Memo

Di donne e di un mondo affamato. Quello che non vogliamo vedere

Tra gli 800 milioni di persone a soffrire la fame nel mondo, la maggior parte sono donne e minori

Dal 15 al 18 novembre 2021 si è riunito a Roma il Consiglio d’Amministrazione del Programma Alimentare Mondiale, PAM (in inglese World Food Program, in breve WFP).

Il PAM e’ una delle tre Agenzie delle Nazioni Unite basate a Roma, insieme alla più celebre FAO e all’IFAD (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo). Queste tre Agenzie costituiscono il polo mondiale per l’alimentazione; qui si discutono le politiche agricole internazionali con lo scopo di accrescere i livelli di nutrizione globali, aumentare la produttività agricola e migliorare la vita delle popolazioni rurali.

Il PAM si occupa in particolare di raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 2, “fame zero”, ed interviene nei Paesi in conflitto e in generale nelle crisi umanitarie per distribuire cibo o, laddove sia possibile, risorse finanziarie indispensabili perchè milioni di persone possano acquistare beni alimentari.

Alla recente riunione del Consiglio d’Amministrazione del PAM l’organizzazione ha fornito i dati più recenti relativi alle situazioni critiche che si trova attualmente ad affrontare. I numeri sono impressionanti e portano ad una riflessione seria anche da questo lato del mondo. Perché se e’ vero che la maggior parte di persone che non riescono ad accedere nemmeno ad un pasto al giorno e che vivono in stato di malnutrizione cronica si trovano principalmente in Africa ed in Asia, e’ anche vero che queste situazioni sono causate principalmente dall’uomo: dai conflitti e dalle disparità, a cui si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici e della pandemia di covid-19.

Secondo il SOFI (State of Food Security and Nutrition in the World) report, pubblicato dalle tre Agenzie ONU basate a Roma (piu’ UNICEF e l’Organizzazione Mondiale della Sanità), nel 2020 le persone affette da fame e malnutrizione erano stimate tra i 720 e gli 811 milioni di persone. Avete letto bene: milioni. Si tratta di circa un decimo della popolazione mondiale, quasi il doppio dell’intera popolazione europea. Quest’anno questa cifra sta crescendo esponenzialmente; secondo il PAM in Afghanistan le persone che necessitano di assistenza alimentare sono già quasi 24 milioni. E in zone che non sono quasi mai trattate nei notiziari, come il Sahel, nell’Africa Occidentale, l’Agenzia ha in programma di raggiungere 19.5 milioni di persone nei prossimi sei mesi (cifra che non andrebbe comunque a coprire la totalità di coloro che ne avrebbero bisogno).

Non sorprende che in questi contesti siano i più vulnerabili a farne le spese: tra questi le donne e le bambine. Ad esempio in contesti come l’Afghanistan di oggi, in cui 95% delle famiglie stentano a trovare adeguato nutrimento, i genitori sono costretti a sposare le figlie in età sempre più giovane, per potersi garantire l’introito della dote mentre 4 milioni di bambini della scuola primaria sono rimasti senza servizi educativi.

In generale le donne impiegate nel lavoro rurale costituiscono circa la meta’ della forza lavoro nei Paesi in via di sviluppo. Nonostante ciò, sono spesso soggette a discriminazione (si pensi alle leggi sul possesso e l’ereditarieta’ della terra, che spesso escludono le figlie femmine, o alla difficoltà ad accedere a forme di credito), basse remunerazioni e soprattutto esclusione dai processi decisionali.

Secondo il SOFI (State of Food Security and Nutrition in the World) report, pubblicato dalle tre Agenzie ONU basate a Roma (piu’ UNICEF e l’Organizzazione Mondiale della Sanità), nel 2020 le persone affette da fame e malnutrizione erano stimate tra i 720 e gli 811 milioni di persone

Le donne sono vulnerabili in tutte le dimensioni della sicurezza alimentare: disponibilita’, accesso, utilizzo e stabilità.

“In tutto questo, io cosa posso fare?” vi chiederete. Innanzitutto prendere coscienza del contesto internazionale, comprendere le cause che stanno portando più di 800 milioni di persone, letteralmente, alla fame. Opporsi ad una società basata sul conflitto, modificare i nostri consumi in ottica di sostenibilità, basso impatto ambientale e riduzione degli sprechi sembrano gesti inutili, ma potrebbero avere un enorme impatto se dovessero raggiungere, davvero una massa critica.

TAGS

CONTRIBUTOR

COMMENTI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di LeContemporanee.it per rimanere sempre aggiornato sul nostro Media Civico