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Online, social, violenza di genere. Internet è sessista?

Online, social, violenza di genere. Internet e’ sessista? 1

Premessa a cura de Le Contemporanee

Tema attuale e piuttosto scottante. Internet fa bene o fa male alle donne, in questo preciso frangente della nostra contemporaneita’?

Siamo in grado di utilizzarlo al meglio, tenendo tutte piu’ unite su fronti di lotta comuni, percorrendo passi in avanti verso la parita’ di genere? A volte e’ accaduto, con il #metoo ad esempio. Oppure il web e i social tirano fuori il peggio di noi e degli altri, dando fondo ai piu’ tremendi stereotipi di genere, rendendo le donne forti e con personalita’ sempre piu’ visibili ma vulnerabili?

Vittime donne di shitstorm, violenza on line, troll sessisti, sono purtroppo all’ordine del giorno. Che fare?

L’analisi della giornalista italiana basata a Londra, Sabrina Provenzani, ci aiuta a ricostruire cosa succede e cosa potrebbe accadere in un futuro vicino. Ci racconta inoltre quali siano le donne che piu’ si stanno occupando di questa tematicha a livello mondiale. Sabrina Provenzani. pone anche domande a cui crediamo sia assolutamente urgente rispondere, per organizzare al meglio la nostra lotta.


Online, social, violenza di genere. Internet e’ sessista? 2

a cura di Sabrina Provenzani

Studio con sempre più apprensione i delicati equilibri fra democrazia e tecnologia, e ho a che fare ogni giorno con domande essenziali sui modi e le forme della sopravvivenza, nel mondo digitale, di garanzie e contrappesi democratici inventati da e per un mondo analogico, inadeguati per quello online. Le questioni sono moltissime, e spero di affrontarle con voi su Le Contemporanee, perché, Metaverso o no, anche in Italia siamo immersi in un presente virtuale di cui mi pare che il dibattito pubblico, italiano e internazionale, non si occupi abbastanza.

Seguo molto da vicino l’attivismo del Real Facebook Oversight Board, un gruppo di critici di Facebook creato l’anno scorso da Carole Cadwalladr, la giornalista britannica dello scoop su Cambridge Analytica. A proposito di social e Cambridge Analytica, leggi qui.

Ne fanno parte nomi autorevolissimi di accademia, attivismo tech, società civile, fra cui, per restare all’autorevolezza femminile, la stessa Cadwalladr, Shoshana Zuboff e la giornalista filippina Maria Ressa, recentissimo Nobel per la Pace.

E insomma le domande sono tante e urgenti, ma oggi mi preme porvi queste:

  1. Perché abbiamo lasciato che internet, nato come utopia di rinnovamento della società, diventasse per le donne una fogna peggiore del peggiore spazio pubblico analogico?
  2. Perché, come femministe, lasciamo che i social ripropongano, ingigantiti, i soliti stereotipi e e i peggiori pregiudizi contro le donne?
  3. Perché non consideriamo l’online terreno di azione politica specifica, potenza transnazionale da conquistare?

Perché, mi rispondo da sola, in Italia stiamo ancora al punto sollevato da Flavia Perina proprio qui sul nostro mediacivico de Le Contemporanee: le candidature femminili importanti sono una eccezione, mentre nel resto del mondo festeggiamo incredule qualsiasi vittoria politica al femminile.

Un po’ di dati. La violenza di genere online è stata definita dal Rappresentante delle Nazioni Unite

Lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla Violenza contro le Donne definisce la violenza di genere online “qualsiasi atto di violenza di genere commesso tramite o aggravato dall’uso di tecnologie informatiche […] perpetrato contro una donna in quanto donna, o che colpisce in modo sproporzionato le donne”.

È la definizione adottata da uno degli studi uno degli studi più ampli sul fenomeno, commissionato da Jigsaw (l’unità di ricerca di Google dedicata a monitorare le minacce alle ‘società aperta’) all’Intelligence Unit dell’Economist nel 2020 e pubblicato nel marzo 2021.

Qui il link: https://onlineviolencewomen.eiu.com

E a questo link l’appendice metodologica

Internet è definita ‘arma a doppio taglio’: da una parte, offre enormi opportunità di espressione; dall’altra é sempre più spesso strumento di abusi mirati. Situazione peggiorata dal Covid, durante il quale, con l’aumento del tempo online, è aumentata anche l’esposizione a quegli abusi.

