Tutto iniziò (o forse, semplicemente, continuò) con l’addio di Amadeus alla Rai. Re dell’access prime time e frontman del Festival di Sanremo, risale a pochi giorni fa l’annuncio del conduttore di non voler rinnovare il contratto con la televisione pubblica, per accettare piuttosto la proposta della Warner Bros, raggiungendo così Fazio a Canale 9.
Una contrattazione, quella tra Ama e la Rai, lunga e sofferta, scandita dalle voci di una tensione crescente, poco gradita al conduttore.
Sembrerebbe infatti che tra i corridoi della Rai, da tempo, non si respiri un clima disteso, a causa di una pressione politica avvertita come “ingravescente.” Ne sarebbe la prova il comunicato di protesta letto alla fine delle edizioni serali del Tg1, Tg2 e Tg3 in diretta tv, laddove i giornalisti delle emittenti avrebbero ribadito la loro ferma di intenzione di contrastare la nuova par condicio prevista dall’ultimo emendamento approvato dalla Commissione di Vigilanza Rai, che permette ai rappresentanti di governo di parlare in tv senza limiti di tempo, nonché senza contraddittorio, trasformando pertanto la Rai nel “megafono della maggioranza di governo”.
Una situazione resa ancor più esplosiva dalla contestuale puntata di Porta a Porta, il celebre format di Bruno Vespa, laddove, attorno al tavolo del conduttore, per discutere della bocciatura dell’ordine del giorno presentato dal Pd, finalizzato a mitigare l’emendamento di Fratello D’Italia che aprirà le porte dei consultori ai pro-life, risultavano presenti solo il deputato del Pd Alessandro Zan, il giornalista Tommaso Labate, Antonio Noto, di Noto Sondaggi, il direttore di Libero, Mario Sechi e il deputato di FdI Giovanni Donzel, senza includere alcuna figura femminile.
“Quella a cui stiamo assistendo è la concretizzazione dell’Italia della presidente Meloni”– ha affermato, a tale proposito, la senatrice Pd Cecilia D’Elia. – Un sola donna al comando; le altre scompaiono, mentre di continuo viene messa in discussione la loro libertà di scegliere intorno al proprio corpo, di essere o non essere madri, di lavorare e di affermarsi.”
Infine, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è tracimata nella giornata di sabato, alle otto del mattino. La conduttrice Serena Bortone ha infatti denunciato con un post sui social la cancellazione dal suo programma Che sarà– che sarebbe andato in onda la sera stessa, su Rai 3 – di un monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile, in cui lo scrittore, premio Strega, criticava Meloni ed il suo governo in virtù della evidente ritrosia della Premier a parlare di “antifascismo”.
Intorno a mezzogiorno, il direttore dell’Approfondimento Rai, Paolo Corsini ha però diffuso una nota che respingeva le accuse di censura, accusando Scurati di aver richiesto cifre più elevate di quanto pattuito.
A quel punto, la Premier Meloni ha risposto agli attacchi decidendo di intervenire in prima persona.
Risale allo stesso pomeriggio la comparsa, sul suo profilo social, del testo integrale del monologo censurato, insieme con una nuova allusione alla questione di un cachet troppo oneroso, di cui Meloni si fa beffe, commentando: “1800 euro per un minuto di monologo.”
Qualcosa, tuttavia, in questa vicenda non torna. Perché d’altronde – come spiega, oggi, La Stampa – il compenso richiesto da Scurati non apparirebbe esattamente fuori mercato, come ha sostenuto invece Palazzo Chigi. Pochi giorni prima di Che sarà, per esempio, la Rai aveva offerto ben 70 mila euro a Fedez, per comparire a Belve. Il quotidiano rivela un prezzario approssimativo.
Un giornalista può «valere dai 300 ai 2.000 euro. Molto meno di un attore, un’attrice o di una soubrette, il cui compenso oscilla dai 2.000 ai 20mila euro. Gli scrittori variano dai 500 euro, agli 800 di Mauro Corona; sino ai 1.800, appunto ,di Antonio Scurati (comprensivi di compenso autoriale)»
Forse non apparirà del tutto fuori luogo concludere dunque che dovesse essere proprio il contenuto del monologo di Scurati, ad esser percepito come particolarmente problematico.
“Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo – Avrebbe ricordato infatti il giornalista e scrittore, ai microfoni di Che sarà – “La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà ad infestare la casa della democrazia italiana”.
Mentre, il prossimo 8 maggio , i Vertici Rai verranno convocati in commissione di Vigilanza, l’auspicio rimane che la Presidente Meloni possa improvvisamente riaversi dalla sua ostinata smemoratezza. E ricordare che la libertà di espressione (come, del resto, l’antifascismo) trova ampia tutela, da parte della nostra Costituzione, all’articolo 21.