le opinioni

Il Porno può essere Etico e Femminista?

Dall'eleganza di Moana Pozzi alle produzioni di Erika Lust

Parlare di porno etico e femminista può apparire alla maggioranza un controsenso in termini. Anche chi il porno dice di non guardarlo, chi lo guarda per abitudine, o comunque ne usufruisce senza porsi una serie di quesiti riguardo le sue problematiche, che non mancheremo di analizzare qui, saprà che tale industria ha una nomea coincidente con una serie di bias cognitivi e culturali non da poco.

Il porno, ovvero la rappresentazione multidisciplinare di raffigurazioni sessuali esplicite, dalla letteratura alla cinematografia, ha sempre caratterizzato la sessualità umana fin dall’era primitiva e l’inizio delle prime civiltà. E nonostante le donne rappresentino l’oggetto principale delle raffigurazioni – oltre ovviamente alla celebrazione del fallocentrismo – e siano state anche loro da tempo immemore delle consumatrici appassionate (seppur silenti), a emergere è sempre stato essenzialmente lo sguardo maschile: il male gaze.

Con questo termine anglofono non si intende semplicemente l’uomo che guarda la donna o l’uomo che fa sesso con la donna. L’uomo guarda, sì, ma anche immagina, stabilisce il point of view, cosa è porno e cosa non lo è, chi esercita il controllo e chi debba piegarsi a esso, la supremazia dell’orgasmo maschile – o meglio, l’eiaculazione – e l’inesistenza di quello femminile. Ricordiamo che fino all’800 veniva chiamato parossismo e considerato sintomo di isteria femminile. Per non parlare poi del consenso e della cultura dello stupro.

Il male gaze ha dominato la scena del porno mainstream dai suoi esordi fino a oggi, portando con sé i già accennati bias: le donne non guardano i porno, la pornografia è roba da uomini (chiariamo, uomini etero cisgender, al massimo gay) e il piacere femminile – quando c’è – sarebbe intrinsecabilmente correlato all’atto penetrativo. Tradotto: la donna non gode senza il pene del protagonista, fonte di ogni soddisfazione.

Come non citare poi la transfobia dietro un simile immaginario delineato sul binarismo uomo-donna cisgender? La comunità trans, o meglio, la donna trans, viene intesa e ritratta come passiva, non operata, stereotipata e considerata un terzo sesso, una categoria a parte per feticisti. Se poi è anche nera, beh, vogliamo focalizzarci sul luogo comune delle dimensioni sessuali delle persone razzializzate secondo la comunità bianca?

Negli anni ’70 una pesante campagna contro la pornografia mainstream, portata avanti dal femminismo radicale antiporno abolizionista, guardava a tali pellicole come a delle piaghe misogine e disumanizzanti: il porno sarebbe volgare, il porno trasformerebbe la donna in oggetto sessuale di libera fruizione maschile, le donne lesbiche e bisessuali vengono trasformate in fantasie maschili eterosessuali (qui nulla da obiettare, è effettivamente così), il porno sarebbe l’univoca banale celebrazione dell’erezione maschile. Non a caso, i falli sono sempre di grandi dimensioni e quando non è così vengono inquadrati per sembrarlo.

Parliamo degli stessi anni in cui l’indimenticata Annie Sprinkle – attrice, regista, attivista e performance artist – iniziò a girare i primi film e a dirigerli lei stessa, scatenando scandalo negli Stati Uniti, ma regalando anche tanto senso di liberazione e divertimento, con donne consapevoli del proprio piacere e determinate a raggiungerlo.

Chiariamoci, non che avessero del tutto torto le femministe antiporno; se pensiamo che, come in tutti i campi, anche quello della pornografia ha le sue ramificazioni più estreme e illegali: dalla pedopornografia agli snuff. Quello che le compagne lamentavano era appunto il male gaze, ma si commise un grave errore all’epoca – di cui ancora si sentono gli strascichi – foraggiato probabilmente anche da una sessuofobia di fondo ben radicata. Chi avrebbe detto infatti che il porno sia per assoluto maschilista, sessista, degradante, un intrattenimento ludico in cui le donne non potrebbero, non dico godere, ma soprattutto creare, scrivere, girare, dirigere? Chi avrebbe stabilito che il porno sarebbe una forma d’arte di genere?

Per scoprirlo basta informarsi oltre le piattaforme gratuite ma asettiche come Pornhub e addentrarsi in un mondo tutt’altro che oscuro, anzi, colorato, divertente e sorprendentemente paritario. Si consiglia per questo la lettura di POSTPORNO, dell’attivista femminista pro-sex Valentine Aka Fluida Wolf, edito da Eris Edizioni. E ancora, Post Porn Modernist, autobiografia della già citata Sprinkle, edita da Golena Ed.

