Istantanea

Primo Maggio. Cosa si festeggia?

Il lavoro, o meglio l’atto di lavorare, oggi andrebbe analizzato da intersezionali punti di vista che vedremo più avanti. In primo luogo il pensare all’occupazione professionale come a un valore necessario alla conservazione della dignità sociale: se non hai un lavoro automaticamente sei una persona svogliata che non merita altro che critiche parziali e giudizi lapidari, se invece ce l’hai allora sarebbe bene mantenerlo il più possibile, non cambiare percorso e puntare sempre più in alto, a fare carriera.

È facile intuire che un simile mindset precluda alla narrazione vigente alternative interpretazioni non meno urgenti. Che fine fa la salute mentale, e in particolare la prevenzione del burnout, in tutto questo? E lo stigma inerente alla disoccupazione? Lavorare è un diritto-dovere per il benessere individuale o solo un ricatto sociale al fine di fagocitare la forza-lavoro all’interno di un sistema sfibrante fino all’esaurimento?

Sul dizionario Treccani potete trovare il sinonimo di lavorare. Un verbo che testimonia in pieno la crisi socioculturale di un Paese che non pensa ai giovani, non aiuta le lavoratrici e tantomeno le comunità marginalizzate e invisibili: FATICARE. Davvero per campare oggi è necessario faticare? Per avere rispetto? Dove lo mettiamo il carovita? Le peculiarità soggettive che ostacolano l’autorealizzazione di sé? Ma soprattutto, cosa possiamo aspettarci da quest’ultimo governo che di giovani non parla se non per criticarli?

Il lavoro dei sogni è di certo un privilegio, ma quando a diventarlo è anche quello che non ci piace allora ci sarebbe da pensarci su, da riconsiderare dinamiche rimaste all’ombra per troppo tempo o del tutto ignorate nei fatti. Soprattutto quando a farne le spese sono le giovani generazioni nate nel terzo millennio, per nulla responsabili riguardo le politiche sul lavoro scelte e applicate prima della loro maggiore età. Prendiamo in considerazione le percentuali.

Oggi una persona under35 guadagna in media meno di mille euro al mese.
Secondo una ricerca realizzata da Eures in collaborazione con il Consiglio nazionale dei giovani, intitolata “Nuove professioni e nuove marginalità. Opportunità, lavori e diritti per i giovani del terzo millennio” (2022), arriva al 65% la comunità under35 che si definisce precaria; il 46% dichiara inoltre di percepire uno stipendio assolutamente inadeguato rispetto al lavoro svolto. I problemi maggiori sono rappresentati dal gender gap nell’ambiente di lavoro (mobbing compreso), molestie e il mancato rispetto delle norme contrattuali da parte del datore: più ore rispetto a quelle richieste negli annunci, omissione dell’ammontare effettivo dello stipendio e violenza verbale e psicologica durante i periodi di prova.

Andiamo più a fondo, mica poi tanto, e troviamo fenomeni ancora troppo sottovalutati come: il razzismo, l’abilismo e l’omolesbobitransfobia; le donne trans in particolare non riescono a farsi assumere per via dei pregiudizi nei confronti della loro identità di genere, oppure sono costrette a subire misgendering e deadnaming quotidianamente senza alcun tipo di tutela dai crimini d’odio.

Con la pandemia da Covid-19 abbiamo imparato ad esplorare nuovi cyber-spazi per lavorare da casa. Il lockdown però ha fomentato un altro drammatico fenomeno, ovvero il sobbarcamento maggioritario del lavoro di cura a carico delle donne, in particolare sulle madri con anziani da accudire. Tale condizione ha pesato sui licenziamenti e tante troppe lavoratrici si sono ritrovate dipendenti di altri, precludendo loro l’autodeterminazione economica. Le donne italiane sono quasi 31 milioni (dati CENSIS, ndr) eppure solo il 51,3% delle stesse lavora, secondo l’ultimo bollettino Istat pubblicato quest’anno a gennaio.

Senza asili e servizi pubblici, senza il riconoscimento concreto del lavoro femminile – di parole ne sono state dette troppe e non bastano più – come è possibile pensare a un risollevamento dell’economia e della demografia nazionale? Come è possibile continuare a contare sullo sfruttamento e sul gap? Sul lavoro in nero delle persone migranti senza diritti? Sugli stage non retribuiti, denunciati costantemente dal partito Possibile, e rivolti a chi ancora viene reputat* troppo ingenu* stupid* e alle prime armi per non riconoscere un datore che ne approfitterà per sfruttarl*?

Ci chiediamo come sia possibile puntare sulla performance e sull’eccellenza per farne motivo di vanto transnazionale quando in Italia la comunità studentesca preferisce suicidarsi o ammalarsi perché la società punta loro il dito contro se non dovessero toccare mete raggiungibili solo per chi può permetterselo: economicamente, socialmente, psico e fisicamente.

Forse l’unica vera domanda raccoglie tutte le risposte a quelle precedenti: COSA SI FESTEGGIA DAVVERO OGGI? Se il lavoro non c’è e se, quando si riesce a trovarlo, è maldistribuito, malpagato e gli ambienti sani risultano l’eccezione? Approfittiamo del primo maggio per riflettere sulle migliorie da apportare e su come potrebbe e dovrebbe cambiare il concetto di lavoro nelle nostre vite.

Buon primo maggio. Soprattutto a chi lotta ogni giorno per la propria dignità nell’incertezza quotidiana.



Fonti:
• https://consiglionazionalegiovani.it/cng/nuove-professioni-e-nuove-marginalita-opportunita-lavori-e-diritti-per-i-giovani-del-terzo-millennio/
• https://www.censis.it/sicurezza-e-cittadinanza/respect/il-talento-femminile-mortificato
• https://www.istat.it/

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CONTRIBUTOR

  • Lou Ms.Femme 

    Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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