“Mi sentivo come se il mio corpo non fosse abbastanza, perché anche se andavo spesso in palestra, non assomigliava ancora ai corpi di queste influencer” sono le parole di Emily, 19 anni di Edimburgo. Parole simili a quelle di Anna, 22 anni di Roma. Le stesse che potrebbero pronunciare milioni di ragazze e donne italiane: si calcola che solo in Europa infatti 20 milioni di persone soffrano di disturbi alimentari, 3 milioni solo in Italia. Una percentuale che, nel nostro paese, è aumentata del 40% con il lockdown.
La correlazione tra uso dei social media e la diffusione dei DCA è una realtà preoccupante da anni.
Già nel 2005 gli studiosi Becker, Gilman e Burwell avevano dimostrato come l’arrivo dei mass media tra gli abitanti delle isole Fuji avesse comportato un aumento dei disturbi del comportamento alimentare: dopo solo un anno di programmi televisivi occidentali, le ragazze dell’isola avevano iniziato a desiderare di modificare il loro corpo per avvicinarsi agli standard proposti. Con la diffusione capillare dei social media, questo fenomeno è aumentato esponenzialmente.
Maggiore indiziato risulta essere Instagram, il social del corpo e dello stile di vita perfetto, per eccellenza. Se Facebook è nato per condividere pensieri, Twitter per sintetizzare la realtà in pochi caratteri e Tiktok è il social dei balletti, Instagram è per i contenuti visual. Qui l’apparenza e l’ostentazione tramite video e immagini generano nelle ragazze e ragazzi pressione per apparire perfetti e raggiungere lo stile di vita delle/degli influencer. Ciò farebbe inconsapevolmente scivolare le/gli adolescenti verso la depressione e i disturbi alimentari. Se correliamo l’aumento dei casi di DCA nel periodo del Lockdown capiamo davvero quanto l’uso dei social abbia un impatto sul quotidiano.
Di fronte a evidenze simili, il buon Mark Zuckerberg avrà preso provvedimenti?
Lo scorso anno, il Wall Street Journal sarebbe entrato in possesso dei risultati di alcuni studi “segreti” condotti da Menlo Park, azienda di Zuckerberg: Meta sarebbe a conoscenza dell’impatto delle sue piattaforme sulla salute mentale di ragazze e ragazzi. Questa rivelazione ha destato molto clamore negli USA: due senatori hanno persino chiesto a Zuckerberg di pubblicare integralmente i risultati della ricerca. Peccato solo che Facebook abbia risposto con una lettera di sei pagine dove gli esiti dello studio su Instagram non vengono minimamente menzionati. Qualche provvedimento però è stato attuato, segno che l’azienda non è stata completamente sorda alle richieste. Basta digitare specifici hashtag per vedere un disclaimer “Quando si tratta di argomenti sull’immagine del corpo, desideriamo sostenere la nostra community. Abbiamo raccolto alcune risorse che potrebbero essere di aiuto”.
Ma quanto questi disclaimer possono essere efficaci se è lo stesso social a promuovere l’uso di filtri distorsivi dell’immagine? Stay cool, Kyle+Kendall, Sunny sono solo i nomi di alcuni filtri miracolosi in grado di levigare la pelle, pomparti le labbra, scolpirti il naso e/o alzarti gli zigomi. Non si contano le app che ti permettono di editare le foto e i video: non ci sarebbe nulla di male se le/gli artiste/i o influencer ammettessero di averle ritoccate. E invece è sempre tutto un #nofilter.
Ci sono, è vero, profili che si mostrano al naturale ma sono mosche bianche. Ma visto l’aumento dei DCA, non sarebbe il caso di adottare maggiori misure per prevenire questa distorsione delle immagini sui social?
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