Istantanea

Addio a Madeleine Albright, europea, americana, atlantica occidentale.

“Volendo usare un termine molto diplomatico, oggi il mondo è un casino”.

Così Madeleine Albright iniziava il suo intervento ad uno dei numerosi e prestigiosi forum dedicati alla politica estera americana, pochi anni fa, in compagnia di altre due grandi donne della politica americana (Condoleeza Rice e Nikki Haley).

Come capita con tutte le grandi personalità, tra cui “Madame Secretary” non può non essere annoverata, è spesso agevole comporre una veloce istantanea dell’eredità che ci lasciano anche solo ricorrendo ad un florilegio di frasi, affermazioni icastiche e fulminanti, specie quando cariche di storia personale (e il personale, in politica, diventa sempre politicamente rilevante) e di un che di preveggenza, che, nel mondo delle relazioni internazionali, è nientemeno che l’altro nome della rara capacità di leggere, tra i turbolenti affari globali, grandi tendenze future.

Impossibile pertanto non ricordare oggi le parole di Albright sui grandi temi che proprio in queste drammatiche settimane tengono il mondo con il fiato sospeso.

Nel 2000, di ritorno dal primo incontro con l’allora neopresidente russo Vladimir Putin, Madame Secretary lo descrisse nelle sue note personali come un uomo “piccolo e pallido, freddo da sembrare quasi un rettile, […] umiliato da ciò che è successo al suo Paese, ma determinato a ripristinarne la statura internazionale”. Sempre sul dittatore di Mosca, nei giorni della clamorosa annessione della Crimea, in transatlantica consonanza con Angela Merkel, si diceva certa del fatto che “Putin sembra vivere su un altro pianeta, ha in mente una storia totalmente riscritta a suo comodo”.

In altra occasione, affianco ad una divertita Condoleeza Rice, tornava sulla difficoltà di sbirciare nella testa dell’autocrate del Cremlino, richiamando tutti “al dovere dell’umiltà quando parliamo di conoscenza sul mondo sovietico. Nessuno fu in grado di prevedere nel 1964 la caduta di Cruscev, nessuno poté prevedere la dissoluzione dell’Unione Sovietica, e via dicendo…cercare di predire il comportamento di Putin è vagamente complicato…e io, dopotutto, non faccio nemmeno la strizzacervelli, ma lui vive in una sorta di mondo parallelo, qualsiasi sia il termine corretto per quel mondo”. 

Perfino sulla inflazionatissima citazione putiniana circa il crollo dell’URSS definito come la più grande tragedia geopolitica del 20° secolo, l’ex Segretaria di Stato non indugiò, con più che giustificato sarcasmo, obiettando come, “visto quanto è successo nel corso del secolo passato, mi pare che si tratti di un’affermazione un tantino esagerata”.

Pochissimi mesi dopo l’inizio dell’aggressione putiniana in Ucraina, Albright era lucidissima nel suggerire direttamente al presidente Poroshenko (e indirettamente alla Casa Bianca) la necessità per l’Ucraina di supporto americano in termini globali, evidentemente cogliendo come si trattasse solo del primo tempo di una lunga e più drammatica pagina di storia europea: “dobbiamo dare a Kyiv assistenza economica, e certamente anche sul piano dell’intelligence; personalmente fornirei anche armi letali di difesa e assolutamente rafforzerei rapidamente la NATO sul fianco orientale”. Parole pronunciate nell’estate del 2014, che rendono improvvisamente molto meno originali quelle dei tanti commentatori e analisti che si susseguono tra TV e carta stampata in queste settimane, annus Domini 2022. 

E che dire di quando, più di 10 anni orsono (qui quasi si parlava ancora di pirateria informatica, nemmeno di cybersecurity), Madame Madeleine si chiedeva come mai ancora in ambito NATO non si stesse pensando seriamente a inserire gli attacchi cyber nel novero di azioni che possono attivare il meccanismo di difesa collettiva?

Prima Segretaria di Stato donna, e in precedenza rappresentante permanente USA presso le Nazioni Unite, in un decennio di solitudine unipolare, quasi di strapotere americano. Un decennio che oggi sembra aver risentito troppo dell’illusione dell’eccezionalismo americano, in grado di aprire le porte dell’ordine liberale a chi liberale e democratico non era, nella ragionevole speranza che quei governi potenzialmente animati da tentazioni revisioniste si sarebbe ineluttabilmente civilizzati, secondo i canoni della democrazia e del regolare funzionamento dei mercati globali. In molti sostengono che, di quella illusione rivelatasi non innocua per il modo libero nel lungo periodo (cioè, precisamente, oggi), fu protagonista anche Albright, ma preferiamo lasciare la pagina delle critiche ad altri, che certo non mancheranno in queste settimane di rinnovato antiamericanismo in Italia.

Preferiamo ricordare, di Madeleine Albright, la sua profonda convinzione del dovere americano di impegnarsi nel mondo, della necessità di difendere e supportare la cultura dei diritti e i valori occidentali per garantire pace e sicurezza internazionale, dell’urgenza di rilanciare le relazioni transatlantiche, per il bene comune di entrambe le sponde dell’Oceano e per la stabilità dell’ordine globale.

E, non ultimo, la incrollabile fede, quasi messianica, nell’eccezionalità dell’esperienza politica, perfino antropologica del mondo statunitense. Quel mondo in cui lei, figlia di un’Europa matrigna e culla di tutti gli spaventosi totalitarismi novecenteschi, era arrivata appena undicenne, assieme alla famiglia in fuga dal regime comunista cecoslovacco. Quel mondo, per molti versi davvero unico e irripetibile in cui a Albright, in carica, capitava di poter consegnare personalmente i certificati di naturalizzazione ai rifugiati.

“ La prima volta che consegnai un certificato, quel rifugiato mi disse emozionato ‘Si rende conto? Sono un rifugiato e ho appena ricevuto il certificato di naturalizzazione dalle mani del Segretario di Stato!’ E io chiesi a lui ‘ti rendi conto, che una rifugiata E’ l’attuale Segretaria di Stato? Perché questa è l’America. Benvenuto, io sono un’americana, e adesso lo sei anche tu’ ”.

Europea per nascita, americana per destino, atlantica per vocazione. Addio, Segretaria di Stato dell’Occidente.

Foto: United States Department of State, Public domain, via Wikimedia Commons

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