembre 2025

A due anni di distanza dal femminicidio di Giulia Cecchettin, per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, il nome di suo padre, Gino, è diventato simbolo di una trasformazione possibile. Una rivoluzione silenziosa, composta, ma radicale. Le sue parole, misurate e ferme, hanno segnato un punto di svolta nel dibattito pubblico sulla violenza di genere, mostrando come il dolore, quando diventa responsabilità collettiva, sia in grado di generare cambiamento.
L’esempio di Gino Cecchettin, infatti, appare rivoluzionario anche per la sua decisione di rifiutare qualsiasi retorica di odio nei confronti di Filippo Turetta, responsabile materiale della morte di Giulia.
Egli ha sempre evidenziato, piuttosto, che accanto alla responsabilità individuale sanzionata dalla legge esiste una responsabilità collettiva; e che un contesto culturale che non educa alle emozioni, alle relazioni sane ed al rispetto dell’altro può contribuire a trasformare fragilità ed insicurezze in desiderio di dominio, e di possesso.

Tra i tanti frutti dell’impegno di Gino Cecchettin, occorre ricordare inoltre la nascita della Fondazione dedicata a Giulia, per trasformare il dolore in un progetto, di vita e di speranza. Oggi, la fondazione lavora su più fronti: sostiene iniziative di prevenzione della violenza, crea percorsi educativi nelle scuole, organizza borse di studio e promuove attività culturali pensate per cambiare la mentalità collettiva.

La figura di Gino Cecchettin è diventata quindi, quasi suo malgrado, anche un modello di maschilità alternativa.
Empatica, capace di gestire le emozioni senza timore ed ampiamente consapevole del proprio importante ruolo, nella trasformazione culturale.
In un Paese in cui spesso il discorso pubblico sugli uomini oscilla tra stereotipi di forza e i silenzi emotivi, Gino incarna un modello diverso. Un uomo che non teme di di mostrarsi vulnerabile, spezzando il tabù antico che relega i maschi ad un ruolo arido e muscolare, volendoli incapaci di elaborare, e di condividere i propri traumi.

Alle soglie del, 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la storia di Giulia e la voce di suo padre risuonano, quindi, ancora più forti, come un impegno che (ci) chiede continuità.
Il 25 novembre non può essere solo l’anniversario di una tragedia collettiva, ma un momento per misurare il percorso fatto e soprattutto, quello che (ancora) resta da percorrere.
Ad oggi, i numeri dei femminicidi continuano a ricordarci che la trasformazione culturale è lenta, che la cultura del possesso sopravvive nelle pieghe della quotidianità, che l’educazione affettiva continua a essere percepita come un’opzione, e non come un’urgenza, in assenza di un piano sistematico, continuativo e nazionale.

Un nuovo 25 novembre dovrebbe, quindi, divenire occasione per guardare avanti, e riaffermare che la lotta alla violenza di genere non si esaurisce nei momenti di commozione collettiva, ma richiede continuità, impegno, coraggio.
E la rivoluzione gentile di Gino Cecchettin, d’altronde, ci ricorda proprio questo: che il cambiamento non nasce dall’odio, ma dalla responsabilità. Non dalla rabbia, ma dall’educazione. Non dalla paura, ma dalla volontà di costruire relazioni più sane, e più libere.

In questa prospettiva, la testimonianza di Gino Cecchettin ci consegna una responsabilità che non può più essere elusa: trasformare il dolore in consapevolezza, la consapevolezza in azione, l’azione in cambiamento duraturo. La sua voce, così pacata e determinata, resta un invito a non arretrare, a non cedere all’indifferenza, a costruire ogni giorno una cultura capace di prevenire la violenza prima ancora di doverla punire.
Perché la vera rivoluzione – quella che parte dal modo in cui guardiamo l’altro, dal modo in cui cresciamo i nostri figli, dal modo in cui viviamo le relazioni – non ha bisogno di clamore: ha bisogno di costanza, di educazione, di coraggio.
E se il 25 novembre deve avere un senso, dovrebbe, forse, essere proprio questo. Ricordarci che il cambiamento è possibile, ma solo se tutti, insieme, scegliamo di esserne parte.

LA PAROLA A VOI

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