L’Intelligence Unit ha sondato un campione di 4500 donne nei 51 paesi maggiori per popolazione online. Il 40% ha confermato di aver subito molestie dirette, mentre in media l’85% del campione ha assistito a forme di violenza di genere online. Le differenze regionali sono ampie, dal picco del 98% in Medio Oriente al non confortante 74% dell’Europa.

Il 54% delle donne sondate conoscevano il molestatore: il resto sono vittime dell’amplificazione virtuale. Ma i due fenomeni, violenza offline e online, sono connessi.

Ora, come per la violenza offline, l’impatto sul benessere mentale delle donne è enorme, sentito dal 92%. Il 43% perde sicurezza: per il 10% la violenza esce dallo schermo e diventa fisica; il 7% perde o cambia lavoro.

Un terzo si autocensura, ci pensa su prima di postare, riduce la presenza online. Conseguenze sociali ed economiche? Aumento del digital divide, impatto negativo sull’economia globale (aumento delle spese mediche e perdita di reddito), riduzione della diversità di genere.

Insomma, il copione è lo stesso dell’offline, però moltiplicato dalla viralitá, con il perverso vantaggio di “anonimato, azione a distanza, automazione, facilità di accesso all’obiettivo, impunità garantita, amplificazione in perpetuo”. Le tecniche vanno dalla diffusione di video alla divulgazione di informazioni personali (doxing) alle minacce fisiche alla diffamazione allo stalking, e questa è solo una sintesi. La violenza di genere nell’epoca della sua riproducibilità social.

Naturalmente non si salva nessuna. Esempio illustrissimo: appunto Maria Ressa, Ceo della testata filippina online Rappler neo co-vincitrice del Premio Nobel per la Pace. Qui la motivazione ufficiale https://www.nobelprize.org/prizes/peace/2021/press-release/

Per un ritratto non generico di Ressa vi rimando a questo articolo di Carole Cadwalladr https://www.theguardian.com/world/2021/apr/18/facebook-and-fear-in-manila-maria-ressas-fight-for-facts

Non sono certa che, in Italia e nel mondo, sia stata data la giusta enfasi alla motivazione per cui ha prevalso su migliaia, ahimè, di eroici giornalisti e difensori della libertà di stampa nel mondo, né conosco le logiche e le considerazioni che governano la scelta dei giurati di Oslo. Però potrebbe esservi sfuggito questo passaggio e la sua rilevanza politica: “Ressa e Rappler hanno anche documentato come i social media vengano usati per diffondere fake news, vessare gli oppositori e manipolare il dibattito pubblico”. Già prima di entrare nel Real Facebook Oversight Board, Ressa era una voce critica nel fianco di Facebook, oltre che del regime filippino di Duterte. Della violenza di genere è una delle vittime più autorevoli.

Sempre insieme alla Cadwalladr, punita da una Twitter shitstorm per aver denunciato le indebite interferenze della destra populista nella campagna referendaria pro Brexit, Maria Ressa è al centro del report dell’Unesco The Chilling: Global trends in online violence against women journalists, una ricerca condotta da un manipolo di donne per altre donne di cui vi raccomando la lettura integrale. https://en.unesco.org/sites/default/files/the-chilling.pdf

Si basa sul presupposto che il ruolo di informatrici metta le ‘giornaliste donne nella posizione di essere contemporaneamente l’obiettivo principale della violenza online e le prime a reagirvi”. In questo senso la doppia penale ‘giornaliste e donne’ ne fa delle catalizzatrici d’odio per tutte noi.

“Ressa e Rappler hanno anche documentato come i social media vengano usati per diffondere fake news, vessare gli oppositori e manipolare il dibattito pubblico”

La sintesi la fa Maria Ressa: ‘Vengo attaccata in primo luogo come giornalista e poi come donna”. Gli abusi sono di tutti i tipi, e naturalmente trionfa la promessa di stupro di massa.

