È #MeToo in Francia. Moi Aussi, anche io.
L’acceso dibattito sulle violenze sessuali, complice la recentissima condanna a vent’anni di Dominique, ex coniuge e aguzzino di Gisèle Pelicot, responsabile di un giro sistemico di stupri ai danni della donna, ha ulteriormente sensibilizzato la comunità francese sulla violenza di genere tra le mura domestiche.
C’è il desiderio di cambiare prospettiva: non più tramite la colpevolizzazione della vittima, o della sopravvivente, ma spostando la vergogna verso gli stupratori e il contesto omertoso che li protegge, li supporta e li difende, in breve, contro la cultura dello stupro.
Se il caso Pelicot, come già detto, è divenuto un caso storico che farà scuola, e se Gisèle Pelicot è divenuta suo malgrado icona femminista a livello globale, il tema delle violenze normalizzate perché vissute in ambito domestico, non sono le uniche a scuotere media e società francesi.
La risonanza del caso ha quasi, solo quasi, messo in ombra un altro più vicino al #MeToo hollywoodiano: il processo al regista Christophe Ruggia. L’uomo è stato denunciato dall’attrice Adèle Haenel, che già nel 2019 testimoniava di aver subito violenze da Ruggia durante la primissima adolescenza.
Haenel è un volto che abbiamo iniziato ad amare con pellicole di successo internazionali come Ritratto della giovane in fiamme, di Céline Sciamma. L’attrice, in seguito alla denuncia contro Ruggia e alle minacce ricevute riguardo al fatto che non avrebbe più lavorato, ha deciso di dedicarsi al teatro e di rinunciare al cinema come atto politico. Il patriarcato deforma la settima arte, che è ancora pregna di mentalità maschilista e sessista.
Con l’inizio del processo a Ruggia, che si sta svolgendo a Parigi e l’avanzare fiero di Haenel nei corridoio del tribunale, si riaccende la speranza di un cambiamento nelle strutture dove ancora il potere è in pugno agli uomini e dove le donne rimangono inascoltate. Il regista sostiene di non ricordare i presunti abusi, che il suo rapporto con l’attrice, oggi trentacinquenne, era puramente paterno; ha anche dichiarato che tutto il caso Ruggia sarebbe una vendetta da parte di Haenel per il fatto che lui non la voleva dirigere in altri film; una formula retorica che abbiamo imparato a riconoscere come un classico del discorso invalidante adottato da accusati di abusi, e che denota parecchio protagonismo maschile.
Tantissimo e partecipato è però anche il sostegno popolare all’attrice.
“Siamo con te, Adèle!”, le gridano le femministe fuori dalle aule del tribunale parigino. In attesa del verdetto, che vedrebbe il sessantenne regista condannato a dieci anni se giudicato colpevole di stupro ai danni di una minorenne, gli animi si accendono, e non solo quelli femminili. Si intravedono tempi diversi, ma soprattutto il traballare di una norma tossica e oppressiva.
In attesa che la rivoluzione, o per lo meno le scintille dei suoi inizi, giungano anche da noi, sarebbe il caso di ascoltare e di imparare come il cambiamento culturale avvenga attraverso il corpo femminile e attraverso la rabbia e la tenacia delle donne, degli uomini femministi e delle comunità marginalizzate.