Un esempio noto – e che sarà già divenuto un classico con gli anni – è sicuramente quello rappresentato dalla regista e produttrice Erika Lust. Svedese emigrata in Spagna, Lust ha rifiutato di considerare il mondo porno come un universo maschile dove sarebbero gli uomini a dettare le regole e le donne ad assoggettarsi. Tramite le sue produzioni, tra le quali la fortunatissima serie XCONFESSION ove trasforma in live action le fantasie inviatele dal pubblico, Lust rivendica la centralità anche del female gaze, del piacere femminile, delle fantasie femminili, abbattendo tabù sulla sessualità e decostruendo la performance fino ad ora intesa come quantità e non qualità.

Attenzione per la salute sessuale, emotiva e mentale de* performer, rispetto del loro consenso, diritti lavorativi assicurati e la sessualità liberata da dinamiche di potere sessiste e rappresentazioni idealizzate, sottolineando onestamente come il porno sia un’industria fondata sulla rappresentazione e non certo sulla realtà effettiva. Per quella sarebbe necessaria una buona educazione sessuoaffettiva. Perché teniamolo a mente: il porno non è un adeguato e valido sostituto di una corretta educazione non proibizionista, è semplicemente INTRATTENIMENTO ludico.

Negli ultimi anni l’immaginario rappresentato della regista svedese si è aperto a varie complessità: come l’identità di genere non conforme e performer non professionist* – di quell* che potresti incontrare per strada o al supermercato, ma che non diresti mai abbiano una sessualità stimolante e divertente al pari di un film porno – i corpi grassi, quelli disabili, quelli tatuati, quelli anziani, quelli gracili, quelli queer; il tutto esaltato da sceneggiature realistiche e plausibili, mai banali o scontate, e con i giusti tempi, tensione sessuale e dialoghi. È bello sapere come le opere della Lust Production vengano apprezzate anche dagli uomini; indicativo di come il mainstream stimoli sempre meno chi vi è abituato fino all’assuefazione.

Altro aspetto molto importante nel femminismo etico e femminista di Erika Lust è l’appianamento del gender pay gap. La regista infatti ha sempre tenuto che le performer con le quali lavora ricevano una remunerazione pari a quella corrisposta ai colleghi uomini: un fatto non scontato in un ambiente come il porno, dove, come abbiamo visto, lo sbilanciamento professionale è, purtroppo, anche di natura remunerativa.

Le attrici porno hanno sempre guadagnato di meno rispetto ai partner lavorativi. La motivazione è puramente sessista: l’orgasmo della donna non è visibile, l’eiaculazione dell’uomo sì, quindi il primo non è necessario e la seconda deve essere pagata di più per questo: semplice, ma non basta. La pornoattrice mainstream deve essere anche bella e giovane, deve essere conforme ai canoni estetici socialmente stabiliti dal male gaze, deve essere cisgender e soprattutto depilata.

Nel suo libro “Contropelo” – di cui vi abbiamo già parlato in un articolo precedente – la scrittrice e attivista body positive Bel Olid ha ricordato il processo di infantilizzazzione a cui vengono sottoposte le attrici porno quando si pretende da loro una vulva completamente glabra, oltre ad altre zone potenzialmente erogene come gambe, ascelle, seno, viso, ecc. Il pelo viene associato alla maturità, e a troppi uomini ancora eccita il mito della verginità, di una prepubescente bellezza senza imperfezioni estetiche. A ciò addizioniamo lo sguardo morboso rivolto all’anatomia della vulva “libera dall’ostacolo visivo” dei peli. Da questa pretesa dei consumatori di porno dagli anni ’90 in poi, ha origine l’attuale tabù del pelo femminile. Dovrebbe bastare questo per farcene intuire la tossicità.

C’è anche da dire che le tendenze periodicamente cambiano. Dall’eleganza dell’iconica Moana Pozzi, all’attivismo sex positive di Annie Sprinkle, fino alle pluripremiate pellicole di Lust, si è assistito al progressivo riconoscimento di una dignità artistica nei confronti della pornografia non mainstream, quella delle cosiddette sottoculture. Si è anche iniziato a parlare di empowerment femminile, di autrici post porno, di svecchiamento di canoni dogmatici e modelli preconfezionati. Guardando il porno etico e femminista vi sono quindi un secondo e un terzo motivo per godere. Forse giusto un quarto: aver decostruito il patriarcato di un altro mattoncino!

LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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