Le fake news del Cremlino la dipingono come “Rasveselaja vdova”, la vedova allegra”: una “donna colpevolmente disinvolta”, “moglie infedele”, “amica degli stranieri” ed “amante degli oligarchi.”
Ma la campagna di disinformazione di Vladimir Putin, che ha già messo a punto una diffusione capillare di immagini manipolate, falsi tweet e di analisi capziose altro non è che un segnale che Yulia Navalnaya, moglie dell’attivista Aleksej Navalny, deceduto il 16 febbraio in una colonia penale siberiana, inizia ad esser percepita dal Cremlino con insistenza sempre maggiore come un pericoloso ostacolo al consenso che ammanta la figura dello “Zar”.
Nata nel 1976, a Mosca, Yulia ebbe per padre lo scienziato Boris Abrosimov e si laureò in Relazioni Economiche Internazionali a Plechanov. Nel 1988, l’incontro con Aleksej Navalny, durante una vacanza in Turchia, cui fece seguito, due anni dopo, il matrimonio della coppia.
Con la progressiva emersione di Navalny quale leader di spicco dell’opposizione russa, Navalnaya assunse il ruolo di assistente del marito, ritrovandosi spesso descritta dai media filo-governativi come una “moglie decabrista”; espressione che, facendo eco alle mogli dei rivoluzionari anti-zaristi che, nel 1825, seguirono i propri compagni al confino, richiama oggi il concetto di una “devozione al coniuge” “folle e sconsiderata”.
Ma nel 2020, Navalnaya mise a tacere i suoi detrattori, rivolgendo un coraggioso appello direttamente a Vladimir Putin: dopo l’avvelenamento di Aleksej, durante un tour elettorale in Siberia, Yulia chiese infatti con urgenza il rilascio del marito in Germania, perché potesse ricevere le cure mediche necessarie a salvargli la vita. La sua denuncia impavida non mancò, anzi, neppure di scagliarsi contro l’eminente medico Leonid Rashal, quando quest’ultimo negò la presenza di sostanze velenose nel sangue di Navalny. “Lei non si esprime come medico; ma come voce dello Stato.”
Yulia Navalnaya fu accanto al marito a Berlino, durante il suo percorso di cura. E gli fu accanto nel 2021, quando venne nuovamente arrestato ad un controllo di frontiera, presso l’aeroporto di Vnukovo.
“Le autorità russe hanno paura di Aleksej- Furono le parole della donna che, ancora una volta, osava sfidare il terrore putiniano, con orgoglio e dignità– Ma lui non ha paura. Vi esorto tutti a non averne.”
Infine, ad oggi, l’annuncio della morte di Aleksej Navalny, mentre Yulia figurava tra gli ospiti della Conferenza sulla sicurezza, a Monaco di Baviera, nel fermo proposito di proseguire l’impegno del marito che gli era costato la libertà- e, di lì a poco, la vita.
I capelli biondi raccolti in uno chignon austero, l’abito scuro e gli occhi accesi di rabbia, e di tristezza, Yulia Navalnaya non si è arresa all’immobilismo del dolore.
“Putin e il suo staff saranno condotti davanti alla giustizia- Ha assicurato, accolta dai leader, i dirigenti e gli alti funzionari in platea con una commossa standing ovation – Questo regime e Vladimir Putin dovranno essere ritenuti personalmente responsabili di tutte le atrocità commesse nel nostro Paese.”
E mentre, per l’appunto, lo zoccolo duro putiniano diffonde audio fittizi, creati con sistemi di intelligenza artificiale, ove Lyudmila Navalnaya, madre di Aleksej, recrimina apparentemente alla nuora di non aver mai fatto visita al figlio, durante i duri anni di reclusione, uno spiraglio di verità ci raggiunge attraverso l’ultimo messaggio pubblicato su Telegram da Aleksej Navalny, proprio il 14 febbraio; il giorno di San Valentino.
“Tesoro, tutto è come una canzone, con te...– Scriveva Navalny a Yulia, a pochi giorni di distanza dalla morte che, così come la pena, lo avrebbe sorpreso in dolorosa solitudine – Ci sono città tra noi, la luce del decollo degli aeroporti, tempeste di neve blu e migliaia di chilometri. Ma sento che sei vicina ogni secondo e ti amo sempre di più”.”
All’indomani della morte di Aleksej Navalny, il cui corpo è stato riconsegnato a più di una settimana di distanza dal decesso alla madre Lyudmila, Yulia Navalnaya si prepara a raccogliere l’eredità dell’uomo con cui ha diviso la vita: quell’uomo che, in un Paese laddove gli spazi di protesta risultano ridotti all’osso, ebbe il coraggio di affrontare la tirannide del Cremlino.
Accolta pochi giorni fa dal Presidente Biden a San Francisco (il quale ha varato un pacchetto di 500 sanzioni, destinate a colpire nuovamente la Russia) Navalnaya ha posto l’accento sul timore di Putin che il funerale di Aleksej Navalny possa reclamare “una grande folla”, nonché sulle conseguenti pressioni del governo sulla madre, Lyudmila, perché acconsenta a delle “esequie private.”
Nondimeno, appare fermo l’appello di Navalnaya all’Unione Europea: “Non riconoscete le elezioni presidenziali che si svolgeranno il mese prossimo, e alle quali Vladimir Putin si presenterà per un quinto mandato. Un presidente che ha ucciso il suo principale avversario politico non può essere legittimo per definizione.”
Mentre la macchina del fango di Vladimir Putin prosegue implacabile il suo macchinoso lavorio, cercando di delineare la genesi d’un nuovo nemico, Yulia Navalnaya si appresta ad occupare il posto che le spetta di diritto. Quello della nuova leader dell’opposizione russa: quello della donna che il governo di Putin chiama con spregio “adultera”, “vedova felice” , “civettuola”, proprio perché, di lei, ha paura.