le opinioni

Visibilità Transgender* – come (anche) questo governo ignora i diritti delle persone trans*

Il 31 marzo è ricorso il TDoV, acronimo indicante il Trans* Day of Visibility, la Giornata internazionale della Visibilità Transgender*. Inaugurata nel 2009 dell’attivista statunitense Rachel Crandal, principalmente per far luce su una comunità ancora sottostimata rispetto a quella gay o lesbica – grazie anche a stereotipi feticizzanti sull’identità di genere -, la Giornata ha come seconda e terza ragion d’essere quella di: uno, dissociare lo sguardo collettivo dall’immagine pregna di pornografia del dolore, così tipica della narrativa cisgender dedicata alla comunità Trans*, sottolineandone altresì la complessità peculiare e le infinite sfumature al suo interno; e due, di differenziare la visibilizzazione dalla memoria delle vittime, ricordate durante il TDoR (Trans* Day of Remembrance) il 20 novembre di ogni anno.

Una concezione quella della persona trans* dolente e piena di problemi – se non morta ammazzata per strada – tanto cara allo sguardo eterocisgender conservatore: la sofferenza come primaria caratteristica esistenziale di chiunque non si riconosca nel genere attribuito alla nascita, il dolore di chi si trova a combattere giorno dopo giorno contro lo stigma sociale e contro il giudizio circostante, la solitudine frutto dell’incomprensione generale e l’umiliazione di vedersi ritrarre sui media come una persona malata, depressa, confusa, sbagliata e da curare tramite disumane terapie di conversione tuttora applicate in Italia. Un implicito messaggio volto a scoraggiare chi si appresta a fare coming-out: soffrirai e verrai ammazzat*, meglio che tu ti nasconda. Per non parlare poi del fatto che le persone trans* nell’immaginario collettivo sarebbero solo DONNE trans, non operate, pesantemente truccate e, manco a dirlo, sex worker. Uomini trans e persone non binarie vengono sistematicamente escluse dalla narrazione mainstream. Tale erasure (o cancellazione) rappresenta un chiaro atto di malafede. 

Essere una persona trans* in Italia è sempre più difficile: ufficialmente sono stati 10 i transicidi registrati nel 2022. A livello globale, invece, ne sono stati contati 381 secondo l’indice Trans Murder Monitoring di Transrespect versus Transphobia Worldwide. All’apparenza sembrano pochi, e di certo ci sarà chi tenterà di sminuire la gravità del fenomeno affiancando assurdi paragoni con i delitti generici, o peggio, strumentalizzando il numero dei femminicidi. Sarebbe onesto tenere a mente che se si uccide una donna trans perché trans è transicidio, se si uccide una donna trans perché donna è comunque femminicidio, comunque la si voglia vedere. Tenendo anche conto delle aggressioni verbali, fisiche, sessuali e andro-ginecologiche: incalcolabili, vista la scarsa considerazione che generalmente si ha del fenomeno sistemico in questione.

Ovviamente parliamo di dati relativi a persone – spinoso usare il seguente avverbio – “dichiaratamente” trans. Sarebbe di fatto impossibile calcolare il numero delle vittime di transfobia che in vita non fecero coming-out. Se solo si provasse a pensare quanto la transfobia condizioni le dinamiche relazionali e la salute mentale delle persone coinvolte, forse riusciremmo a demolire un altro grande fantasma levitante attorno alla comunità T. Parlo dello stigma riguardo alla loro – la nostra – salute mentale; del pregiudizio transfobico secondoil quale la persona trans* soffrirebbe in quanto tale e non piuttosto per via dell’ambiente in cui cresce e si scopre, senza alcuna forma di tutela legislativa dai crimini d’odio, con la limitazione presente nella stessa legge 164/82.

Esponiamo un esempio davvero molto semplice. Supponiamo che la persona trans soffra, o dimostri di soffrire per motivi suoi personali: per la comunità cisgender, per lo meno quella sprovvista di conoscenze minime sull’argomento e traviata da una narrazione giornalistica faziosa e disinformata, ciò si spiegherebbe unicamente con la sua incongruenza di genere, col suo non riconoscersi allo specchio la mattina. Mai che si possa pensare come, magari, sia il clima escludente attorno a suscitare tali sentimenti negativi e potenzialmente gravi!

La persona trans* subisce uno standard che ne deforma fino ad azzerarne le peculiarità individuali, i sentimenti, la normalità nel senso più ampio del termine. Se una persona cisgender soffre dovrà esserci per forza una motivazione,come se l’atto di soffrire fosse intrinsecabilmente collegato a una ragione, aogni azione corrisponde una reazione proprio come nel terzo principio della Dinamica Newtoniana, ecc. Al contrario, si dà per scontato che la persona trans non possa soffrire ANCHE per amore, per una bocciatura, per la disoccupazione, per una giornata storta, per il mobbing a lavoro, per un tradimento, un lutto o un divorzio (altro bias da decostruire: se una donna trans è sposata con una donna cis, ha un’espressione di genere tipicamente maschile e non ha fatto ancora coming-out è pur sempre un matrimonio tra due donne, con buona pace degli anti-scelta).

