«Al Pertini l’hanno abbandonata, la mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio, ma è stata obbligata a prendersi cura del piccolo da subito. Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no» Questa la dichiarazione del papà del neonato morto a Roma, all’ospedale Pertini, fra il 7 e l’8 gennaio, soffocato nel letto dopo essere stato allattato dalla mamma. La Procura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. L’autopsia servirà per capire le cause del decesso. Non ci sarebbero state anomalie nel parto e il neonato di tre chili e mezzo stava bene. Ci sono però da capire anche i tempi di controllo e le presenze nel reparto: fra nido e stanze ci sono quattro infermiere e i passaggi di controllo sono ogni tre ore. E c’è da capire perché, se una madre che ha appena partorito, chiede di portare il bimbo al nido, capita che la richiesta venga negata.
Le indagini chiariranno cosa è accaduto di preciso, ma quello che scoperchiano le parole del compagno di una donna che in questo momento si trova a vivere una simile tragedia, è il calderone infame della violenza ostetrica. Precisiamo ulteriormente che non sappiamo ancora se sia questo un caso di violenza ostetrica, che si aspetteranno i necessari chiarimenti che solo le indagini ci daranno, ma esiste un fenomeno, pure rilevante nei numeri, su cui è il momento di accendere un faro. E, soprattutto esiste una mentalità connessa che è bene individuare e contrastare.
Nel 2019 l’Onu ha emanato il primo Rapporto sulla violenza ostetrica, che la inquadra come violazione dei diritti umani. Nello stesso anno il Consiglio d’Europa ha adottato la prima risoluzione per contrastare la violenza ostetrica e ginecologica, invitando gli stati membri a prevedere meccanismi che permettano di effettuare denunce e provvedere all’assistenza alle donne vittime. I due provvedimenti danno ragione dei numeri e di una realtà che pochi conoscono, anche nel nostro Paese.
Sono circa 1 milione di donne in Italia a raccontare di aver subito dal 2003 a oggi una qualche forma fisica o psicologica di violenza durante il parto. Donne abbandonate sole per ore nel reparto, pratiche mediche senza consenso informato, procedure coercitive non acconsentite, cesarei non necessari, atteggiamenti offensivi e denigratori. Consegne coercitive e invito forzato all’allattamento del neonato appena nato a donne che hanno appena vissuto il travaglio e il parto, come potrebbe essere il caso che ha portato alla tragedia a Roma. Sono solo alcune delle facce della violenza ostetrica, l’insieme delle violazioni fisiche e psicologiche che alcune donne subiscono durante il parto in tanti paesi del mondo, tra cui anche l’Italia.
C’è di più: accade anche che operatori o medici che si preoccupano di prevenire il dolore o supportare le donne con iniziative individuali di nuove tecniche come il parto indolore vengano osteggiati dalle strutture sanitarie che li ospitano e che dovrebbero invece supportarli e sostenerne l’attività.
È il caso della tecnica di parto indolore denominata Parto con il Sorriso, sperimentata con successo all’ospedale “San Giacomo d’Altopasso” di Licata, per poi venire sospesa un paio di anni fa, su disposizione dell’Asp di Agrigento con motivazioni apparentemente burocratico-amministrative.
La chiusura del servizio ha sortito l’effetto di una forte protesta da parte dei locali movimenti per i diritti per le donne, tanto da far tornare indietro nella decisione la direzione sanitaria locale. Questo per dire come, se da un lato si possono registrare ritardi culturali dall’altra la consapevolezza delle donne sul tema è sempre più diffusa e matura.
La domanda è “perché?” tale consapevolezza non sia un patrimonio generale. Potremmo dire per pregiudizio e ignoranza. Come se parto, maternità e sofferenza debbano per forza identificarsi. Ovviamente non sempre e non tutti la pensano così, ma i numeri e i racconti di esperienze negative ci restituiscono una situazione non sempre fatta di luci.
Se la terapia contro il dolore è una pratica ormai avallata e promossa per qualunque malattia, e rientra nel diritto della persona, questa viene accolta con sospetto ancora oggi e in fin troppe occasioni per tutto quel che riguarda il parto e la maternità. Come se, nel momento del parto, la donna finisse di avere i suoi diritti come degente per assumere semplicemente una funzione quasi meccanica di procreatrice.
Gli episodi sono tanti e sono raccolti dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia (OVOItalia). L’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia è un organismo multidisciplinare creato il 20 aprile 2016, al termine della campagna #bastatacere, con il proposito di monitorare l’incidenza delle pratiche che costituiscono questo tipo di violenza ai danni delle donne nel loro percorso di maternità.
“I dati sulla violenza ostetrica in Italia ufficialmente sono pochi, perché manca una comprensione del fenomeno. Le donne spesso non si rendono nemmeno conto di esserne state vittime, “l’importante e’ che il bambino sia vivo e sano”. Ma a quale prezzo?” ci dice Chiara Segrado, dell’associazione Amina, che da qualche anno si occupa del tema con azioni di sensibilizzazione e approfondimento “Non si potrebbe pensare che oltre all’elemento sicurezza (indispensabile) ci possa essere un elemento di soddisfazione ed empowerment per la donna che partorisce? Internazionalmente esiste un riconoscimento e una definizione di violenza ostetrica, stilata dall’OMS e noi facciamo riferimento a quella. Speriamo che in futuro nel nostro paese possa aprirsi un dibattito sulla possibilità di avere una vera e propria legge sulla violenza ostetrica (al momento pochi paesi ce l’hanno, tra cui il Venezuela). Ed è su questo terreno che stiamo pensando di muoverci e organizzarci”
Amina raccoglie racconti e storie attraverso il progetto Ti racconto il mio parto, che abbiamo letto al nostro recente evento sulla violenza ostetrica a Roma e sta avviando un progetto di assistenza psicologica alle donne vittima di violenza ostetrica attraverso una hotline a cui risponderanno psicologhe neonatali specializzate, un indirizzo email ed un gruppo di supporto alla rielaborazione del trauma su Zoom e che conta anche una componente di assistenza legale.
Il loro lavoro di sensibilizzazione sulla violenza ostetrica non si pone in contrasto con gli operatori sanitari, perché è una tema di mentalità generale a cui dovrebbe porsi rimedio con azioni di informazione e sensibilizzazione di sistema in ambito formativo medico sanitario, anche a carico delle strutture ospedaliere. Amina sta per questo pensando a un progetto di linee guida per operatori, in collaborazione con un ateneo lombardo e una ASL di Roma.
Partorire senza dolore è un diritto, oltre che una pratica riconosciuta dal punto di vista medico e scientifico eppure in Italia solo il 20% delle donne ricorre alla partoanalgesia, questo il termine medico. Cosi come è un diritto l’avere un sostegno psicologico in un momento così complesso per la vita di una donna, sia dal punto di vista fisico che da quello mentale. La tragedia di Roma, al di là dell’esito delle indagini, nel male è l’occasione per porre nuovamente l’attenzione sul tema, per sollecitarci tutte da un lato alla consapevolezza, all’informazione e alla condivisione, dall’altro alla lotta per affermare un diritto.
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