“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”– Ammoniva in tempi non sospetti Malcolm X.
E del resto – se mai la tentazione di domandarci che cosa ci facesse Matteo Salvini, nell’iconico salotto televisivo di Francesca Fagnani ci abbia, comprensibilmente, assaliti – la risposta parrebbe anche fin troppo semplice. Ad un passo delle elezioni europee, e sul filo del rasoio dopo l’emersione dei contenuti dell’ambigua intesa Lega- Russia del 2017, il Vicepremier insegue con ostinazione una riscrittura del proprio personaggio (forse) in declino.
E con le mani in grembo, lo sguardo basso ed il volto disteso, così lontano dalla maschera di rabbia che siamo abituati a conoscere, non ci sono dubbi che il Leader del Carroccio sappia soggiogare chi lo ascolta con (anche fin troppa) abilità.
Il ritratto che Matteo Salvini mira a (ri)proporre sembrerebbe infatti, ad oggi, quello del bravo ragazzo di stampo cattolico: goffo, timido, imbranato, devoto alla famiglia e specialmente ai nonni, ultimi testimoni di quel pantheon di valori patri attorno ai quali, storicamente, la Lega ha costruito il proprio arsenale da difesa. Sì: perchè gli avversari lo immaginano “rude, arrogante, e cattivo”; ma – parrebbe- non certo a buon diritto: e forse, è soltanto perchè “lo disegnano così”, assicura remissivo, giurando di non aver “mai commesso atti di arroganza politica.”
Il Salvini di oggi, maturo e ricalibrato, è infatti un uomo (prima che un politico) “che cerca di essere Zen.” Tanto che – incalzato da Fagnani – come un novello pifferaio di Hamelin, ci convince senza troppo sforzo a seguirlo negli ardimentosi voli retorici tramite i quali assicura che, anche se non proprio “pentito”, oggi, chiederebbe scusa a D’Alema (per quel lancio di uova del 1999); e, forse, perfino a Carlo Azeglio Ciampi.
Se pensiamo che, del resto, nel 2015, Umberto Smaila commentò: “Matteo Salvini ha successo perchè dice le stesse cose che senti al bar”, oggi – malgrado il dietrofront percentuale della Lega – la musica non parrebbe poi tanto cambiata.
Nazionalismo, famiglia, amicizia, buon cibo, pesca, decoro, “democrazia”: il brainstorming di Salvini mira dritto al cuore della coscienza nazional popolare; alla sensibilità di chi, come lui, si rilassa “senza pretese” davanti allo schermo televisivo, inseguendo l’aurea mediocritas di una vita “come tante.” Perchè Salvini, del resto, davanti a Francesca Fagnani, insiste a più riprese sulla propria adesione entusiastica alla “normalità”; respinge con decisione ogni eccesso; ricorda all’audience che lui, a conti fatti, non è neppure “ricco come Renzi”; si proclama indignato e pentito, a fronte di quella copertina che, nel 2014, lo ritrasse nudo su “Oggi”, facendo “arrabbiare” mammà.
E se maldestramente scivola, al monito di Fagnani che (revocandone il precedente divorzio e la relazione con Francesca Verdini, di vent’anni più giovane) ricorda che, dopotutto “si può esser felici anche al di fuori della famiglia tradizionale”, Il Vicepremier appar comunque risoluto a rammentare al proprio pubblico che il traviamento “si sconfigge col pudore.”
“Ho ritenuto lo scatto fuori luogo. Di solito, non faccio foto agli altri mentre dormo.”- si indurisce infatti Matteo Salvini, facendo riferimento all’intimo selfie di coppia condiviso anzitempo dall’ex fidanzata Elisa Isoardi, avendo parallelamente cura di farci sapere, mentre si arena in un sagace balbettio, che si vergogna a chiamare la prostituzione col proprio nome (“quella prestazione professionale lì”).
Come nel più disastroso cooking show, grattar via la superficie non basta, tuttavia, per cessar di percepire un certo qual “odore di bruciato”. Già.
Perchè Matteo Salvini – checchè maestro di strategie comunicative – non riesce comunque a nasconderci del tutto il fatto che, sino a prova contraria, non è mai retrocesso di un centimetro: e alle domande di Fagnani che mirano dritte a saggiar la qualità della trascorsa (?) amicizia con Vladimir Putin risponde, infatti, confusamente; alza all’improvviso i toni; per un istante, parrebbe addirittura (miracolosamente) ricordarsi di essere (sempre) stato sé stesso.
E cioè, il medesimo uomo che ad oggi, al riaffiorar della Salvinata col citofono del 2020 (“Scusi, lei spaccia?”) giura di non aver proprio nulla da rimproverarsi: ma che difende a spada tratta Luca Morisi, ex spin-doctor della Lega che, nel 2021, fu indagato a sua volta per droga (“Una delle persone più belle che io abbia incontrato in trent’anni”).
In questa confusa parata di panem e di circenses, di fumo negli occhi e di carezze per l’anima da libro Cuore, lo spettatore corre il rischio di ritrovarsi a tal punto sopraffatto da non saper più decidere “felpetta, felpetta nera, lo squalo, Isoardo, il ragazzotto, il truce”, a conti fatti, chi sia.
Ma se – come scriveva John Carr- “il delitto perfetto – oggi più che mai – non esiste”, sarà altrettanto vero che Matteo Salvini non potrà restare impunito da sè stesso, neppure nella culla del format record di Fagnani.
E dunque – tra una lacrima di commozione per i nonni assai compianti, e l’ennesima gag sul quinquiennio liceale da illibato -, quando il Vicepremier si arrenderà comunque a rivelare che “del potere” gli piace “la capacità di incidere, e di decidere”, come in ogni favola, “l’incanto svanirà, e tutto tornerà com’era prima.”
Il Salvini che si svela qui e là, a chi ha orecchi per intendere, è infatti quello che, piuttosto, recusa stolido ogni responsabilità, a fronte del caso Open Arms (“una critica ingiusta, una vicenda politica che è diventata giudiziaria”): tanto che Fagnani appare costretta, con un riso amaro, a ricordargli che “se i magistrati ravvisano elementi per aprir fascicoli, non si tratta esattamente di una “critica” .”
Se della tigre (anzichè “l’occhio”, come Enrico Letta) Matteo Salvini sembrerebbe piuttosto aver gli artigli, le sue armi ferine, in casa di Fagnani, non sarebbero che nascoste. E parrebbe, a questo punto, non proprio un caso che le uniche “Belve” ad esser nominate siano state proprio Meloni e Verdini, “due faine”, spietate nei loro duelli di burraco.
Perchè Salvini, da Fagnani, è andato proprio a ricordare agli italiani che a discapito dello scandalo russo, e delle rappresentazioni macchiettistiche dei delatori di sempre, lui, invece, belva non è. Anzi; al massimo, è “l’Uomo Tigre”.
Ma non potrà che farci sorridere considerare che, magari senza volerlo, il Vicepremier ha ancora una volta colto nel segno. Perchè l’Uomo Tigre, dopotutto, è sempre mascherato.
Proprio come lui.