Il “mercato” delle notizie che nutre le disparità di genere

Il modo in cui i nostri media “trattano” alcune notizie rappresenta plasticamente la misura del gap culturale di genere del nostro Paese. 

Ricapitolando:

  • Caporal Maggiore (uomo) dell’esercito secondo l’accusa (la frase è d’obbligo) picchiava e minacciava una propria sottoposta (donna) con cui aveva una relazione. Non ci sono foto di lui e il suo nome non è stato gettato al pubblico ludibrio. Per fortuna nemmeno di lei.

  • Preside ha relazione (secondo l’accusa del tribunale della moralità e con il reato tutto da verificare) con studente maggiorenne. Di lei si sanno nome e la foto del suo primo piano è sbattuta in prima pagina. Di lui no. Che va benissimo eh, ma avrei protetto anche lei.

  • Donna fatta a pezzi, tenuta nel frigo, buttata in sacchi della monnezza giù per una scarpata perché ha “rotto” una relazione, di lei abbiamo la mappa dei tatuaggi e l’analisi del suo mestiere di pornostar perché ovviamente un po’ se l’è cercata, no? Non ci sono analisi e morbosità su chi l’ha uccisa e fatta a pezzi, sul suo lavoro, i suoi hobby, etc. 

Ora fermiamoci un attimo. Perché una delle cose che a me fa più rabbia in questi casi è che non andiamo mai alla fonte del problema. La buttiamo sui giornalisti, derubrichiamo tutto ad una sorta di malessere mediatico tutto indirizzato al cosiddetto clickbait (cioè farsi cliccare, per aumentare gli introiti pubblicitari). Lo riduciamo ad una questione commerciale.

Ma è tutto qui? Ci piacerebbe.

Se tu, direttore di giornale, sai che con quella notizia farai collezione di click è perché ci sarà qualcuno che ti cliccherà. Cioè tu, giornalista o direttore di giornale, immagini che i tuoi lettori vogliano leggere quella notizia data in quel modo. E quindi produci quella notizia seguendo “il mercato”. 

Ora la domanda è: dobbiamo cambiare il mercato o chi produce le notizie per quel mercato.

La risposta, per me, è entrambe le cose. 

Non voglio, ovviamente, immaginare un Paese in cui i giornali si censurano per diventare strumento educativo di una visione del mondo (certo che no!) anche se esistono degli ottimi esempi di come si fa, con successo, un giornale senza rincorrere i click con fake-news, titoli ad effetto, morbosità sulle donne: vedi Il Post o Valigia Blu

Però voglio immaginare un Paese dove la smettiamo di avere paura di cominciare dalle scuole l’educazione di genere. E molte donne, anche un pezzo di femminismo, quel Paese non lo vogliono. Non vogliono un Paese dove si demoliscano i pregiudizi di genere: siamo sempre il Paese dove ancora in alcune scuole ci sono i grembiuli di colore diverso per le bambine o i bambini. Siamo ancora il Paese che attribuisce colori diversi ai generi, isolando chi si distingue. Ma perché un bambino non si può vestire di rosa? Ma perché abbiamo generato questa mostruosità? 

Siamo ancora il Paese che discrimina su alcune professioni, che discute di come si deve dire direttore o direttrice. Siamo ancora il Paese che in nome di una presunta superiorità femminile all’accudimento fa fatica a riconoscere pari genitorialità agli uomini e quindi ad emancipare la donna dalla gabbia della sacralità del materno. 

La parità vera passa per la parità vera. Per una cessione e un riconoscimento reciproco.

Il gap delle donne in Italia è figlio della cultura patriarcale di cui tutti e tutte siamo imbevuti, ma è anche fratello gemello del gap che molte donne riconoscono agli uomini nella cura dei figli. 

Quante donne, non solo uomini, avranno pensato che se fai la pornostar ci sta che puoi finire in un sacco tagliata a pezzi che a loro o alle loro figlie una roba del genere non potrebbe mai accadere? Quante donne, non solo uomini, a volte pensano: se l’è cercata!

E quante donne staranno pensando al povero studente circuito dalla preside? E quante donne nel caso contrario, se il tema fosse stato preside/studentessa avrebbero subito chiesto come si sarà vestita o truccata la studentessa e se lo aveva provocato? E lui, povero, avrà certamente ceduto alle provocazioni! Perché la preside ci sembra una mantide religiosa e al contrario saremmo andati a fare le pulci alla studentessa? 

Disclaimer: Attenzione, non la buttate sul “stai dicendo che la colpa è delle donne!” No, sto dicendo che questa cultura melmosa è la cultura di tutto il Paese e per cambiarla dobbiamo cambiarla tutti e tutte insieme. 

Non se ne esce altrimenti. 

Foto di Suzy Hazelwood da Pexels

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CONTRIBUTOR

  • Cristiana Alicata

    Cristiana Alicata, classe 1976, ingegnere meccanico, executive manager, attivista per i diritti civili e scrittrice. Libri: Quattro ed.Il Dito e La Luna 2006, Verrai a Trovarmi d'inverno ed. Hacca, 2011, "Ho dormito con te tutta la notte", ed. Hacca 2014, "Qui c'è tutto il mondo", ed Tunuè 2020

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