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Perchè “Dare la Vita” di Michela Murgia è un libro necessario

Il 9 gennaio 2024 è uscito l’ultimo libro di Michela Murgia. La presente raccolta di scritti intitolata Dare la vita, pubblicata postuma, curata con amore dal collega e amico Alessandro Giammei ed edita da Rizzoli, testimonia il desiderio da parte dell’autrice di fornire importanti riflessioni riguardo alla nostra concezione di famiglia. Cos’è che definisce una famiglia tale? Perché necessitiamo di una norma sociale e di una logica familista amorale? Cosa significa famiglia queer? Cos’è un figlio d’anima? Esiste una maternità logica?Perché tanta ostilità nei confronti della maternità surrogata o, come suggerisce Murgia, sarebbe meglio apportare una distinzione e parlare più propriamente di gravidanza surrogata?

Iniziamo dalla prima parte del libro.
Murgia nell’ultima fase della sua vita si era fatta portavoce di una forma di nucleo familiare da lei definito “queer”. Per distinguerlo dalla classica famiglia allargata – la quale ci riporta a televisivi ricordi di infanzia come Un medico in famiglia – bisogna innanzitutto sapere cosa si intenda con questa parola di origine anglosassone.

In breve, “Queer” è un termine indicante quell’insieme di rapporti, relazioni e identità esistenti al di fuori dei binari socialmente normati. Nato come slur spregiativo – significa letteralmente “stranezza” – e rivendicato con orgoglio negli ultimi anni da parte della comunità lgbtiapk+, è divenuto un termine per identificare quelle soggettività non appartenenti alla maggioranza eterosessuale cisgender.

Murgia si definiva queer perché, nella sua definizione personale (condivisa da parte della comunità stessa), rifiutava di identificarsi in un orientamento specifico, e rivendicava di contro il diritto, suo come di chiunque altra persona, di non doversi obbligatoriamente riconoscere in un orientamento distinto e rigido all’interno della comunità solo per sentirsi legittimata in quanto tale.

Queer è perciò un rivoluzionario rifiuto alle logiche del sistema patriarcale, per il quale a fare una famiglia sarebbero solo le coppie etero cis, possibilmente sposate. Nella famiglia queer non esistono gerarchie (p.e. “padre/madre di famiglia”) e il legame di sangue viene ridimensionato in favore di quello emotivo, che non è conseguente del primo, l’atto di amare per via del legame biologico (p.e. non “ti amo perché siamo sorelle”, ma “ti amo e sei tale per me a prescindere se lo sei biologicamente o meno”). A contare quindi è il legame spirituale ed affettivo che si instaura tra persone biologicamente non imparentate tra loro, ma che l’affetto ha unito, e che grazie al consenso e alla volontà reciproca di creare una famiglia al di fuori delle norme, dà vita a nuovi nuclei anti-familisti, opposti a quelli chiusi nei propri interessi e per cui i bisogni dei terzi contano meno che nulla.

Murgia parla anche della difficoltà da parte della famiglia d’origine e della società di accettare i suoi legami d’anima, in particolare quelli con i suoi figli. Senza le norme patriarcali e il familismo amorale, spiega, le persone figlie di nuclei familiari queer non riceverebbero continue microaggressioni da parte delle procedure burocratiche, dalle persone non decostruite e dall’ambiente circostante.

Altro argomento affrontato dall’autrice è la dibattutissima questione della gestazione per altri, argomento usato più volte dalle frange più conservatrici e intolleranti per fingere un interesse verso i diritti delle donne che poi nella realtà dei fatti curiosamente (ma non troppo) scompare. La scrittrice espone convinzioni e dubbi al riguardo. Da una parte sostiene il diritto alla gpa, dall’altra insiste perché venga assicurata una tutela a tutte quelle donne che, inevitabilmente, in una società pesantemente sbilanciata come la nostra in termini di diritti (gender gap, pay gap, razzismo, povertà ecc.), rischiano di finire nel vortice dello sfruttamento.

Bisognerebbe soprattutto ripensare il l’atto stesso di gpa: non si sta pagando una persona per comprarle un prodotto, si sta pagando una persona per un servizio, ovvero la gestazione, con tutti i disagi, lo stress, il tempo e le spese che ne conseguono. Il paragone economico è importante perché Murgia sapeva bene che la questione del denaro è cruciale quando ti appresti ad affrontare una gravidanza, per te o per terzi (che ribadiamo, sono in maggioranza coppie etero benestanti, e non coppie omogenitoriali come insinuato dai detrattori). Deve esserci il diritto a poterlo fare in sicurezza, anche finanziaria, nonostante la difficoltà evidente di un simile traguardo e il contrasto da parte della logica essenzialista del femminismo anti-gpa. E deve essere garantito il pieno diritto della persona gestante a interrompere il processo qualora cambiasse idea, desiderasse abortire o al contrario sviluppasse il desiderio di maternità, a prescindere dalla transazione economica effettuata o meno.

Un passaggio importante del libro sta nello smascherare la mentalità antiscelta, denunciando come la logica conservatrice strumentalizzi la salute mentale ed emotiva dell’infanzia frutto della gestazione per altri a puri fini propagandistici e ideologici. La scrittrice lo ha scritto chiaro infatti: a queste persone, dell’equilibrio delle persone piccole non  importa assolutamente nulla, forse meno ancora del benessere della donna incinta, madre o meno che si identifichi; o forse sarebbe meglio scrivere “persona incinta” dal momento che esistono anche gli uomini trans provvisti di utero e che le persone non-binarie in gravidanza rientrano nel discorso a pieno diritto. 

Nell’ultima parte del libro vi è un dialogo con una possibile figlia scritto sotto forma di monologo nel 2008, recuperato da Giammei e interpretato magistralmente da un’amica, sorella e compagna di militanza transfemminista, comune a Murgia e a me, ovvero l’attrice Valentina Melis durante l’edizione 2023 di Più Libri Più Liberi. Il monologo trasmette il sapore di una sapienza nostalgica, di un retaggio antico,  e racconta molto del vissuto della scrittrice di origine sarda. Se ne avverte la forza narrativa, oltre la logica rigorosa tipica invece della saggistica, per affondare nella prosa a tratti poetica, a tratti preghiera – nota era la fede cattolica di Murgia.

Concludo con il vivo consiglio a leggere quest’ultimo messaggio di una grande intellettuale di cui ancora, forse, non abbiamo contezza dell’immensa portata del suo contributo letterario e umano, del numero di porte che ha spalancato a forza di libri, podcast, programmi culturali ed eventi dal vivo.

Murgia non intendeva essere una guida o una figura autoritaria del transfemminismo e della realtà queer nostrana. Ha indicato una direzione ponendo una pietra, la sua. Tocca ancora a noi percorrere la strada, costruendola progressivamente in vista di chi verrà dopo. Come ha fatto lei con noi.


LA PAROLA A VOI

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CONTRIBUTOR

  • Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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