La pandemia ha modificato per sempre le nostre abitudini, determinando cambiamenti e sfide nelle nostre vite impossibili da prevedere, ma anche a volte impossibili da immaginare. L’emergenza sanitaria ha messo in discussione certezze da lungo tempo assodate su cosa riteniamo essere sicuro e sano in tutti gli aspetti della nostra vita. Le consuetudini alle quali eravamo abituati hanno lasciato spazio a una paura spesso incontrollata, fomentata anche dai mass media e dalla circolazione incontrollata di fake news, in quella che è stata ribattezzata “infodemia”, e che ha spianato la strada a tutta una serie di ansie, timori, dubbi ed incertezze.
Parliamo dunque di “stress da Coronavirus” in un contesto in continua evoluzione che sfugge a qualsiasi possibilità di controllo, specie nei soggetti più fragili, affetti da altre patologie, come nel caso dei disturbi alimentari. Recenti studi hanno infatti evidenziato il rapporto tra disturbi alimentari e Covid e hanno dimostrato come la pandemia abbia rappresentato per i pazienti già affetti da tali problemi una vera e propria minaccia per la loro salute mentale, specie nei soggetti più deboli. Il cambio delle dinamiche quotidiane e dello stile di vita hanno, infatti, influenzato e in alcuni casi esasperato certi comportamenti patologici.
La peculiare situazione attuale e il regime di isolamento forzato prima hanno rinforzato alcuni aspetti della malattia, specie nei soggetti affetti da bulimia e anoressia o da disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating), che hanno subito un incremento del 30% di queste patologie. A puntare l’attenzione sul problema è l’Istituto Superiore di Sanità, che ha pubblicato un approfondimento sui disturbi dell’alimentazione ai tempi del Covid-19, nell’ambito di un progetto per il contrasto alla malnutrizione in tutte le sue forme promosso dal Ministero della Salute.
Tra i fattori determinanti a rischio ricaduta nei soggetti affetti da disturbo del comportamento alimentare vi è senza dubbio l’isolamento prolungato come effetto del lockdown, che ha generato ansie e paure, e una conseguente perdita di controllo, e che nei soggetti affetti da DCA si traduce in restrizioni alimentari sempre più rigide.
Inoltre, la limitata possibilità di movimento, anche e soprattutto per ciò che concerne i vincoli legati all’attività fisica, hanno esasperato la paura dell’aumento di peso, accentuando la restrizione dietetica. Ma anche l’esposizione a grandi quantità di cibo, come effetto della quarantena, può aver determinato in alcuni soggetti l’esatto contrario, e cioè episodi di grandi abbuffate. La quarantena può contribuire al mantenimento della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione e all’aumento dell’isolamento stesso, anche a causa di una convivenza prolungata con i propri familiari: ne consegue una sensazione di mancata evasione da un ambiente considerato ristretto e pressante.
È da ritenersi plausibile che, oltre a questi fattori, i soggetti affetti da DCA essendo particolarmente sensibili allo stress legato alla pandemia, possano sviluppare, e in alcuni casi accentuare, l’insorgenza e la coesistenza di più patologie diverse organiche e psichiatriche. Un errato comportamento alimentare costituisce un grave problema di sanità pubblica sintomatico della moderna società occidentale.
Una questione di genere?
Le donne sono le più colpite da questi disturbi. La frequenza dei DCA nei maschi è stata meno studiata, e si stima che essa sia dalle 10 alle 20 volte inferiore rispetto alle femmine. Negli ultimi anni, si è assistito ad un aumento di interesse nei confronti del corpo femminile e dell’immagine “ideale” a cui si dovrebbe aspirare secondo i canoni dettati dalla moda, dai mass media, dalle riviste e dalla televisione.
La donna dei nostri tempi, è una donna che “deve” essere ambiziosa e avere successo e allo stesso tempo essere bella e assomigliare il più possibile alle figure riportate nei giornali e in TV. Secondo alcuni esperti l’anoressia rappresenterebbe un rifiuto del ruolo femminile e il drastico dimagrimento potrebbe essere il tentativo di nascondere i segni della femminilità (forme corporee e mestruazioni).
Oltre agli aspetti sociali e culturali che possono in parte dare una spiegazione della maggiore prevalenza dei disturbi del comportamento alimentare nelle donne, non vanno tralasciati gli aspetti biologici. Uno di questi sembra legato al ruolo degli ormoni sessuali nella regolazione della serotonina (un importante neurotrasmettitore cerebrale implicato nella regolazione dell’ansia, del tono dell’umore, dell’impulsività e delle sensazioni di fame e sazietà).
Alcuni studi hanno rilevato che la riduzione della produzione di serotonina in seguito ad una restrizione calorica è molto più frequente nel sesso femminile, confermando quindi la presenza di un possibile ruolo degli ormoni sessuali femminili o di una differenza legata al genere.
Quando la malattia entra in casa
Ma che succede davvero nella mente di una persona malata di disturbi alimentari? E cosa fare per starle accanto? Me lo sono chiesto nei venti lunghi anni in cui ho sofferto di questa malattia e ancora oggi, nonostante la psicoterapia mi abbia aiutato a scavarmi dentro e a prendere consapevolezza del buco nero dentro cui ero precipitata, fatico a darmi una risposta.
Può essere un evento traumatico, un rapporto conflittuale con la madre o la famiglia, la voglia di apparire perfetti, il desiderio di scomparire, una predisposizione congenita, imitazione, ma forse semplicemente a volte si fa molta fatica ad accettare l’idea di crescere e scegliere. Perché comporta la necessità di lasciar andar tante, troppe cose. Nel mio caso è stato così. Volevo tenere insieme tutto e ho finito per ritrovarmi a 40 anni senza aver costruito nulla, ossessionata come ero dal bisogno di restare magra e piccola a tutti i costi.
Sono passata da un ospedale all’altro, da un medico a quello successivo, da una clinica psichiatrica al centro d’igiene mentale ma nulla è servito veramente a guarirmi. Forse a curare i sintomi sì. E questo è molto importante. Anche se poi in realtà tutto ha contribuito nel lungo viaggio della vita: la famiglia, gli amici, gli studi, il lavoro, l’amore, i viaggi, la mia terapeuta, tutto un po’ a metà perché diviso con la mia passione più grande: l’anoressia. Uscirne è un percorso lungo e doloroso, molti ce la fanno, alcuni, troppi, purtroppo perdono la battaglia più difficile, quella contro se stessi e contro questo male feroce che è il disturbo alimentare.
Io ne sono venuta fuori, sicuramente grazie alla determinazione e all’affetto delle persone e dei medici che più mi sono stati accanto, ma anche e soprattutto perché una domenica mattina di febbraio, poco prima del lockdown, mi sono accorta che non mi andava più. La stanchezza ha preso il sopravvento. Non posso dire oggi di essere completamente in pace con il mio corpo però abbiamo imparato a fare amicizia e un po’ ci vogliamo bene.
A tutte le persone che ancora stanno attraversando questo inferno, è un viaggio che può cambiare rotta, abbiate cura di guardare altrove.