Radio Begum, emittente che promuoveva l’istruzione e l’empowerment femminile raggiungendo con le sue trasmissioni quasi tutto l’Afghanistan, è stata chiusa dalle autorità talebane. Dopo un’irruzione nella sede di Kabul, anche due dipendenti sono state arrestati, con l’accusa di aver “collaborato con tv estere”.
“Ufficiali della Direzione generale dell’intelligence assistiti da rappresentanti del Ministero dell’informazione e della cultura hanno fatto irruzione nel nostro complesso a Kabul“, ha riferito l’emittente, aggiungendo che le autorità avrebbero arrestato due dipendenti maschi e sequestrato computer, dischi rigidi e telefoni. L’appello alle autorità è stato quello a “prendersi cura” dei dipendenti fatti prigionieri, e a “rilasciarli il prima possibile”.
Radio Begum era stata fondata l’8 marzo 2021, in occasione della giornata internazionale della donna, dall’imprenditrice e giornalista Hamida Aman. La sua programmazione 24 ore su 24 includeva anche corsi per studenti delle scuole medie e superiori, trasmessi in lingua dari e pashtu, rivolti soprattutto alle ragazze a cui era stato impedito l’accesso all’istruzione dal ritorno al potere dei talebani nell’agosto dello stesso anno.
Nel 2024, era stata lanciata anche Begum TV, canale satellitare con sede a Parigi finanziato in parte dal Malala Fund, nato grazie all’attivista premio Nobel per la Pace.
Dal ritorno dei talebani in Afghanistan, le donne non conoscono pace. Era il 2021 quando una delegazione di rappresentanti di 80 associazioni di donne e terzo settore, tra cui le Contemporanee, veniva ricevuta alla Farnesina da alcuni funzionari del Ministero degli esteri e dal Sottosegretario Benedetto Della Vedova, a seguito della lettera aperta per l’apertura di corridoi umanitari per accogliere rifugiate e rifugiati afghani in Italia.
L’impegno de Le Contemporanee è proseguito, al fianco di realtà come Pangea e Non c’è Pace senza Giustizia, per continuare a denunciare l’apartheid di genere che, ogni giorno, seguita a inasprire la repressione della libertà delle donne in Afghanistan. E che oggi le ha private, ancora una volta, di un utile mezzo per provare a tener viva una voce che, a causa delle violenze di regime, si sta affievolendo sempre di più.
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