a cura de Le Contemporanee
Parliamo spesso dei soffitti di cristallo che dobbiamo far cadere passo dopo passo, nell’arco delle nostre vite, familiari, private, lavorative, politiche.
A volte però c’è anche la paura di spiccare davvero il volo una volta arrivate in alto. La capacità di essere pienamente se stesse e capire che si e’ li’, dove si e’, non solo perche’ abbiamo un buon cv, abbiamo fatto i compiti a casa, non abbiamo litigato con troppa gente, ma anche perche’ siamo esattamente noi.
Personalita’, competenze, intuito, capacità di ascolto, talvolta anche una certa irruenza e autonomia. Questo vale in qualsiasi campo, ma vale ancora di piu’ in un ambito maschile per antonomasia: la politica.
Ecco che allora vale la pena di analizzare la storia di chi è vicina a una vetta quasi inarrivabile e che ora ha paura di volare. La storia e l’empasse di Kamala Harris.
Ce la racconta Veronica Noseda, che ne spiega valori e mancanze, ma che c’entra il punto piu’ importante di tutti: il cv e’ importante, ma e’ la nostra storia personale a fare davvero la differenza. E la capacita’ di mostrarsi come si e’, sembra sempre un rischio che vale la pena correre.
Kamala Harris e la paura di volare. Perchè è tempo di un cambio di strategia.
a cura di Veronica Noseda
É passato un anno appena dall’ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca e tutti ricordiamo non solo il vecchio Joe (con il dovuto rispetto) ma anche la stella luminosissima di Kamala Harris, che in molti davano come possibile prossima Presidente Usa. “Dream lady”, curriculum invidiabile, carnagione ambrata, origini interraziali, eleganza, stile, determinazione.
Eppure il suo primo anno come Vice di Biden è stato assai difficile.
Ed è arrivato a certificarlo, come da implacabile tradizione statunitense, un bel tonfo nei sondaggi Usa.
Sembra che oggi a ispirare fiducia negli elettori sia Michelle Obama, a cui i cittadini guardano con grande speranza in vista della campagna di Midterm.
Esiste una buona probabilità, anche per l’età non tenera dell’attuale Presidente, che Biden non si ricandidi nel 2024. Proprio per questo i motori si scaldano già negli Usa, nel Partito Democratico e in quello repubblicano, che vede il sempre inviperito Donald Trump pronto a scalpitare. E proprio per questo le donne leader sono sotto gli occhi di tutti.
Anche perchè appunto, come ben sappiamo, nessuna donna ha mai ricoperto la carica di Presidente degli Stati Uniti d’America.
Ci era andata vicina Hillary Rodham Clinton, ma ricordiamo ancora tutti quell’amaro risveglio con Donald Trump vincitore (a questo proposito vi segnaliamo il bel documentario proprio su Hillary visibile su Now Tv, che molto spiega della politica Usa, visualizzabile a questo link).
Insomma, Kamala Harris è sotto il fuoco delle critiche. Da qualche settimana ci sono dubbi sulla sua capacità ad incarnare il futuro e a convincere di potere essere una “comandante in capo” capace di sostituire Biden in caso di problemi, in particolare di salute, del Presidente in carica.
Bisogna dire che Kamala Harris non ha mai giovato dello “stato di grazia” che accompagna i neo-eletti. Da sempre scrutata, giudicata, oggetto di critiche a volte anche sfondo razzista o sessista.
Proprio questa posizione particolare e scomoda la fa diffidare da uno stile spontaneo, che lei stessa considera troppo pericoloso perché possibile terreno di gaffes.
L’impressione di conseguenza è quella di una donna capace ma che rimane “sulle sue” in questa fase del suo mandato, evidentemente un po’ stretto e poco libero: tono paludato, poca empatia.
Nonostante le grandi aspettative su di lei e un curriculum notevole, al momento non riesce ad arrivare al cuore degli americani.
Eppure quando è stata eletta ha suscitato un vento di speranza. Va ricordato che ha un padre giamaicano e una madre indiana. Kamala Harris, per contesto e origini, ha dunque rotto molteplici soffitti di cristallo. è stata la prima procuratrice di colore dello Stato della California e anche per le sue origini miste una delle poche senatrici interraziali.
Come dicevamo, Kamala Harris oggi vive una situazione scomoda. Questa situazione è in parte inerente allo statuto di Vice Presidente, ma non solo. La Harris non può portare a Joe Biden ciò che Biden aveva portato a Barack Obama. Cosa in particolare? Una grande conoscenza del Congresso e delle sue più profonde e nascoste dinamiche, uno sguardo specifico della politica estera, in uno scacchiere internazionale così complesso e nuovo, specie per gli Usa, che metterebbe in difficoltà anche i più fini analisti di politica internazionale.
Ciò che però Kamala Harris può offrire a Joe Biden, anche lui un Presidente decisamente non in grande spolvero e un po’ ammaccato, è la sua esperienza e conoscenza della legge e dei diritti civili e politici. Del resto è un patrimonio fatto non solo di curriculum ma di vita vissuta, una vita che ha un peso importante e che lei stessa porta direttamente sulle sue spalle. Il peso della storia e in particolare della discriminazione razziale e misogina.
Questo patrimonio in questa fase della sua Vice Presidenza anziché renderla più forte e galvanizzarla, sembra parallizzarla.
Se Harris vuole incarnare il futuro del partito democratico, a qualche mese dalle mid-terme elections, deve forse accettare il suo ruolo di “simbolo” di inclusività. Se non lo fa, altri tenteranno di ricoprire questo ruolo. Ci sono già dei candidati pronti, come Pete Buttigieg, giovane e carismarico segretario dei trasporti, omosessuale e padre di due figli, che già si posiziona per le prossime primarie.
Il tempo per rimettersi in pista non é molto, gli occhi sono puntati su di lei e la pressione non è semplice da gestire.
Kamala Harris ha però tutte le carte in regola per risalire in sella, lasciare un segno e chi lo sa, iniziare a immaginare un futuro prossimo da Presidente e non più da vice.
Molti scommettono che una prossima corsa per la Casa Bianca possa essere proprio una super sfida interna ai democratici tra Michelle Obama e Kamala Harris.
Mica male.
Una risposta
La Harris è stata scelta soprattutto a causa del suo profilo personale (donna, afroamericana) mentre infuriava la protesta razziale ma non ha mai avuto un consenso personale: fu eletta in Senato nelle uniche elezioni della storia della California a cui non parteciparono i Repubblicani; nel 2019, quando si ritirò alla vigilia delle primarie Dem, nei sondaggi era al 3 per cento. Probabilmente la donna presidente migliore sarebbe stata Elisabeth Warren, più strutturata e politicamente abile, ma era bianca, del Massachusset e giudicata “troppo vecchia” (70 anni), e fu scartata. Mia considerazione: il gioco delle figurine (scegliere un candidato per la sua origine, sesso, religione o altra caratteristica personale) comincia a non funzionare più, o meglio: può funzionare in campagna elettorale ma rivelarsi un guaio dopo perché oltre a saper vincere si deve pure saper governare.