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Italia a tre punti dall’obiettivo sugli Asili Nido: ma il 63% delle madri continua a lasciare il lavoro

Tra 2021 e 2022 è cresciuta l’offerta di posti in asili nido e servizi prima infanzia, aumentando da 28 a 30 posti ogni 100 bambini con meno di 3 anni residenti in Italia.

Il nostro Paese si avvicina quindi all’obiettivo del 33% fissato in sede europea, e poi ribadito anche dalla normativa nazionale, con il decreto legislativo 65/2017.

Mancano, tuttavia, 3 punti a quell’obiettivo concordato nel consiglio europeo di Barcellona del 2002, mentre permane lontano il target da raggiungere entro il 2030. Occorre inoltre segnalare che tale obiettivo è comunque stato raggiunto, in parte, anche grazie al calo delle nascite (e dunque, al decremento di una domanda sul territorio da parte delle famiglie richiedenti) mentre permangono significativi divari, in termini di disponibilità, tra le diverse aree territoriali.

La spaccatura più significativa, in termini di posti disponibili, appare quella tra centro-nord e mezzogiorno. La seconda riguarda invece la discrepanza tra le città maggiori e le aree interne: nei territori del Paese più lontani dai principali servizi, infatti, la disponibilità cala infatti a 23 posti ogni 100 minori.

Considerando invece i capoluoghi di regione, come evidenziato dall’analisi di Openpolis, “32 presentano un livello di offerta di nidi e servizi per la prima infanzia che già supera la nuova soglia del 45% fissata in sede Ue. In 29 casi, si tratta di comuni del centro-nord, con 3 eccezioni concentrate in Sardegna.”

Ai primi posti, Nuoro (82,1 posti autorizzati ogni 100 minori), Sassari (61,5%) e Ferrara (60%). Seguono Siena (59,7%), Bergamo (58%), Forlì (58%), Lecco (56,2%) e Firenze (55,4%).

I comuni che non raggiungono i 15 posti ogni 100 bambini sono invece 9, e risultano tutti collocati nel Mezzogiorno. Si tratta di Caserta (14,9%), Palermo (12,8%), Isernia (12,4%), Andria (11,2%), Ragusa (10,7%), Messina (10,3%), Barletta (8,3%), Catania (8%) e Campobasso (7%).

Tuttavia, i dati relativi ai costi di tale servizio registrano non poche complessità. Secondo un’indagine condotta da Altroconsumo sulle città di Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna, Genova, Napoli e Palermo, la retta media mensile per un asilo nido pubblico si aggirerebbe intorno ai 500 euro per una famiglia con un Isee di 30 mila euro, che abita a Milano e Torino, equivalendo a circa un quinto dello stipendio.

A fronte di tali spese, spesso troppo gravose per un reddito medio, si stima quindi che circa il 63% delle neomamme continui a rinunciare al lavoro, anche in virtù di orari spesso poco flessibili o incompatibili con le esigenze professionali.

Ben più virtuosa è la media europea, che è invece di quasi quattro posti disponibili ogni dieci bambini, sebbene alcuni Paesi raggiungano coperture molto più alte degli standard: tra questi, l’Olanda (al 74%) seguita dalla Danimarca (con il 69,1%) ed, infine, da Francia e Spagna (oltre il 50%).

Urgente appare quindi, oltre alla necessità di conformarsi agli standard Ue, ripensare ai sistemi di welfare tenendo conto delle reali esigenze delle famiglie, condizionate da un continuo allungamento della permanenza sul lavoro. Misure come l’aumento delle flessibilità, attraverso i congedi, dovrebbero perciò affiancarsi ad una riduzione dei costi: obiettivo che potrebbe essere raggiunto, come auspicato dagli intervistati da Altroconsumo, con un contributo da parte dello Stato nel pagamento della retta.

Un intervento in tal senso appare, soprattutto a causa della sua significativa influenza sul tema del gender gap, non più derogabile. Ancora una volta, infatti, l’impossibilità di collocare un bambino presso i servizi dell’infanzia è una situazione che rischia di ingenerare problematiche conseguenze soprattutto per le madri, allontanandole dalla libertà di proseguire la loro carriera professionale,amplificandone la solitudine e minandone l’indipendenza economica.

Dati statistici: Openpolis

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