Una premessa. Io non sono pacifista. Sono nonviolenta, nel senso più antico e profondo del termine. Ripudio la violenza con tutte le mie forze. Per una giusta causa userei tutte le armi nonviolente a disposizione.
Ma, come diceva Gandhi, non sono scema. Se fossi aggredita, mi difenderei. Risponderei in modo probabilmente inadeguato per via di un’attitudine a ricevere pugni e a non darli mai, ma, goffamente, un bel pugno lo tirerei per legittima difesa.
Questo perché non credo che la mia vita valga meno di quella altrui, dunque mai sarei disposta a venire massacrata inerme da un ipotetico nemico, invasa in casa mia, neppure immaginerei di poter vivere la mia vita sotto una dittatura, ad esempio come quella russa.
Ragioniamo sempre per ipotesi. Se per caso mi rendessi conto delle mie scarsissime capacità di difesa e mi contentassi del pacifismo suggeritomi da alcuni, non mi andrebbe comunque molto bene. Nella fattispecie, se mi limitassi a essere magari una cittadina omosessuale in un paese molto desiderabile per Putin e mi arrendessi senza colpo ferire, nella migliore delle ipotesi oggi finirei in galera, e con me anche mia moglie.
Proviamo a metterci nei panni altrui, per una volta. Fotografate la vostra vita e ciò che siete e chiedetevi a cosa sareste disposti a rinunciare.
Ad andare a votare liberamente? A non dire ciò che pensate? A non scrivere liberamente sulla carta stampata? A intrattenere rapporti amorosi o intellettuali con chi più vi piace?
Sareste disposti a rinunciare a tutto ciò che amate, a quel che credete, a ciò che rende voi stessi ciò che siete, perfino il vostro Paese, le vostre case, pur di rimanere in vita? Attenzione, in vita, non vivi. Essere vivi é altra cosa.
Ci ho pensato ripetutamente in questo ultimo mese e senza retorica.
Io preferirei morire viva che vivere da morta. E credo che un ragionamento molto simile, lo abbiano fatto e continuino a tenerlo presente i cittadini e le cittadine dell’Ucraina. Dunque non posso proprio chiedere agli ucraini di arrendersi e di accettare questa “croce”.
La loro sfida, mentre noi ci interroghiamo sull’inflazione e il costo dell’energia, sulla Nato, su come lanciare messaggi di pace a Pasqua, su cosa abbia fatto davvero arrabbiare quel tenerone di Putin, é quella di rimanere vivi e non in vita, é quella di essere ancora cittadini e non sudditi.
Vi sembra poco?
Rubo il lapsus freudiano di Luciana Castellina di qualche sera fa in TV, per dire che “voi occidentali“, cioè noi, ancora teniamo a questo concetto sgangherato di democrazia, diritti e cittadinanza. E c’è anche chi oggi, come ieri del resto, anche nelle fila della resistenza, così come nelle fila dei soldati americani che ci hanno evitato ulteriori decenni di dittature probabilmente, ritiene che per alcune cause valga la pena non solo fare delle rinunce importanti, ma addirittura combattere. Sì, anche con la forza. E forse perfino morire.
E non sono persuasa dalla retorica che vuole noi donne più sensibili al pacifismo, al no incondizionato a ogni tipo di violenza, alla narrazione delle donne vittime perché madri, ucraine e russe, che piangono gli stessi figli uccisi. Alcuni figli, non tutti certamente, avrebbero potuto scegliere, altri non hanno avuto questa opportunità.
La retorica pacifista, neneista, o anche, e mi perdonerà Papa Francesco, i suoi atti mancati, il suo non essere ancora andato a Kiev, il suo chiedere a due madri, russe e ucraine, per la Santa Pasqua di portare insieme la stessa croce, mi perdonerete, spero, non fa per me.
E lo affermo con dolore, con le contraddizioni, i dubbi, il dialogo sempre aperto, di una giovane donna, femminista, nonviolenta, unita civilmente con una donna e, pensate un po’, perfino cattolica, con tutti i sacramenti, tranne il matrimonio in chiesa, che non mi è concesso e quello che si fa per ultimo e che mi piacerebbe rimandare di un po’ di anni, a Dio e Putin piacendo.
Le croci non sono tutte uguali. Le guerre non sono tutte uguali. La pace non ha sempre lo stesso prezzo. E non é sempre giusta.
La democrazia non é uguale alla dittatura. Una invasione non é uguale al diritto alla difesa.
Dietro la retorica delle donne raccontate come madri che piangono e si disperano, dietro ai racconti delle nonne, oggi si trova altro. Altro che ha a che fare con lo ieri e con l’oggi.
Ci sono state resistenze in Italia con donne che hanno imbracciato i fucili, che hanno fatto le spie, che hanno ucciso e sono state uccise, che hanno pianto i propri figli e hanno permesso che però altri ne fossero ammazzati. Ci sono state leader silenziose, ieri, che hanno inciso.
Ci sono donne leader oggi, donne che decidono il dove, il come il quando, il perché, come hanno fatto coraggiosamente e fuori da ogni rituale la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Ci sono le parole dense, democratiche, coraggiose, da resistente della ex Premier ucraina Julija Tymošenko, che spera in un domani democratico ed europeo e di poter tornare a discutere tra maggioranza e opposizione come fa ogni democrazia, quando Ucraina sarà libera.
E infine, fuori dalla retorica pacifista, ci sono due donne, leader di due paesi da sempre neutrali, che, sentendo forte e chiara la minaccia di Putin all’Europa e non solo all’Ucraina, sono pronte a una svolta storica.
Sanna Marin, premier millennial della Finlandia e Magdalena Andersson, Premier svedese, sono pronte a fare entrare i rispettivi paesi nella Nato.
Le repubbliche scandinave, guidate per giunta da due donne, nella Nato. Un vero incubo, povero Putin.
Evviva l’Occidente ed evviva le donne che smettono di piangere e prendono in mano il proprio destino.