Iran, dove sono le femministe italiane? Come i media italiani strumentalizzano le donne curde e iraniane per invalidare le nostre lotte.

Dopo la morte di Mahsa Amini e successivamente quella di Hadis Najafi il mondo sembra aver finalmente udito il grido delle donne curde e iraniane. Un richiamo a prendere posizione contro un regime teocratico e oppressivo, quello della Repubblica islamica dell’Iran, e soprattutto contro le figure del Presidente Raisi e dell’Ayatollah Khamenei, la cui intransigenza resta rocciosa.

Dal 13 settembre, giorno della morte di Amini, sono state molte le persone, soprattutto donne, che si sono pubblicamente esposte per sostenere quella che per tutt* risuona come una nuova rivoluzione dopo ben quarant’anni di regime. Molti nomi noti hanno iniziato a tagliarsi i capelli – da Juliette Binoche a Claudia Gerini – a urlare la propria indignazione sui social e a offrire nuovi spunti di dibattito contro la sistematica violenza di genere presente in ogni angolo del globo, in particolare nei paesi in cui vigono i fondamentalismi religiosi.

Anche Valeria Manieri, co-founder del media civico Le Contemporanee, durante il Festival di Internazionale a Ferrara ha parlato della situazione e in segno di protesta si è tagliata una ciocca di capelli. I diritti delle donne ci riguardano tutte, afferma Manieri, e non potremmo essere più d’accordo.

Lo stesso giorno del Festival, il 1° ottobre, un’altra ragazza iraniana di nome Nika Shakarami, di neanche diciassette anni, dopo essersi tolta il velo durante una protesta per Amini il 20 settembre a Teheran viene ritrovata senza vita, uccisa dopo essere stata picchiata e stuprata. Il suo corpo è stato scoperto dopo settimane di depistaggi da parte delle forze dell’ordine. E come lei tante, troppe, di cui non sentiremo probabilmente mai parlare, il che è terrificante.

In un clima simile il minimo sindacale richiederebbe sostegno e spazio, non certo commenti eurocentrici e islamofobici da parte dei media occidentali, sempre alla ricerca di rassicurazioni sulla presunta superiorità colonialista simboleggiata dal capo scoperto. E invece, come da copione, abbiamo assistito all’ennesima vile strumentalizzazione palesatasi con una domanda:

DOVE SONO LE FEMMINISTE ITALIANE MENTRE LE DONNE IRANIANE PROTESTANO?

Sembra una domanda ridicola, visto il numero importante di presidi e corteiorganizzati in questi giorni a cui le femministe italiane – come la sottoscritta – hanno presenziato. Da Roma a Milano, ovunque ci siamo mobilitate per Amini, Najafi e Shakarami. Come è possibile allora? Tale quesito provocatorio nasconde un intento ben preciso, chiaro a chi ogni giorno porta avanti le battaglie per i diritti civili e sociali. Sto parlando del bieco tentativo, tramite benaltrismo tipicamente giornalistico, islamofobia eurocentrica, snobismo classista e strumentalizzazione degli eventi in corso in Iran, di banalizzare l’attuale impegno delle femministe italiane.

In poche parole: si sta tentando di sfruttare le donne curde e iraniane – come già fatto in precedenza con quelle ucraine, afghane e polacche – per ridicolizzare altre battaglie, più vicine a noi, ponendole su una gerarchia piramidale d’importanza inferiore: il diritto all’ivg, il congedo parentale, il salario minimo, l’educazione sessuo-affettiva, il gender pay gap, il femminicidio, il catcalling! Come possono essere messe sullo stesso piano se si pensa alle donne iraniane? L’ipocrisia e il razzismo islamofobico di certi media si smaschera da soli per almeno un paio di motivi.

Primo, con una simile narrazione si dà per scontato che non esistano, né femministe iraniane né curde, che non esista il femminismo musulmano – nonostante secoli di storia islamica lo smentiscano – che soprattutto non esistano femministe col velo in grado di fare pratica politica e allo stesso tempo religiosa. In Occidente esistono le teologie femministe come campo di studi da decenni, ma sembrano interessare la stampa solo quando si parla di pari retribuzione per le donne di Chiesa, o peggio ancora, la possibilità per loro di partecipare a un Conclave.

Secondo e più importante, chi si permette di polemizzare sulla presunta assenza delle femministe italiane ai presidi di protesta per le donne curde e iraniane, o evidentemente non accede alle piattaforme social da un pezzo, o non guarda la TV, o non ascolta nemmeno la radio – forse perché impegnato o impegnata a fare altro, magari a demonizzare la scelta di indossare il velo solo perché associato all’oppressione islamista. Sicuramente non era in piazza con noi e con loro, non le ha tenute per mano, non ha ascoltato le loro parole né ha condiviso la loro rabbia. Ha semplicemente perso tempo nell’attaccare, mediaticamente e alle spalle, chi lotta per un’Italia civile sfruttando le sorelle iraniane e curde. E che magari di Iran conoscerà al massimo la fiabesca figura di Soraya Esfandiary Bakhtiari, letto Persepolis di Marjian Satrapi e i versi di Umar Khayyam.

Ribadiamolo: non esiste la tessera della femminista, da nessuna parte. Il femminismo non è solo bianco e occidentale, non richiede necessariamente il capo scoperto se lo si desidera e i movimenti per i diritti delle donne sono innumerevoli, variegati e complessi, ciascuno geograficamente e politicamente focalizzato. Per noi italiane guidare la macchina è diventata un’azione banale. Così non si può dire per le donne in Arabia Saudita, per fare un esempio tra tanti, che dal 2018 possono guidare e che da quest’anno potranno lavorare come tassiste. Non è quindi un buon motivo per interrompere bruscamente le nostre lotte in territorio italiano. Non è solo un insulto alle donne curde e iraniane, ma a tutte le vittime di violenza di genere anche qui.

Invece di sparare in casa approfittando di una rivoluzione apparentemente lontana è preferibile il silenzio, meglio ancora l’ascolto.

Jin Jiyan Azadi! Donna Vita Libertà!

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CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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