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Infanticidio di Parma, l’aborto come diritto sommerso dai pregiudizi e dall’anestesia emotiva

Il buio oltre la siepe di casa Petrolini coinvolge più responsabilità di quante ne stiamo leggendo. Il dramma di chi sradica il proprio desiderio di maternità e lo rinnega al punto da non parlarne con nessuno è il lutto non solo di un piccolo comune come Traversetolo, rimasto in disparte fino a che la quiete delle apparenze non è stata turbata dall’inaspettato, ma di una nazione intera. Ancor prima di ritrovare il corpo di due neonati, il fatto che una ventiduenne scelga di sopprimere quello che stava vivendo, anziché tutelare i suoi diritti e ricorrere consapevolmente all’aborto in una struttura adeguata, rappresenta il fallimento di uno Stato che non ha saputo aiutare una donna, quella che avrebbe potuto essere una madre (o anche no) con politiche di prevenzione mirate.

Un silenzio assordante che è emarginazione sociale indipendentemente dallo status di chi aspetta, una solitudine interiore così profonda e radicata da nascondersi dietro la palizzata della “perfezione” presunta, dietro sagome di luoghi comuni che si sono sciolte come neve al sole.
Dietro lo steccato di casa Petrolini, però, c’è un affresco culturale che molti italiani e italiane si rifiutano di ammettere.

Chiara Petrolini è stata definita in molti modi, teatrali e crudeli. Tra questi c’è chi le ha addossato un “autismo relazionale” e un “totalitarismo emotivo”, due condizioni che l’avrebbero portata a una scissione tra il piano cognitivo e quello empatico. In molti si chiedono come Chiara abbia potuto nascondere non una ma ben due gravidanze: su questo indaga la Procura di Parma, ma la questione abbraccia ormai la coscienza di troppe persone, donne prima di tutto.

A far riflettere non è solo la scelta estrema, gelida, di una 22enne di liberarsi di due gravidanze indesiderate, ma l’assoluta inconsistenza delle persone che circondavano la ragazza mentre attraversava tutto questo. I riflettori sono tutti su Chiara in quanto “icona della maternità negata”, mentre il ruolo del fidanzato, se fosse o meno conscio della sua gravidanza, è un dettaglio che sfuma sullo sfondo: lui è dipinto come un ignaro credulone. Questa è una forma di colpevolizzazione unilaterale che ha radici bibliche ma che nel 2024 ancora è zavorra sociale e offusca l’intelligenza umana.

A fronte della condizione di Chiara, dov’erano e come si sono attivate le persone che avrebbero dovuto frapporsi tra il disagio di questa ragazza e quello che stava per compiere? Libera di intendere e di esercitare il proprio diritto all’aborto, come emerge anche dal comunicato della Procura, in che tipo di società vive Chiara, che tipo di valori le sono stati impartiti, per aver ritenuto più conveniente sbarazzarsi di due bambini sotterrandoli in giardino e non, al contrario, portare a termine le gravidanze o persino darli in adozione?

Stando alla nota della Procura, per il secondo bambino le acque si sarebbero rotte il 1° agosto 2024, sei giorni prima di essere contattata dalle autorità: in quei giorni Chiara avrebbe trascorso il momento del travaglio con le amiche, imbarcandosi anche per dei controlli per un volo intercontinentale. Quanto devono essere insensibili, distratte e superficiali le persone che la circondano per non aver captato nulla nel suo atteggiamento? Per non essersi chiesti se fosse meglio intervenire e aiutare come dovere morale?

Non si tratta di una de-responsabilizzazione dell’indagata, ma di uno spaccato sociale che non può essere cancellato da questa storia e che può servire come passe-partout per comprendere cosa spinge una donna, desiderosa di diventare madre, una studentessa di scienze della formazione e una baby sitter referenziata a vivere la genitorialità solo come un riflesso altrui, mai come una scelta personale.

Il 28 settembre ricorre la giornata internazionale dell’aborto libero, sicuro e gratuito, ma questa data è a malapena ricordata in Italia, tantomeno promossa in un’ottica di benessere femminile.
Viviamo in un Paese laico per Costituzione, ma che stigmatizza l’aborto e gli attribuisce una lettera scarlatta, un binomio tra parto=bene e aborto=male, concepito quest’ultimo come qualcosa da nascondere o da non condividere. Ci stupiamo allora che una persona, con una condizione psicologica ancora sotto indagine, abbia tradotto questa percezione distorta in una drammatica realtà?

