Sognare l’America molto spesso significa fascinazione per un Paese controverso e dalla storia complessa e cupa, tuttavia scandita da bagliori di luce così forti da lasciare increduli.
A cosa stiamo guardando? Alla terra delle leggi Jim Crow e dei linciaggi da un lato e di Rosa Parks, Martin Luther King, l’NAACP, i bus boycott, dall’altro; al suolo che garantisce costituzionalmente la cittadinanza americana come rimedio a una sanguinosa Guerra civile da un lato, e dall’altro, che ha detenuto senza giustificazione cittadini americani solo perché supposti “nemici combattenti” durante l’emergenza terrorismo dei primi anni Duemila. Diritti conquistati e diritti negati, una lotta senza fine tra identità e disuguaglianze.
Ciononostante, fino a qualche tempo fa la solennità rituale che ammantava Washington D.C. – nello specifico, il Campidoglio – sembrava regolare come una sorta di galateo ogni conflitto tra le parti. Forse proprio in questo gioco, tanto di logica e destrezza quanto di radicale libertà, stava il sogno Americano che tanti, dai cittadini più illustri ai più comuni, hanno avuto. I have a Dream – lo diceva Martin Luther King dal diciottesimo scalino del Lincoln Memorial.
Donald Trump ha prestato giuramento lo stesso giorno in cui è caduto proprio il Martin Luther King Day e ha promesso di realizzare il sogno di King.
Il sogno americano di King, però, non c’è più e con il discorso di insediamento più partigiano della storia degli Stati Uniti, Donald Trump – statuario davanti alle Bibbie su cui ha già giurato nel 2017, quella regalata dalla madre e la Bibbia di Abraham Lincoln – ha giurato di odiare.
L’ha chiamata “età dell’oro”, per non ammettere che sarà l’età dell’odio, dello scontro fazioso e senza regole. Donald Trump non ha giurato come Presidente – nella Rotunda di Capitol Hill che, solo quattro anni fa faceva assaltare dai suoi seguaci fomentando rivolta e sedizione in opposizione ad un regolare processo democratico – ma come Commander in Chief, Comandante in Capo, perché la sua è una guerra dichiarata. La sala, infatti, è piena di soldati pronti a difendere la loro guida che torna a promettere di fare (di nuovo) l’America Grande.
Prima di tutto, calpestando i suoi nemici – politici e immaginari. Nessuno resta impunito in più di 30 minuti di discorso che tradizionalmente dovrebbe riunire il paese all’indomani di dure campagne elettorali, ma che non ha fatto altro che ridurre in cenere – definendolo “un tradimento dell’America” – ogni risultato portato a casa da uno dei Presidenti che più ha cercato di rivoluzionare l’America profonda, Joe Biden.
Per il Tycoon il 20 gennaio 2025 diventa “il giorno della Liberazione”, quello che probabilmente avrebbe sperato di poter dichiarare già il 6 gennaio 2021 con l’attacco a Capitol Hill (per cui, non va dimenticato, ha ottenuto il riconoscimento dell’immunità Presidenziale da parte della sua Corte Suprema lo scorso giugno). Da cosa si libera l’America di Trump? Proprio della solennità che la rendeva meritevole di un Destino Manifesto, della sensazione dell’essere E Pluribus, Unum, capace di unire sotto il manto della democrazia, l’Opposto, la Contraddizione che affascina perché espone a nudo occhio le ipocrisie dell’umana natura.
Trump si libera anche del bilanciamento democratico e costituzionalmente imposto dei poteri, catene che impedirebbero la pioggia di Ordini Esecutivi che il Presidente ha già firmato – dall’abolizione del diritto alla cittadinanza per nascita (non è però suo compito poterlo fare e da questo si sprigionano anni di contenziosi), all’esclusione di persone Trans dall’esercito americano, passando per il ritiro dagli Accordi di Parigi, fino alla fine delle politiche DEI – e a suon dei quali sta già tentando di sradicare con violenza e rabbia ogni pilastro dell’identità americana. Perché può farlo? Perché è convinto di essere stato risparmiato da Dio in nome della sua missione, e il culto che ha alimentato attorno a sé non gli dà torto alcuno.
Ogni parola del discorso inaugurale risulta sputata come veleno: se Biden, infatti, conclude la Presidenza con un annuncio commovente per gli addetti ai lavori, informando, ovvero, che l’ERA (Equal Rights Amendment) diventa legge dopo anni di battaglie, scontri, propaganda e ideologia, Trump definisce il genere un marchingegno forzato dal Governo in maniera intrusiva in ogni aspetto della vita pubblica e privata. Il Comandante cancella, odia e impone: “Da oggi, ci sono solo due generi – maschile e femminile”. Con l’inaugurazione di altri quattro anni di Presidenza Trump, cala il sipario sugli Stati Uniti d’America come mitologico baluardo delle libertà che prima o poi avrebbero dovuto troneggiare. L’America è sola, gli Americani sono soli e anche noi, dall’altra parte dell’oceano, lo siamo. La luce è stata spenta ed è sempre al buio che le paure più profonde si tramutano nei peggiori mostri.