Altro aspetto da non trascurare è la paura di parlare di depressione quando si è trans* e si vive in un Paese dove ancora si fa fatica a considerare le due esperienze – disturbo e condizione – come dissociate e indipendenti l’una dall’altra. Se hai tanto faticato per convincere chi ti sta intorno che non sei depress* perché trans*, con la comunità scientifica che lo conferma, allora hai il timore nel parlare di ansia, dolore emotivo, disturbi mentali, addirittura di neuro atipicità senza il rischio di cadere nella stessa trappola. Conta poco se dal 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rimosso le identità trans dal capitolo dei disturbi mentali dell’ICD (International Classification of Diseases). C’è sempre la coda di paglia pronta a polemizzare: prima rifiutate la retorica patologizzante e poi pretendete di parlare di salute mentale? Siete incoerenti!

Per tutti questi motivi è fondamentale il Trans* Day of Visibility. Il TDoV serve a portare luce su una realtà determinata a prendersi il proprio spazio senza più chiedere per piacere a nessuno, ma è anche stanca di sentirsi dire che non sarebbe una priorità per i vertici della politica. Di fatto non lo siamo, inutile illudersi del contrario: invisibili tra gli invisibili. Attualmente sono (ancora) gli uomini gay cis a rappresentare il capro espiatorio ideale per distogliere l’attenzione dell’elettore medio, del tutto profano di queer culture. Sono loro, insieme a qualche donna lesbica cis, a essere invitati in radio o in TV a parlare anche di noi – quando viene loro permesso ovviamente. E se è vero che sotto l’ombrello trans* esistono anche persone gay e lesbiche, ciò non significa che si debba continuare a lasciar parlare le persone cisgender per noi solo perché appartenenti alla comunità queer.

Contiamo ancora una volta sulle figure professionali volenterose, quelle che non si girano dall’altra parte e che fanno ciò che il sistema legislativo, giuridico, istituzionale, mediatico, medico e culturale, in una parola l’autoritario status quo, non sta facendo: semplicemente la DIFFERENZA. Non solo per la gioventù transgender*, che giustamente pretende il minimo richiesto in un Paese civile non tiranneggiato da destre sempre più estreme, ovvero la carriera Alias (il diritto di registrarsi e farsi chiamare con il proprio nome d’elezione a scuola in maniera da limitare deadnaming e misgendering in una fase tanto delicata della propria formazione) ma anche per rinfrescare una legge che semplifichi l’iter per la rettifica dei documenti e per il percorso di transizione.

E ancora: per tutelare dalla transfobia e dall’enbyfobia (odio, paura e disprezzo nei confronti delle persone non binarie), per permettere di sposarsi, adottare e gestire il proprio corpo – in tv si parla solo di famiglie omogenitoriali puntando il dito solo su quella composta da uomini gay cis, pochissimo di quella composta da donne lesbiche (la maggioranza) e meno che mai di quella composta da persone trans* – infine per tutelare chi lavora e che, ricordiamolo in caso ce ne fosse bisogno, paga le tasse come chiunque.

Un chiunque che però ha più diritti, anche se non lo vuole riconoscere; che si ostina a parlare di teoria gender invece che di transfobia, che invece di adozioni rainbow vaneggia malignamentedi utero in affitto (con una disonestà intellettuale scandalosa) ma che soprattutto palesa un ridicolo paternalismo rivolto a una generazione dimostratasi però sempre un passo avanti, di fatto insultandola tramite
infantilizzazione. La gioventù, trans* o cisgender, non ha bisogno di protezione dalla propria libertà, dal proprio sviluppo identitario. Viceversa: ha più che mai bisogno di liberarsi dalla “protezione” oppressiva dello stesso sistema responsabile dei suoi problemi.

NOTA A MARGINE.
L’asterisco utilizzato alla fine della parola Trans* sta ad indicare la comunità non-binary presente sotto l’ombrello identitario di chi non si riconosce nel genere attribuito alla nascita. L’utilizzo di un asterisco, celebrato e denigrato da più parti al momento attuale, restituisce comunque al termine una complessità necessaria che sarebbe onesto riconoscere.

Fonti:

https://en.m.wikipedia.org/wiki/International_Transgender_Day_of_Visibility

https://transrespect.org/en/

https://www.dinamopress.it/news/tdor-le-persone-trans-oltre-la-vittimizzazione/

https://thevision.com/attualita/europa-transfobia/

https://www.google.com/amp/s/www.ansa.it/amp/sito/notizie/cronaca/2022/11/17/trans-uccisa-a-romaipotesi-stessa-mano-duplice-omicidio_cd64ba46-a160-4bff-b9d8-68bfe70866fc.html

https://www.who.int/standards/classifications/frequently-asked-questions/gender-incongruence-and-transgender-health-in-the-icd

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CONTRIBUTOR

  • Lou Ms.Femme 

    Transfemminista, attivista lgbtqiapk+ e militante pro-choice, Lou è una persona transgender non binaria. Dopo la laurea in Beni Culturali ha iniziato a formarsi in gender studies, cultura queer, feminism and social justice. Ha conseguito un corso in Linguaggio e cultura dei CAV. Ha abbracciato la campagna "Libera di abortire" e collabora con diversi collettivi transfemministi. Fa attualmente parte di Gaynet Roma Giovani. È una survivor di violenza. Attualmente è content creator, moderatrice e contributor. Suoi obiettivi sono: continuare a svolgere formazione nelle scuole e diventare giornalista. 

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