Il confuso dibattito tra Biden e Trump a cui gli Stati Uniti (e il resto del mondo) hanno assistito con estrema apprensione è stato solo l’inizio. Il presidente Joe Biden ha cercato di resistere sino alla Convention democratica prevista per agosto a Chicago, ma il resto del Partito non l’ha seguito.
Dall’ex presidente Barack Obama a Nancy Pelosi, non c’è stato un alto profilo democratico che non abbia spinto a suo modo per il ritiro di Biden dalla corsa alle presidenziali.
Biden si sacrifica per non consegnare gli Stati Uniti a un duo, il salvatore messiniaco Trump e il reazionario JD Vance, che in assenza di questa scelta di alta politica e di amore per il paese avrebbero conquistato la Casa Bianca senza particolari ostacoli.
Di quel disastroso dibattito e del ritiro dalla corsa così posticipato gran parte di responsabilità la hanno gli staffers del Presidente, oggi tra gli ultimi ad essere informati della presa di posizione di Biden, destinato ad essere ricordato come il presidente al servizio dell’America, sino all’ultimo dei giorni di occupazione dello studio ovale.
Come ultimo atto, Biden non perde tempo ed endorsa immediatamente la vice presidente Kamala Harris, una donna profondamente cambiata dagli anni in cui era procuratrice generale della California, oltre che cresciuta negli ultimi quattro anni dedicati alla vicepresidenza.
Con Harris in campo cambia rapidamente l’atteggiamento di Trump, parso dopo l’attentato subìto mesto, redento, un uomo nuovo. Torna in pochi minuti dall’annuncio ad essere il tycoon di sempre: sfrontato, deciso a non riconoscere Kamala Harris come “la candidata legittima” (sulla scia, d’altronde, di quella che ha definito per quattro anni una presidenza illegittima e rubata) e forse, per la prima volta in settimane, non più così sicuro di tornare al 1600 di Pennsylvania Avenue. Indiscrezioni di POLITICO, infatti, hanno rilevato come all’interno del Partito Repubblicano sia esploso il caos e che molto probabilmente Trump si rifiuterà di ingaggiare in futuro un dibattito pubblico con Harris.
Per quanto la designazione del candidato alla presidenza sia completamente nelle mani della Convention democratica, è difficile – se non impossibile – che la candidata alla presidenza non si riveli essere Kamala Harris (l’unica che potrebbe ereditare e sfruttare la somma raccolta dalla campagna Biden). Gli endorsement sono piovuti nelle ultime ore e ora si tratta più di comprendere chi potrebbe affiancare Harris nella corsa alla salvezza degli Stati Uniti da un perenne stato di assedio come Capitol Hill ci ha insegnato.
Tra i papabili il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, il governatore del Kentucky Andy Beshear e il governatore della North Carolina Roy Cooper. Spunta anche il nome di Gretchen Withmer, governatrice del Michigan e che salderebbe un ticket tutto al femminile. Uno scenario rivoluzionario, ma difficile da portare a casa, in un panorama politico che ha ricorso alla candidata donna a ridosso di agosto e a 105 giorni dalle elezioni presidenziali.
Come vincere contro Trump e Vance? Una delle chiavi è l’aborto: dopo continue ondate repressive, divieti di aborto, attacchi generalizzati ai diritti riproduttivi (tra cui anche le pratiche di fecondazione in vitro), la difesa del diritto all’aborto potrebbe dividere gli stessi Trump (che ha rifiutato di esprimersi a favore di un divieto federale di aborto) e Vance e favorire l’affermarsi di una Harris forte, dalla parte dell’America. Tutta quanta.