Memo

Venticinque anni senza Lady Diana e con una Regina Elisabetta “diversa”

È un anniversario importante. Sono passati 25 anni, un quarto di secolo, dalla tragica scomparsa di Lady Diana, figura ormai iconica, donna che ha rotto molti cliché e stereotipi, personalità carismatica e problematica.

Su di lei non riusciamo più ad annoverare la lunga lista di documentari, tributi, canzoni, opere, film, fiction e serie tv. Tra le più riuscite indubbiamente The Crown e anche l’insolito Spencer, con l’interpretazione intensa e molto personale di Kristen Stewart, che ci restituisce una Principessa del Galles tormentata, divorata dai suoi mostri e da quelli che vedeva nella iconoclastia e nelle liturgie della famiglia reale britannica. 

Una principessa anoressica e bulimica, che viveva il suo personale racconto, tutt’altro che una favola, una donna che mal si adattava alle regole della monarchia e al chiudere un occhio -o forse tutti e due- rispetto ai tradimenti del marito Carlo, futuro Re. Ammesso che diventi davvero Re, prima o poi.

Ma in questi 25 anni è successo anche qualcos’altro nel racconto collettivo e in quello mediatico.

Mentre affinavamo l’immagine complessa di una Principessa sicuramente fuori dal comune e con grande umanità e contraddizioni, che abbiamo tutte molto amato, scoperto, capito, iniziavamo anche a percepire che la perfida Regina Elisabetta tanto perfida non era e che ci sono ottime ragioni perché l’immagine di “Lilibeth” sopravviva ben oltre il mito Pop di Lady D. E non solo perché la monarchia ha delle rendite di posizione che durano secoli. C’è dell’altro.

Abbiamo forse scoperto qualcosa in più anche della detestata Camilla: francamente anche lei, eterna seconda scelta, proprio non deve essersela spassata a fare l’amante di Carlo, schifata dalla famiglia reale a lungo e detestata dalla Regina. 

Serie tv come the Crown, opera molto fedele al racconto storico e biografico (pare), hanno svelato una giovane Elisabetta catapultata prima del tempo in una infinita serie di responsabilità, bocconi amari da digerire, mariti problematici da amare, una giovane vecchia che cercava di gestire alla meglio una fisicità poco regale, con uno stile personalissimo che è poi diventato iconico. O ha saputo far divenire tale. Anche per questo ci vuole abilità, in assenza di grazia. 

Uno stile che in realtà dice molto della personalità della sovrana, delle sue piccole grandi manie, fissazioni, intolleranze e perfino insicurezze. La borsetta coperta di Linus. In effetti le sue borsette servono a comunicare ospiti graditi e sgraditi o per contenere piccoli snack. I colori scelti e i gioielli abbinati ricordano persone a lei care o circostanze particolari. 

Il suo governo del Regno sotto la sua figura  è stato impeccabile da un punto di vista costituzionale. Mai uno sgarro. Un passo indietro ma con polso fermo. È stata saldamente in sella a un Paese sempre all’avanguardia su tantissime questioni e che, proprio per la sua struttura feudale e arcaica, ha conosciuto enormi lotte sociali, ha visto l’ascesa della borghesia. E nonostante ciò è riuscita a non gettare del tutto alle ortiche la tradizione aristocratica, preservando uno spazio più ristretto ma da tutti ormai riconosciuto e rispettato.  

Noi appassionate di figure femminili, di storia, di pop, e di politica, abbiamo fatto i conti con una Regina che -chapeau- ha attraversato ogni fase politica, maneggiando senza rimanervi invischiata la decadenza dell’aristocrazia iniziata già a inizio del secolo scorso (come ben racconta un’altra epica serie tv come Downtown Abbey), addomesticando democrazia e cittadini liberi che trovano ancora oggi in questa apparente contraddizione storica una propria guida immutabile. 

Quasi inumana.

Eppure è accaduto qualcosa 25 anni fa. Dopo la morte di Diana, lei, così umana, troppo umana, forte e fragilissima, intollerante al grigiore di corte, perfino la Regina Elisabetta si è umanizzata. Forse Diana è servita alla famiglia reale britannica per ritrovare un contatto con le persone

Dopo la freddezza iniziale mostrata dalla sovrana dopo la scomparsa tragica di Lady Diana a Parigi che ben ricordiamo tutti e che le è costata durissime critiche, e le è valsa l’interpretazione magistrale di Hellen Mirren in The Queen, Elisabetta ha saputo ricomporsi e forse capire cosa stava sbagliando. Non molte riescono a sopravvivere all’antipatia suscitata dalla morte di una icona amatissima, a cui si  è stati contrapposti.

E invece, nonostante un’età già avanzata, Lilibeth ha saputo cambiare, poco alla volta, rimanendo se stessa. Senza che ce ne accorgessimo davvero. Ha mostrato la tempra delle grandi donne della storia, che gradite o sgradite, vanno avanti dritte, con spalle e testa dritte, contro ogni gossip, avversità, evento storico, quisquiglia politica.

Questi 25 anni trascorsi, non sono forse trascorsi invano: abbiamo ben due icone, che nelle rispettive diversità riusciamo a descrivere e amare senza contrapposizione, riconoscendo a ciascuna un ruolo importantissimo, irrinunciabile, decisivo, diverso, per un paese come la Gran Bretagna, ma in fondo per un immaginario collettivo che non crede più alle favole, Re, Regine, Principesse, Principi azzurri, ma ama leggere le storie, o anche la storia contemporanea, con tutti quei dettagli che rivelano lo spirito delle persone, che diventano leggenda e poi ridivengono umane. E vogliamo renderle umane e mitiche al tempo stesso solo tramite il racconto, il ricordo, la comprensione, la compassione. 

Ora che Elisabetta  è ormai arrivata al Giubileo di Platino, traguardo inarrivabile per chiunque, e che si avvicina al secolo di vita, quasi ci dispiace sentire in tv delle sue condizioni di salute via via più precarie. Lei, che come Diana, doveva essere immortale, e immortale, come tutti non è.

Eppure questi anni forse non sono bastati a svelare fino in fondo i tratti di queste due grandi figure. Ci faranno compagnia a lungo, almeno fino a che altre icone riusciranno ad attenuarne nostalgia e a sbiadirne il ricordo, ben consapevoli che probabilmente nessuno degli eredi sarà all’altezza di nonne, mogli, ex mogli e madri.  

Un quarto di secolo forse però è bastato per rimettere uno accanto all’altro i nomi di una che Regina diventò troppo in fretta e di una che regina non diventò mai, per sua fortuna. 

TAGS

CONTRIBUTOR

  • Valeria Manieri

    Classe 84, esperta di comunicazione e politica, Cofounder de Le Contemporanee. Lavora da anni con Radio Radicale e collabora con diverse testate, tra cui Io Donna - Corriere della Sera, Il Foglio e Milano Finanza.

COMMENTI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di LeContemporanee.it per rimanere sempre aggiornato sul nostro Media Civico