A questo incremento rapido della misoginia online si affianca una reazione femminile, che forse, come vedremo dopo, può sfociare in mobilitazione femminista. Un esempio è la frequenza di whistleblowers donne contro Big Tech, con l’ultimo caso molto noto di Frances Haugen, ex data engineer product manager dii Facebook che ora ne è la principale accusatrice e che sta portando conoscenza dell’opinione pubblica una delle maggiori, più coerenti e meglio documentate denunce contro il social network. Le sue testimonianze in vari contesti istituzionali, dal Congresso Usa al Parlamento britannico a quello europeo, stanno fornendo informazioni preziose ai regolatori.

Ma durante un recentissimo panel proprio sul ruolo delle donne nel whistle-blowing su Big Tech Libby Liu, l’avvocatessa di Frances Haugen, ha descritto la diffidenza misogina con cui parte della stampa o del pubblico ha accolto le sue uscite pubbliche. “Come può essere così articolata? si chiedono. Pensano che non possa essere tutta farina del suo sacco, e che dietro ci debba essere per forza essere un uomo che la manipola e guida”.

Ora, Maria Ressa o Frances Haugen sono il prototipo di donna che ce l’ha fatta, che si è affermata professionalmente a livello altissimo, perfino, per le professioniste di Big Tech, facendo il percorso netto nella corsa STEM, cioè ottenendo prestigiose lauree in materie scientifiche e tecniche. È servito a trovare ottimi lavori, e poi ad essere doppiamente discriminate, umiliate, screditate.

Come contrattaccare? Con la pressione congiunta di opinione pubblica e seri interventi coordinati dei regolatori a livello globale. Solo che i regolatori, in tutto il mondo, sono ancora nella fase adolescenziale della presa di consapevolezza, cioè stanno facendo i conti ora con la necessità di regolamentare l’online, e i social in particolare, e ancora ragionano su come farlo: compito arduo già in teoria, cioè nello spazio scivoloso fra censura e libertà di espressione, e soprattutto in pratica, visto che qualsiasi social network di massa oggi ha risorse superiori ai maggiori stati sovrani, e insomma al momento non si può obbligarli, bisogna convincerli a collaborare, e non c’è modo di verificare in modo efficace e indipendente se lo facciano davvero.

Come chiarito da Francis Haugen e da altri prima di lei, comprese Milena Gabanelli e Simona Ravizza in un recente DataRoom del Corriere proprio sull’odio online, i social, e Facebook in particolare non hanno alcun reale incentivo a sradicarlo, perché i contenuti che polarizzano sono quelli che creano più engagement, più coinvolgimento, e l’engagement è ala radice del modello di business social.

E quindi mi chiedo, e chiedo a tutte voi: c’è, in Italia, lo spazio e il capitale politico per un’azione femminista di pressione pubblica sulla misoginia online, vista non come la prosecuzione ma come un salto di qualità di quella offline? Il traino internazionale è pronto: il 10 novembre più di 70 organizzazioni globali per i diritti delle donne hanno inviato una lettera aperta ai top manager dei principali social media. Chiedono direttamente a loro azioni efficaci di lotta a misoginia e razzismo online. L’hashtag? #FeministNet.

Foto di Lum3n da Pexels

Una strategia per un web femminista, si può e si deve.


Avete espresso da piu’ parti l’urgenza che il web e soprattutto i social diventino un luogo piu’ sicuro e proattivo per le donne e per il femminismo.Evidentemente il me too non e’ bastato a dare una bella ripulita.I leoni e gli stalker da tastiera sono tornati e se la prendono sempre piu’ frequentemente sia con donne piu’ vulnerabili alle critiche o al body shaming ma anche con le donne indipendenti e socialmente più in vista.

Sono queste le segnalazioni principali che abbiamo ricevuto dal vostro osservatorio e rispecchia parecchio quanto anche i dati ci dicono in proposito.

Lidia segnala come ” Finché una parte dei social godranno di anonimato e saranno popolati da troll penso che il fenomeno non potrà spegnersi. Le donne sono sempre le più prese di mira. Occorre battersi almeno perchè i vigliacchi ci mettano la faccia” Riccardo ci scrive via email quanto sia nelle chat whatsapp tra amici che sui social molti suoi colleghi (non più amici) facciano ” i leoni da tastiera, spesso facendo commenti di dubbio gusto, al limite del penale”. Riccardo si è sottratto a questo cameratismo stupido e ha saputo dire basta, uscendo dalla chat magari o bloccando alcune persone sui social, segnalandola a Facebook. Alcuni erano appunto “ex amici”. Ben fatto, Riccardo.

