Istantanea

I femminicidi invisibili non sono meno gravi


Martina Carbonaro, 14 anni, studente.
Vasilica Potincu, 35 anni, sx worker.
Fernanda Di Nuzzo, 61 anni, maestra d’asilo.

Sono questi i nomi delle donne uccise nelle ultime ore da tre uomini diversi. Sono donne molto diverse, una addirittura adolescente, eppure non stupitevi se avete sentito parlare solo della prima e se i media mainstream si concentreranno solo sul diciannovenne femminicida reo confesso e sulle parole inqualificabili del suo genitore.
Uno dei principali problemi che abbiamo nella narrazione della violenza di genere è certamente un’implicita gerarchizzazione della gravità in base alla condizione della vittima. La donna uccisa non deve solo essere giovane (ma non troppo), di un’innocenza stereotipata, meglio quindi se madre di famiglia, ancora di più se casalinga tranquilla, oppure lavoratrice responsabile e rispettabile. Deve essere anche e soprattutto una che non lavora per strada. Perché la donna, secondo la concezione viziata dalla violenza secondaria interiorizzata, in un modo più dell’altro, se la va a cercare. Se la va a cercare se si fidanza a dodici anni, se non denuncia un uomo violento per i più svariati motivi. Soprattutto non dovrebbe fare la sex worker.
Il lavoro sessuale è socialmente biasimato a tal punto che spesso il femminicidio non solo non viene riconosciuto come tale, ma addirittura non viene nemmeno considerato un delitto evitabile. Pensiamo alle storie di tre crime, dove la società legge è si preoccupa a malapena delle vittime degli assassini seriali fino al giorno in cui, dalle sex worker passano alle liceali figlie di famiglie rispettabili.
È un bias cognitivo di matrice culturale, figlio anche del nostro stretto rapporto con una morale bigotta.
La donna che lavora in strada non viene contata, ricordata, rispettata. Lavora con il proprio corpo, offre un servizio (questo ovviamente quando si tratta di lavoratrici volontarie). Lo offriva anche Vasilica Potincu, 35 anni, sx worker. Eppure pochissimi media ne hanno parlato, troppo impegnati a tuffarsi a raffica sul caso Carbonaro.
È vero, una quattordicenne uccisa per possesso fa rabbia, molta rabbia. Scatta l’immedesimazione di tante madri, padri e famiglie. Non ci sono più lacrime da distribuire.
Eppure noi vogliamo ricordare Vasilica Potincu, e
Fernanda Di Nuzzo, 61 anni, una maestra d’asilo che non sono riuscite a sopravvivere alla violenza machista e patriarcale.
Erano due donne con un lavoro, degli interessi, delle passioni, con una vita da vivere. Esattamente come Martina Carbonaro. Ci aspettiamo pene esemplari, ma soprattutto narrazioni diverse, genuinamente rispettose. Ed educazione nelle scuole, nelle famiglie. Non è possibile sentire il padre di un femminicida reo confesso descrivere il figlio come un bravo ragazzo innamorato, non ossessionato. Questo succede senza educazione alla sessualità, all’affettività, al rispetto. E non aspettiamoci miglioramenti a breve.


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    Le Contemporanee, il primo media civico in Italia dedicato alle donne e contro ogni discriminazione. I contributi contenuti nel media civico con autore "LeC", sono testi e contenuti a cura del nostro staff.

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