Molti si soffermano sulla colpevole, che dovrà rispondere certamente di quanto ha fatto, ma sullo sfondo emerge anche l’indifferenza di una comunità che sapeva ma non ha fatto nulla, di genitori che si infastidiscono se la reputazione viene macchiata dai pettegolezzi ma che non prestano attenzione invece a come si senta una ragazza incinta, una cerchia di amiche con cui Chiara trascorreva il tempo libero ma con cui la profondità emotiva si fermava davanti al velo dell’introspezione, dietro cui la ragazza nascondeva ben altre realtà. La sua si muove in una solitudine interiore che adesso andrà svelata, perché non è stato possibile dargli voce prima.
Chiara avrebbe dovuto, ma la gravidanza è una condizione che porta a fragilità interiori che devono essere accolte e quantomeno intuite anche da chi ci sta intorno.

A fare i processi ci penserà la magistratura, ma per quanto riguarda invece l’autocritica, l’analisi è collettiva. Forse sarebbe il caso di domandarsi perché una ventiduenne, che al Gip ha ammesso di aver sempre voluto bambini, abbia scelto di soffocare se stessa e due vite quando avrebbe potuto maturare,
con il giusto supporto, anche altre opzioni. Il tutto in un Emilia Romagna che, secondo “Mai Dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiovi, è tra le regioni virtuose per quanto riguarda l’accesso a informazioni nei consultori. Una regione del centro Italia dove il 45% delle strutture non ha la totalità di obiettori di coscienza. L’Emilia Romagna dove, come evidenziato a maggio 2024 dall’assessore regionale alla salute Raffaele Donini, rispondendo a un’interrogazione in aula della consigliera di Europa Verde, Silvia Zamboni, c’è stata persino una riduzione di ostacoli: dal 53,7% del 2018, nel 2021 le percentuali di ginecologi obiettori di coscienza sono scese rispettivamente al 45,6% e al 63,4%.

Chiara Petrolini aveva, perciò, tutte le possibilità normative di accedere all’aborto. Se parliamo invece di accedere all’aborto emotivamente, se ci soffermiamo sulla considerazione sociale che le persone attribuiscono all’aborto, la responsabilità non si limita solo alla ventiduenne, ma è anche di chi la circonda e ha contribuito a non incoraggiare una scelta responsabile.

La maternità non si esaurisce infatti nel parto, nei 9 mesi di gestazione, è un processo che chiede alla donna di mettere in discussione la sua realtà preesistente, di riadattarla in base a nuove esigenze e di ricostruirla con una nuova visione di sé all’interno del mondo in cui vive: se questo processo non è possibile, se accanto non si hanno persone adeguate, le ferite interiori possono essere molto profonde, spesso invisibili ma dolorosissime. Le possibilità per abortire c’erano tutte, ma Chiara non si è data la possibilità emotiva di usufruirne. L’educazione affettiva in tal senso è una questione di Stato, non più una questione privata, ma rimarrà un fatto personale fino a che continueremo a credere che la genitorialità sia solo una responsabilità femminile e di chi partorisce.

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  • Barbara Polidori

    Barbara Polidori è una giornalista che ha collaborato negli anni con diverse redazioni di cronaca e attualità, tra cui Repubblica, Il Messaggero, Roma Today, Il Corriere della città, HuffPost Italia, Linkiesta, The Vision, Vita.it e Business Insider, realizzando inchieste, interviste e videoreportage. Vincitrice del premio Asvis all’interno del Master de Il Sole 24 Ore in “Giornalismo politico-economico e informazione multimediale”, ha realizzato un long form di storytelling giornalistico dal titolo “Barriere rosa e Stem”, incentrato sul gender gap nelle imprese romane del settore ICT e a conduzione femminile. Collabora con l’Università La Sapienza di Roma a progetti per ridurre il divario di genere nelle carriere informatiche e sensibilizzare sulla sostenibilità ambientale, come “G4greta - Girls for Green technology Applications” e “Gict – Atlas of gender initiatives in ICT”. Nativa digitale e nerd addicted, ha gestito per anni i canali di comunicazione di progetti editoriali rivolti a blockchain, fintech e criptovalute e realizzato il paper accademico “A Greed(y) Training Strategy to Attract High School - Girls to Undertake Studies in ICT” per conto dell’Università La Sapienza di Roma, presentato all’interno dell’HCI INTERNATIONAL 2023 di Copenhagen, volto a illustrare nuove modalità e approcci didattici con cui attrarre le studentesse liceali verso le materie tecnico-scientifiche, con particolare riferimento al coding e all’informatica. Aderisce a “Prime Minister Roma”, la scuola di politica per giovani donne.

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