Maria Luisa invece pensa che un movimento femminista 4.0 sia necessario per ” rilanciare un #metoo che sia educativo piu’ che punitivo. Per cambiare il linguaggio, il modo di rapportarsi con gli altri, specialmente con le donne. Non solo diretto agli uomini ma tutti e tutte. Perche’ la violenza verbale e l’offesa ormai fa parte del lessico “familiare” di molte persone, anche le piu’ insospettabili.”Occorre cambiare cultura e lessico. Ci sono anche organizzazioni che combattono la violenza utilizzando il web in modo intelligente.

Come ci raccontano le amiche di Donne x Strada “@Donnexstrata e @direttexstrada su instagram provano a combattere la violenza contro le donne, attraverso le dirette pubbliche e private offrendo anche supporto psicologico online”. Insomma il web può aiutarci e venirci in soccorso in modo pratico e veloce. Bene tenerlo a mente.

Del resto una campagna importante fu inaugurata tempo fa da “Odiare ti costa” con Maura Gangitano, Catthy la Torre e molte altre, per combattere a suon di denunce pubbliche e legali i gradassi del web. Le piccole azioni sono importanti e le campagne ad ampio spettro sono state fondamentali, ma oggi forse occorre una strategia di lungo periodo. Valeria Manieri, ha ricordato tra i commenti come sia tempo ” di spostare la lotta sul 4.0 e con grande professionalita’. Le macchine del fango non sono facili da sconfiggere.

Ma una rete di donne, già a partire dal nostro esperimento de Le Contemporanee, può fare la differenza, almeno in Italia. Ma il dibattito è aperto. E aspettiamo risposte, proposte e soprattutto rinforzi :)” Il dibattito continua e lo studio delle proposte anche.

Continuate a scriverci qui e all’indirizzo info@lecontemporanee.it

LA PAROLA A VOI

Internet e i social in particolare,  possono essere un ulteriore modo per fare rete, combattere le ingiustizie, proporre nuovi fronti di battaglie comuni femministe.

In fondo, è quel che proviamo a fare anche noi contemporanee, con il media civico e con i nostri social. 
Eppure negli ultimi anni gli episodi di violenza in rete, di shitstorm contro personalità femminili di livello, di troll o leoni da tastiera che fomentano l' odio on line nei confronti di donne, sono in aumento.
 
Non solo: più le donne sono forti, indipendenti, con idee precise, con personalità non banalizzabili, più sono oggetto di odio e prevaricazione, spesso volgare o anche " complottista". Ne aveva parlato tempo fa qui sul mediacivico la giurista Vitalba Azzollini.
 
Unica, grande e utile eccezione, il #metoo. Un hashtag che è rimbalzato ovunque nel mondo e che ha dato coraggio a molte per uscire allo scoperto.
Sarà replicabile anche su altre battaglie, come propone in questa analisi la giornalista Sabrina Provenzani? 
Che ne pensate? Come fermare questa tendenza? Come contrattaccare in modo intelligente? Come fare rete per fermare l' odio e fare sì che il mondo on line possa essere utilizzato come alleato prezioso nella lotta contro oppressione e violenza di genere? 
La parola a voi . 

3 Responses

  1. @donnexstrada e @direttexstrada su instagram prova a farlo attraverso le dirette pubbliche e private offrendo anche supporto psicologico online

  2. Finché una parte dei social godranno di anonimato e saranno popolati da troll penso che il fenomeno non potrà spegnersi. Le donne sono sempre le più prese di mira. Occorre battersi perche i vigliacchi ci mettano la faccia

  3. E’ tempo di spostare la lotta sul 4.0 e con grande professionalita’. Le macchine del fango non sono facili da sconfiggere. Ma una rete di donne, gia’ a partire dal nostro esperimento de Le Contemporanee, puo’ fare la differenza, almeno in Italia. Ma il dibattito e’ aperto. E aspettiamo risposte, proposte e soprattutto rinforzi:)

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